Lettere al Direttore

Catechismo e insegnamento di Giovanni Paolo II alla mano, per dimostrare che quanto da noi affermato non si discosta di una virgola dalla dottrina della Chiesa.
26 Febbraio 2004 | di

Lettera del mese

Sull'inferno, abbiamo carte perfettamente in regola

Venerdì 13 febbraio 2004, ore 9,30 circa, dalle frequenze di una nota radio di ispirazione cattolica ho ascoltato una pesante critica rivolta alla risposta da lei data alla lettera di Maria Giovanna T. (febbraio 2004). Il curatore della rubrica radiofonica ha letto testualmente la sua risposta (senza citare esplicitamente il Messaggero di sant'Antonio) e ha affermato che essa non è conforme all'insegnamento della Chiesa (come si evince dal Catechismo della Chiesa Cattolica) e che confonde il pensiero dei fedeli. Ha addirittura invocato un provvedimento dell'autorità  ecclesiale! Confesso che sono rimasto sconcertato e credo sia opportuno un chiarimento sulle pagine della sua/nostra rivista.
Antonio Malatesta, e-mail

La lettera dell'amico Antonio mi offre l'opportunità  di rispondere anche ad altri lettori e ascoltatori di quell'emittente che hanno telefonato in redazione. Conosco bene il Catechismo della Chiesa cattolica e i numeri relativi alla verità  dell'inferno (1033-37). Se avessi dovuto semplicemente citarli come risposta, dov'è il dialogo con i lettori? Nessuna, ripeto nessuna, espressione della mia risposta afferma che l'inferno non esiste. Persino nella presentazione delle due tesi teologiche emerge chiaro il dato biblico dell'esistenza dell'inferno: Una scuola di pensiero che non nega l'esistenza dell'inferno. La piccola differenza fra le due tesi sta solo nel capire se gli inferi siano pieni di peccatori o desolatamente vuoti a causa dalla misericordia di Dio. Domanda esplicitata anche da Giovanni Paolo II nel corso della catechesi dell'udienza generale del 28 luglio 1999. Il Papa dice: La dannazione rimane una reale possibilità , ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Da notare la finezza di quel se.
Nella mia risposta, inoltre, propongo una terza tesi, forse difficile da cogliere in una lettura frettolosa e pregiudiziale. Cito: Il Signore può redimere chi non vuole salvarsi?. A dire che, se davvero qualcuno fa compagnia ai demoni, lo può fare solo e unicamente perché, in piena libertà  e coscienza, rifiuta la misericordia e il perdono di Dio che mai vengono meno (cfr Catechismo n. 1037).
Leggo il Catechismo della Chiesa Cattolica, sempre attraverso il bellissimo commento proposto dal Pontefice nell'udienza del 28 luglio '99: L'inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola inferno (n. 1033).
Invito chiunque a dimostrare che io abbia espresso un parere difforme da quello del Papa o del Catechismo. Probabilmente a qualcuno può aver dato fastidio il fatto che più che con un risposta secca, io abbia proposto a Maria Giovanna di allargare la sua ricerca: Proverò semplicemente a chiarire la domanda, indicandole delle piste per l'approfondimento personale.
Personalmente credo che la società  scristianizzata in cui viviamo domandi ai fedeli di fornirsi più di motivazioni interiori che di risposte precostituite. La stessa formulazione del Catechismo, pur esplicitando le medesime verità  di fede, è passata da una serie di domande e risposte a un contenuto di riflessione da approfondire e studiare.
Quante volte sento cristiani impacciati davanti alle domande dei non credenti o alle provocazioni degli adepti di certe sette. Per rispondere e, prima ancora, per testimoniare la fede, bisogna essere in grado di conoscere e, per conoscere, si deve cercare e, per cercare, bisogna avere l'ardire e l'ardore di porsi delle domande. Anche la ricerca è un fatto d'amore Amo Deum, diceva sant'Agostino (Le Confessioni, 10,6).
L'errore non sta nel cercare rettamente, quanto piuttosto nel vezzo di avere risposte sempre pronte, correndo il rischio di impoverire la nostra dignità  umana. Mi riferisco al ricorso ai ciarlatani dell'occulto che evocano gli spiriti dei morti (il n. 2116 del Catechismo ne fa un'esplicita condanna). Penso a taluni sedicenti veggenti affatto riconosciuti dalla Chiesa (il riferimento è sempre al n. 2116 del Catechismo).
Credo sia opportuno, infine, evidenziare che anche le rivelazioni private esprimono solo interpretazioni personali del Mistero, senza nulla aggiungere al Depositum fidei, cioè le verità  che impegnano la fede del credente.
Lascio la difesa e, per non smentirmi, termino con una domanda che mi sorge dalla lettura del Catechismo a proposito dell'inferno.
Cito: Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna (1Gv 3,15) (n.1033).
Che ne sarà  di chi, trovandosi davanti al giudizio di Dio, si accorgerà  che, come dice il Vangelo, potrà  anche essere preceduto da ladri e prostitute (Cfr Mt 21,31). Forse accuserà  di eresia nostro Signore, oppure se ne andrà  sbattendo la porta?

