Lettere al direttore

30 Agosto 2013 | di

Era meglio quando le madri non lavoravano?
«I valori della donna sono molto importanti per la società, ma da tempo mi preoccupa il fatto che essi si stiano sempre più perdendo. Aver portato la donna a ricoprire i ruoli da sempre riservati agli uomini l’ha tolta dal suo preziosissimo compito all’interno della famiglia. L’educazione e la formazione dei figli oggi non vengono più dalla donna che li ha messi al mondo, ma da persone esterne alla famiglia, non sempre positive. Anche il padre ha un ruolo importante, ma il suo lavoro ha da sempre significato una scarsa presenza in famiglia. Duole pensare ora che anche la donna intraprenda questa strada, lasciando la prole in balia del vento che tira».
Carlo T. – Roma
 
La ringrazio per la sua lettera che senza intento polemico esprime la preoccupazione per un problema che esiste ma che io porrei in maniera diversa: la scarsa presenza dei genitori accanto ai figli in crescita.
La preoccupazione, però, non deve farci rifugiare nella nostalgia del passato, vagheggiando il ritorno a rigidi ruoli che se da un lato garantivano un ordine sociale dall’altro toglievano potenzialità e possibilità di espressione sia ai padri che alle madri e, indirettamente, anche ai figli. Quanti di noi, per esempio, sono cresciuti con padri assenti e poco inclini a dimostrare affetto perché così dettava il modello tradizionale? Quanti padri oggi accetterebbero ancora quel profilo? Non è quindi solo questione di donne, ma di una catena di cambiamenti sociali, economici, culturali e relazionali che hanno investito la società italiana negli ultimi cinquant’anni e che in larga parte non sono stati ancora affrontati. A essi si è aggiunto il cambiamento epocale della globalizzazione, di cui oggi sperimentiamo anche i costi sociali. Il lavoro non è più sotto casa, si perde con facilità, non è adeguatamente remunerato, richiede flessibilità di luoghi e tempi. Ciò porta le famiglie a essere sempre più isolate, senza appoggi familiari e accesso a un welfare adatto ai tempi. La politica, nonostante tanta retorica sulla centralità della famiglia, è stata finora sorda. Sul piano del welfare familiare siamo agli ultimi posti in Europa, ben distanti dal vituosismo della vicina Francia e dei Paesi del Nord.

Di fronte a questo quadro complesso, non è pensabile che basti riportare le donne a casa per risolvere d’incanto i problemi. Anzi, questa retromarcia, del tutto anacronistica, è controproducente sul piano umano, sociale ed economico. L’Italia è tra i Paesi con la più bassa occupazione femminile in Europa: il 51 per cento, contro il 66 della Francia, il 69 della Spagna e il 77 della Svezia. La Banca d’Italia qualche mese fa ha documentato che se solo riuscissimo a portare la quota del lavoro femminile al 60 per cento fissato dagli accordi europei di Lisbona, il Pil crescerebbe del 7 per cento. Un toccasana per i conti pubblici. La soluzione, quindi, richiede un’ampia dose di realismo e di creatività. Occorrono scelte concrete che mettano al centro la famiglia, la quale, per quanto se ne dica, rimane il nucleo essenziale della nostra società. Occorrono azioni che migliorino la conciliazione della vita con il lavoro, che modifichino l’organizzazione dei tempi sociali e consentano l’accesso a servizi di welfare tagliati su misura. Perché ciò avvenga è necessario che ognuno faccia la sua parte: lo Stato, gli enti locali, i singoli cittadini ma anche le aziende e il privato sociale, in una sinergia che gli esperti già indicano come la via europea, e quindi italiana, per il welfare del futuro.

 
 
Giovani, attraverso di voi entra il futuro
«Gentile direttore, vedo davanti a me tanti ragazzi sfiduciati. Vorrei solo che fossero più motivati: loro sono il futuro e hanno la possibilità di cambiare il mondo! Ma non so fino a che punto se ne rendano conto. Si portano dentro molta paura, rabbia e tristezza. Per questo motivo vorrei porre sotto la protezione di sant’Antonio tutti i ragazzi in cerca di una vita migliore, chiedendo al Santo che li aiuti a realizzare nella vita i sogni e le speranze che serbano in cuore».
Antonella
 
Le sfide che attendono le giovani generazioni sono molte e ardue. Penso a quanti vivono il dramma della disoccupazione, del precariato, della superficialità e del pessimismo. Di fronte alla sua lettera, l’animo è andato alla Gmg di quest’estate e alle parole che il Papa ha speso anche per incoraggiare chi sta attraversando un periodo di sfiducia. «Quante difficoltà ci sono nella vita di ognuno» ha riconosciuto Francesco al santuario di Nostra Signora di Aparecida. «Ma per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi. Davanti allo scoraggiamento che potrebbe esserci nella vita, in chi lavora all’evangelizzazione oppure in chi si sforza di vivere la fede come padre e madre di famiglia, vorrei dire con forza: abbiate sempre nel cuore questa certezza: Dio cammina accanto a voi, in nessun momento vi abbandona! Non perdiamo mai la speranza! Non spegniamola mai nel nostro cuore! Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza!».

