Lettere al Direttore

Alcune piste di riflessione per cercare di riannodare un rapporto distrutto da relazioni non corrette. Riconoscere i propri errori, premessa per cominciare da capo.
26 Marzo 2004 | di

LETTERA DEL MESE

La figlia perduta: storia di un dialogo mancato

Sono sposata e ho due figlie. Con i suoi alti e bassi, il mio è un matrimonio felice. Ma in questo ultimo anno io e mio marito abbiamo dovuto fronteggiare l'allontanamento della nostra primogenita... Da qualche anno è insieme a un ragazzo che noi conosciamo bene ma che mio marito non vede di buon occhio perché lo ritiene non all'altezza, per alcuni suoi atteggiamenti che, secondo lui, denotano una certa povertà  intellettuale e scarsa ambizione a migliorarsi. Da parte mia, pur trovando le considerazioni di mio marito appropriate, non mi sento di contrastare la relazione perché sono sicura che serva a poco, dal momento che si frequentano da anni e quindi ha avuto tutto il tempo di capire se per lei va bene o no. Inoltre, lui nei suoi confronti è sempre corretto e affettuoso e la voglia di lavorare non gli manca....
Lettera firmata

Come lei stessa ci ha chiesto, abbiamo ridotto ai minimi termini la sua lunga lettera, salvando il necessario per poter individuare il problema che riteniamo interessi anche altri lettori. Per questo, ne parliamo.
Dalla sua lettera traspare amarezza e un senso difallimento del quale state cercando di individuare le cause per una possibile soluzione. Non so se possono esservi utili alcune indicazioni suggeritemi da un paio di cose rilevate nella sua lettera. Anzitutto, il rapporto tra il padre e la figlia. Che non mi sembra il massimo. A suo marito non va proprio a genio il ragazzo che sta con sua figlia, lo ritiene non all'altezza. Le riserve forse sono plausibili, ma mi domando se siano state espresse con la dovuta delicatezza e senza offendere i sentimenti di coloro cui erano destinate. Dalla reazione della figlia mi viene il dubbio che ciò non sia avvenuto. Pare che la figlia abbia colto nelle obiezioni del papà  una bocciatura su tutti i fronti, quasi un rifiuto della sua persona.
Mi pare, poi, che in famiglia si dialoghi poco, almeno sulle questioni importanti. Sua figlia ora lavora, ma non si preoccupa di contribuire alle spese generali della famiglia. Come prima non si prestava a dare una mano nelle faccende domestiche, vivendo la casa, come fanno oggi tanti giovani, come un albergo, dove dormire e mangiare, la pappa sempre pronta, senza problemi. In una situazione così il dialogo appare perfino superfluo. Una situazione che ai giovani, cui l'impegno fa difetto, torna comodo.
Però si è mai chiesta, signora, perché sua figlia si sia sentita per tanti anni un ospite in casa propria? Quali meccanismi della relazione possano aver favorito questo atteggiamento? Come vede, non le sto suggerendo formulette magiche per risolvere il problema. Non conosco abbastanza la situazione per suggerire vie di uscita, che solo voi potete trovare. Indico qualche pista di riflessione, incoraggiandola a confrontarsi col marito. Sono persuaso che sia ancora possibile recuperare il rapporto con vostra figlia, cosa assai più importante che cercare di allontanarla da un giovane che, nonostante le perplessità  e le riserve, potrebbe essere davvero quello giusto. Bisogna cominciare, però, riconoscendo e ammettendo la possibilità  di qualche errore di comportamento e di valutazione. Ogni genitore è un apprendista, e gli errori di percorso sono da mettere in conto. Ma solo riconoscendoli si può sperare di superarli. E può essere la prima riga di un nuovo dialogo.
Mi auguro, poi, che alla fine prevalgano le ragioni del cuore. Con l'amore si arricchisce chi perde, chi ci rimette. Riallacciare i rapporti con sua figlia vale la perdita di molte cose, forse anche dell'orgoglio che le impedisce di fare il primo passo.