Un lettore al cattolico esigente
Rispondo al lettore di Recanati (Messaggero, gennaio 2004), perché mi sento vicina alla problematica da lui esposta. Vivo la mia esperienza di cattolica osservante forse in modo un po' diverso. Frequento la parrocchia da sempre con alti e bassi e relativi dissapori con il parroco, ma questo non intacca minimamente la mia fede che cerco di vivere anche in altri ambiti, tipo movimenti e associazioni.
La fede di ognuno di noi credo segua un percorso parallelo rispetto alle cose che ci accadono e alla maturità  che scaturisce dalle varie esperienze e scelte che siamo chiamati a fare. Molte volte noi cattolici ci scontriamo con la cultura dominante, ci sembra di vivere fuori dal mondo e abbiamo la sensazione di essere sbagliati tanto da essere tentati di comportarci come fanno tutti. È giusto credere che esistano ancora i principi della verginità  e della sacralità  del corpo nonostante la mentalità  corrente, ma non è giusto pretendere che l'altro corrisponda esattamente ai nostri schemi mentali. Anzi, la diversità  dell'altro è arricchimento per noi, se sappiamo cogliere quanto di positivo possa esserci nelle persone che incontriamo.
Inevitabili sono le delusioni e le scottature, fanno parte del nostro cammino, l'importante è vivere serenamente le scelte fatte... Ho imparato che la cosa più bella e saggia che possiamo fare è affidarci a nostro Signore. Non con la mente, ma con il cuore; un cuore gonfio d'amore e di speranza. Affidarci tenendo gli occhi e il cuore aperti e disponibili ai segnaliche Egli ci invia, ma che difficilmente sappiamo cogliere e interpretare, tanto siamo impastati di terra e fango...
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G. N.

Ecco un messaggio per l'amico lettore, cattolico esigente, che nel numero di gennaio lamentava di non essere riuscito a trovare una donna che condivida in tutto e per tutto quei valori che lui ritiene fondanti e imprescindibili per vivere una vita insieme. È un messaggio, ricco di saggezza e di buon senso, sul quale anche altri, oltre al lettore, possono riflettere. Allo stesso lettore molti altri hanno scritto, ma la tirannia dello spazio ci impedisce di renderne conto.