Prete o biologo? Sei grande per le tue decisioni

Sono laureato già  da quattro mesi in una materia, la biologia, che è appassionante, ma che ho scelto come male minore di fronte al deciso diniego dei miei rispetto a scelte più radicali, come quella del sacerdozio. Adesso mi ritrovo, a 24 anni, a prestare di nuovo orecchio alla voce dello Spirito che dentro di me mi spinge verso una via, frastornato da un mondo familiare molto chiuso, da una via professionalepromettente... Certe volte mi chiedo come mai, se questa non è la strada per me (come qualcuno mi vorrebbe indurre a credere), io ci pensi sempre, ogni giorno....
Lettera firmata

Farsi prete per dedicarsi a Dio e agli altri o intraprendere una professione più o meno redditizia con tutto quel che segue, come fanno tutti gli altri? Lei non ha dubbi, vorrebbe fare il prete e invece eccola qua, biologo, in un laboratorio dove lavora da qualche mese e con buone prospettive, ma solo per fare contenti i genitori che prete non lo vogliono affatto. Ma ha il cuore pieno di dubbi, assillato da quel ricorrente richiamo che non riesce a togliersi dalla testa.
Che dire? Finora lei si è immolato alle aspettative della famiglia, assecondandone i progetti, ma ormai è grande abbastanza per potere decidere con la propria testa e rispondere a quell'appello, di cui solo lei può verificare l'autenticità . Se viene dallo Spirito, stia certo, non le darà  tregua finché non avrà  risposto in modo personale e consapevole. È successo anche all'inquieto pensatore di Tagasste, Agostino: per anni si era sottratto alla chiamata di Dio, ma ha trovato pace solo quando ha accolto il suo invito a seguirlo.
Chieda a un bravo sacerdote di accompagnarla nel cammino di ricerca, per capire se lei è idoneo a operare in un altro laboratorio, dove libertà  e fede si combinano per dare origine a composti sempre più vicini a Dio. Chieda a Dio, nella preghiera, la forza per compiere un atto di sano egoismo e si conceda il lusso di decidere lei stesso che cosa vuole essere.

Inondati da bollettini che chiedono soldi

Leggo e apprezzo quello che Roberto Beretta scrive, con garbo e arguzia, nella rubrica Galateo. Ed è anche la persona giusta alla quale desidero esporre questo fatto, chiamiamolo cosi. Mia madre, buona cristiana, sta vivendo serenamente la sua vecchiaia (ha 79 anni) e accettato sempre cristianamente la perdita del marito avvenuta sei mesi fa, con il quale ha messo al mondo dieci figli tutti sani e cristianamente educati. Qual è il fatto ? La posta. Mia madre riceve quotidianamente bollettini di ogni sorta di ordine religioso, di enti no-profit, di onlus, ecc. con sistematicamente dentro un bollettino di conto corrente postale. Tutti, con parole diverse, promettono preghiere e il Paradiso se si versa qualcosa. Sembra quasi che ci sia un passaparola tra tutti questi benemeriti enti e che condividano tra loro una banca dati. Lei mi dirà : dica a sua madre di buttarli via, di rispedirli al mittente! Consigliato e provato, ma poi le sono venuti i rimorsi. E pertanto vive quotidianamente con il dubbio amletico: pago o non pago? Ho fatto un piccolo sondaggio tra amici e parenti e ho capito che il fenomeno è diffuso tra tutti gli anziani e i pensionati. Perché enti religiosi perseguitano queste persone deboli? Certo che è un target ottimale, ma è cristianamente giusto?.
Maurizio Martini

L'amico lettore chiedeva un parere sul caso allo stesso Roberto Beretta, la cui risposta riportiamo perché ci pare utile anche per altri.
Sa che l'identico problema l'aveva mia nonna, con la quale ho vissuto molti anni, e che addirittura teneva una sorta di registro per mandare a rotazione la sua piccola offerta ai vari istituti che le inviavano richieste? Anche lei, alla fine, diceva: Sono troppi, non si può accontentarli tutti.... Quasi costava di più la tassa postale che l'offerta inviata! Così mandava le sue offerte dicendo sempre è l'ultima e scrivendo sul retro del bollettino la richiesta di sospendere gli invii.
Però ricordo anche come fosse difficile, per lei, aderire alla nostra proposta un po' cinica di giovani: Buttali via, nonna; non sai neanche a chi andranno quei soldi. In effetti, la vecchiaia è una stagione in cui si è più deboli e soggetti a questo tipo di richieste e agli scrupoli di coscienza che provocano. Quindi immagino che sia difficile anche per sua madre staccarsi dalla catena di Sant'Antonio.
Posso dirle, però, quello che abbiamo fatto noi dopo la morte della nonna: abbiamo buttato tutto nel cestino e, nel giro di qualche tempo, la catena si è spezzata; non mi risulta che adesso arrivino ancora molti di quei bollettini devozionistici. Quindi smettere si può, se si vuole; io personalmente sono ancora dell'idea di farlo, anche perché - beneficenza per beneficenza - ci sono ormai tante occasioni in cui si può farla in modo più diretto e a persone conosciute (missionari, Caritas, eccetera), magari scegliendo due o tre destinatari e offrendo una cifra un po' più consistente.
In passato, mi arrabbiavo anch'io con questi sfruttatori delle generosità  altrui, che approfittavano come avvoltoi dell'ingenuità  dei deboli per coltivare un certo pietismo a colpi di richieste lacrimevoli. Non mi sembra un bell'atteggiamento, soprattutto per istituzioni cattoliche, e non posso nemmeno escludere che dietro ci sia qualche truffa. Avevo anche pensato di dedicarci un'inchiesta, usando il vecchio archivio della nonna... Oggi però sono più tollerante sull'argomento, anche perché - forse mi sbaglio - mi sembra un fenomeno in regressione: vanno di più le catene di Sant'Antonio su internet e i mendicanti ai semafori...

Ora paghiamo sì o no meno tasse?

Presidente del Consiglio e ministri del governo in questi giorni si affannano per convincerci che sono riusciti a fari pagare meno tasse, e quelli dell'opposizione a dimostrare il contrario. E tutti sfornando numeri e dati. Chi ha ragione?.
A. Balestra - Catanzaro

Siamo ormai in campagna elettorale e ognuno tira acqua al proprio mulino. Tutti cercano di farsi belli: chi per poter essere riconfermato e chi per dimostrare che, al governo lui, avrebbe saputo, o saprà , fare di meglio. Ma in questo caso i conti ognuno se li può fare da sé. Alla ormai imminente dichiarazione dei redditi, ciascuno avrà  modo di verificare, confrontando tutto quello che nel corso dell'anno ha pagato in tasse, tickets, balzelli e quant'altro con quanto ha speso e versato gli anni precedenti e vedere chi ha ragione. Comunque, pagare le tasse è un dovere, come è un dovere per chi governa porle in modo equo e giusto per non strozzare i cittadini e soffocare l'economia: senza esosità , senza inganni e senza creare illusioni. Abbassare le tasse da una parte sapendo che qualcun altro le dovrà  innalzare per mandare avanti la baracca, puzza di demagogia, chiunque ne sia l'artefice.

Perché le chiamano Paraolimpiadi?

Da qualche tempo si tengono, in concomitanza con le Olimpiadi tradizionali, anche quelle nelle quali si battono per una medaglia atleti con qualche disabilità . Succederà  anche quest'anno, ad Atene. Ho visto alcuni di questi atleti gareggiare: sono formidabili, e francamente non capisco perché le loro siano Paraolimpiadi e non semplicemente Olimpiadi.
A. Marsanico - Cosenza