L'ultimo regalo di una cara amica
Con grande commozione ho ricevuto la lettera, dove mi informa che sono iscritta alla vostra rivista e ancor più grande la commozione nel ricevere la prima rivista. Spiego il perché. Ero al corrente di questo regalo, io stessa ero andata all'ufficio postale a pagare l'abbonamento. L'artefice del fatto è una cara amica di 88 anni, professoressa di Applicazioni tecniche in pensione... Ci siamo conosciute in chiesa. Avevo fatto da poco l'esperienza di un cammino di fede e chiesi in parrocchia se avevano bisogno di aiuto, così ogni sera, dopo la messa, accompagnavo la signorina a casa: avendo un'età  avanzata aveva bisogno di aiuto e io lo facevo volentieri perché il Signore mi ha insegnato ad amare il prossimo. Da quel giorno mi ha sempre chiamato Angelo custode e io rispondevo sempre che non ero all'altezza di portare quel nome. Aveva bisogno di affetto, di una parola di conforto, di un po' di compagnia, le bastava avermi vicino pochi minuti ed era felice. Aveva i nipoti, ma diceva che loro non erano come me. Mai mi sono permessa di parlar male di loro, anzi le dicevo di considerare i loro lati positivi. Mi ha dato sempre tanti bei consigli e ne facevo tesoro.
La signorina Giorgi abitava da sola, aveva una badante di giorno, ma la notte voleva stare sola, ma non era proprio sola: in un angoletto della sua cameretta aveva allestito un altarino dove non mancava la statua di sant'Antonio, e lì pregava. Ogni primo martedì del mese faceva la confessione e la comunione e alle ore 22.00 si ritirava in camera a pregare per due ore. Mi raccontava che mai è mancata a questo appuntamento. Ho trovato in lei una grande e vera amica...
Verso i primi giorni di novembre la signorina mi chiese se potevo andare all'ufficio postale per pagare degli abbonamenti, uno per lei e un altro per una sua amica. Nel compilare il bollettino mi sono accorta che quella sua amica ero proprio io.
Ora non posso ringraziarla personalmente per l'arrivo della rivista. L'amica è tornata alla casa del Padre il 14 dicembre scorso, attraverso il sonno è andata a contemplare il volto di Cristo proprio nel giorno del Signore: era quello che lei desiderava.
Ecco perché ricevere la vostra rivista è stata una grande commozione e ho apprezzato ancor di più questo regalo. Ho deciso di ringraziarla continuando a pregare, come lei, i primi martedì del mese e spero che da lassù mi aiuti ad esserne capace.
Giuliana - Macerata

Non servono parole per commentare una storia come questa che lei ha così bene raccontato, così bella, tenera, intessuta di piccole cose, di piccole attenzioni che sono servite ad alleviare la solitudine della sua amica. Quanto poco ci vuole, a volte, a rendere serena una giornata: uno sguardo, una parola, un momento di compagnia, per il quale spesso non riusciamo a trovare il tempo. Il cammino di fede da lei intrapreso sta ridando senso alla sua vita. La devozione al Santo e la nostra rivista hanno tenuto a lungo compagnia alla sua amica. Ci auguriamo che il fascicolo che ogni mese adesso le giungerà  a casa sia anche a lei di aiuto, di guida e di conforto.

Do tutto al figlio malato ma lui non mi accetta
Sono una madre disperata perché, oltre ad avere un figlio gravemente ammalato (leucemia) e per il quale chiedo sempre a Dio l'aiuto perché guarisca, mi trovo davanti a una grande preoccupazione: mi comporto onestamente e affettuosamente (troppo forse) come madre, ho mille premure per mio figlio, quarantenne, un tempo pieno di forza e impegnato nello sport, eppure lui non mi sopporta, non accetta quasi più la mia presenza... Ho dedicato la mia vita a lui, ma lui vuole il papà  perché dice che io lo assillo... È possibile che voi scriviate una lettera diretta a mio figlio?.
T. A. - Roma

Alberto è stato il destinatario prediletto delle sue attenzioni. Con amore l'ha accompagnato fino ai quarant'anni e ora lui sembra non gradire più la sua sollecitudine materna. Una reazione, forse, accentuata dalla malattia e lei non sa come rilanciare un rapporto che langue. Mi chiede di scrivere al figlio, perorando la sua causa di madre, poco gratificata rispetto a quanto ha amato.
Penso di non poter estorcere alcuna riconoscenza con il mio intervento. Preferisco, piuttosto, parlare a lei, suggerendole qualcosa che l'aiuti a recuperare da sola la relazione col figlio.
La sua premura è ben documentata nella prima pagina della lettera. Alcuni verbi rendono in modo plastico la dedizione di una vita. Più avanti, però, leggo altre descrizioni, in controtendenza: ...non mi sopporta più, ...mi dice che sarebbe meglio se non andassi a trovarlo oppure che percepisce la presenza della mamma come un assillo.
Mettendo insieme le due parti dello scritto ho pensato che, probabilmente, il suo modo di amare il figlio è nobile nelle intenzioni ma comunicato in modo poco efficace. Perché non prova a volergli bene in maniera diversa, rispettando la sua autonomia, lasciandogli lo spazio per elaborare il dolore, per rapportarsi a viso aperto con se stesso e con il mondo?
Può darsi che gli manchi l'esperienza del protagonismo, neutralizzata dalle cure materne. In qualche modo, mi pare che Alberto stia reclamando il diritto di essere uomo e voglia riscattare la sua indipendenza. Magari a lei sembrerà  un atto di superbia, poiché esclude il suo intervento. Penso, invece, che la chiave di lettura sia un'altra e che da sola la possa intuire.
Sono convinto che il suo amore di mamma saprà  trasformarsi, assecondando il bene del figlio, fino a raggiungere la misura della gratuità  e della libertà  interiore. Con questa intenzione l'affido a sant'Antonio e gli chiedo di aiutarla a compiere una conversione difficile, che le darà  tanta gioia.

Mia figlia convive con un ragazzo
Mia figlia, ventenne, è sempre ribelle. Se cerco di dirle che sbaglia non ascolta. Da circa due anni vive con un ragazzo più giovane di lei... Le ho detto che non mi piaceva il suo modo di fare, lei mi ha risposto che se quello era il ragazzo giusto, avrebbe fatto quello che desiderava. In verità , si sono anche lasciati, lui le aveva chiesto un momento di riflessione, ma poi si sono rimessi insieme. Come debbo comportarmi con lei?.
L. S. - Cagliari

La figlia è sempre stata ribelle e da un paio d'anni sta con un ragazzo più giovane di lei, che si prende le licenze delle persone più grandi. Da mamma sensibile ha intuito che questa relazione non giova molto a Federica, anzi, ritiene che la faccia regredire sul piano psicologico e pregiudichi la sua religiosità . Cerca invano di convincerla a lasciar perdere quel tipo. Analizziamo alcuni dati oggettivi. Sua figlia ha vent'anni ed è già  un indizio sfavorevole per la tenuta di quella relazione. I due ragazzi più volte si sono lasciati e questo andirivieni potrebbe essere il preludio a uno stop definitivo. Nella lettera ho colto anche altre indicazioni che farebbero pensare a una relazione a termine. Tuttavia, pur non dichiarandolo, preoccupata anche dalla fine di quella storia, si chiede con quali danni la figlia possa uscirne.
Penso che il veto, da lei più volte espresso, contribuisca a rinforzare il legame tra i due. Di solito, il gusto del proibito rianima le relazioni impossibili o contrastate dall'esterno. La strategia del divieto mi sembra allora poco efficace.
Ritengo, inoltre, che lei non possa impedire esplicitamente la storia tra i due ragazzi. Per trasmettere dei messaggi di valore le rimangono solo due alternative: la testimonianza e il dialogo. Insieme al marito potrebbe offrire un bell'esempio, lasciando intravedere cosa significhi amare e quanto sia importante scegliere la persona giusta. La maturazione umana e affettiva sono degli indicatori chiari che, nel caso di sua figlia, mancherebbero in modo allarmante.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017