Ne ho visti anch'io gareggiare e anch'io non ho capito la differenza tra la performance di uno sano che, per esempio, gareggia pigiando sui pedali di una bicicletta e uno che giunge al traguardo di una maratona dopo aver spinto con le mani, lungo i classici 42 chilometri e 195 metri, la sua filante carrozzina. E sono ora in molti tra gli addetti ai lavori a considerare falso e umiliante quel para posto davanti a Olimpiadi, Paraolimpiadi, per il meeting dei disabili. Para, aggiunto a un vocabolo, indica somiglianza, affinità  con quello che il vocabolo stesso significa. Quindi le Paraolimpidi sarebbero qualcosa che somiglia alle altre. Ma non è così. Già  a Sidney 2000 gli atleti avevano lanciato un appello perché quel para fosse eliminato, e lo ripeteranno per le prossime di Atene, proponendo un nome unico per tutti: Olimpiadi, divise in tre sezioni: maschi, femmine e disabili. Inizialmente, le donne erano escluse dalle competizioni olimpiche, poi sono state incluse, ora sarebbe il caso di aggiungervi i disabili, che ovviamente effettueranno le loro discipline, ma nello stesso contesto e non in una manifestazione collaterale di serie B. Succederà ? Glielo auguriamo.

Il nostro amore è più grande nella sofferenza

In questo triste momento di dolore trovo conforto nei suoi consigli. Questa mattina, al ritorno dalla messa, ripetevo spesso le parole del Salmo 62 che riempivano il mio cuore di speranza e di pace. Grazie delle sue preghiere presso la Tomba di sant'Antonio. Mio marito continua la chemioterapia, prego il buon Dio che lo aiuti ad aver fede e pazienza per superare i tanti dolori fisici e morali. Non immaginavo che questa malattia riducesse una persona così; a cominciare dagli occhi che da azzurri sono diventati opachi e velati di tristezza e poi i suoi silenzi nelle crisi per non farmi soffrire. Il mio cuore è pieno di dolore, ma devo essere sorridente per non dargli altro dispiacere. Il Signore ha permesso questo, Lui che ci ama, sa quello che è bene per la nostra anima. Il nostro amore è più grande nella sofferenza.
C. B. - Portogruaro (VE)

La serenità  e il coraggio con cui state affrontando un periodo così difficile e incerto della vostra vita serva di aiuto e di consolazione a quanti si trovano a vivere affranti il mistero della sofferenza. Il perché del dolore e della morte fa parte di quegli interrogativi profondi cui non sappiamo dare adeguate risposte se non rifacendoci al progetto dell'amore di Dio che ha voluto salvare l'uomo e il mondo attraverso la passione dolorosa e la morte violenta del Figlio: una tomba, illuminata, però, dalla luce della risurrezione. Ed è questo a darci speranza.

I poveri gli eterni rifiutati

Gesù è nato ed è vissuto da povero. Ma oggi, come allora, i poveri fanno scandalo e vengono rifiutati da questa società , e chi meno ha peggio è trattato. E non mi sembra che chi ci governa, o ci ha governato, si preoccupi granché. Sono bravi a far promesse e più bravi nel non mantenerle. Anche se cattolici.
Angelo C. - Avellino

Il suo giudizio è impietoso, soprattutto nei confronti di chi, a prescindere dalle bandiere sotto cui milita, si dichiara cristiano e governa come se i poveri o le persone in difficoltà  non esistessero. Capisco la sua rabbia e la sua protesta. Comune, peraltro, in tante persone che sanno distinguere la propaganda dal buon governo. Credo che tanti cittadini, anche cattolici, non facciano abbastanza per denunciare e promuovere la causa dei poveri. Lamentarsi è uno sport nazionale. Dubitare dei politici è diventato un genere letterario, una nuova retorica, che accomuna il malessere di ogni strato sociale. Questo, però, non basta. Il mugugno non paga, la protesta da sola non cambia le cose. Per cambiarle è necessaria una rivoluzione culturale, fondata sulla partecipazione diretta e consapevole dei cittadini alle cose che li riguardano. È vero che con il voto deleghiamo altri a rappresentarci. Però quella delega non ci esime dall'impegno di controllare e orientare le scelte dei politici. Dobbiamo sporcarci le mani, fare nostra la causa dei poveri, esigendo da chi abbiamo eletto maggiore attenzione e impegno, altrimenti lo si manderà  a casa. È vero che ogni Paese ha i politici che si merita. Diamoci allora da fare per meritarci di meglio, se quelli che conosciamo non ci soddisfano.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017