Nella Veglia di preghiera a Copacabana, poi, il Santo Padre così si è rivolto ai giovani: «Per favore: non mettetevi nella “coda” della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace, di fraternità, di solidarietà. (…) Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non “guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto nel balcone, si è immerso, non “guardate dal balcone” la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù».
 
  
Lettera del mese
Credo nella vita eterna

 
«Pane duro per gli uomini del nostro tempo»
 
Esiste la possibilità di pentirsi dopo la morte? C’è davvero l’inferno? E come può Dio volere che un uomo da lui creato e amato resti per sempre estraneo alla comunione divina?
 
«Caro direttore, non so se è vero, ma mi hanno raccontato questo miracolo di sant’Antonio: il frate risuscitò un uomo che, una volta tornato in vita, si pentì e si confessò dei suoi peccati salvandosi. Ora il racconto preciso non lo ricordo, però in linea di massima è questo. Se dovesse essere vero, chiedo: un uomo si può pentire dopo la morte? Anche perché il catechismo parla chiaro (cf. CCC 393). Grazie, padre Ugo, della sua risposta».
Gigi – Torino
 
Mi stupisce il fatto che si racconti questo miracolo a proposito di sant’Antonio, anche perché si tratta di una vicenda, come lei mette bene in evidenza, che contrasta con la dottrina cattolica del dopo morte, una situazione nella quale i giochi sono ormai fatti e non vi è più possibilità di capovolgimenti. Lei cita il n. 393 del Catechismo della Chiesa cattolica, in cui si riporta un’affermazione di san Giovanni Crisostomo tratta dal suo De fide orthodoxa: «Non c’è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte». Se così non fosse, la vita umana perderebbe molta della sua serietà e decisività, poiché rimarrebbe sempre aperta la possibilità di un cambiamento, di una retromarcia, di un ravvedimento in extremis… Un extremis, tra l’altro, sempre dilazionato e fin troppo elastico, tanto da tramutarsi in un «per sempre» dove la salvezza resta comunque a portata di mano.

Quello che oggi manca come sfondo per comprendere la destinazione ultima dell’uomo è il discorso, che anche preti e predicatori evitano con cura, della morte e di ciò che i cristiani credono venga dopo di essa. Una volta si elencavano a memoria i cosiddetti Novissimi, le cose ultime (morte, giudizio, inferno e paradiso) delle quali Benedetto XVI ha detto: «Non sono un miraggio tipo Fata Morgana o utopie in qualche modo inventate, ma colgono esattamente la realtà». Esse vanno annunciate perché non sia decurtata la predicazione del Vangelo, anche se «sono come pane duro per gli uomini del nostro tempo». Soprattutto il discorso che riguarda l’inferno, che pare a molti una somma ingiustizia, visto che già umanamente è difficile sostenere l’applicazione di una pena eterna, anche a fronte del delitto più efferato. Aggiungendo a ciò il fatto che ogni pena deve avere fondamentalmente un carattere rieducativo, anche per non scadere in una forma di violenza gratuita.

Come può, allora, Dio volere che un uomo da lui creato e amato resti per sempre estraneo alla comunione divina? In una celebre catechesi dell’estate 1999, papa Wojtyla ebbe a dire: «Il pensiero dell’inferno non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà dell’uomo», e ancora: «La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti». Massima serietà dunque, e profondo rispetto della libertà umana, ma nessun terrorismo e neppure enfatizzazione di quella «massa dannata» che certe rappresentazioni medievali hanno sconsideratamente maggiorato. Finendo per infernalizzare anche il purgatorio, che di per sé è più vicino al paradiso che all’inferno e ne costituisce l’anticamera, visto che le anime purganti vivono in uno stato di purificazione e sono già nell’amore di Dio. Il loro destino è segnato e consiste nell’ingresso alla presenza di Dio e nella vita eternamente beata, solo che questo stato definitivo è dilazionato e, per la meravigliosa comunione dei santi, ad affrettare il passaggio alla meta possono contribuire le preghiere e i suffragi dei vivi. Il Catechismo della Chiesa cattolica, citando san Gregorio Magno, afferma che «certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro» (n. 1031). Certo colpe lievi, veniali, che non hanno rotto in radice il rapporto con Dio. A un certo punto, però, siamo soli davanti a Dio e alla sua misericordia. Una misericordia che sappiamo essere infinita.

Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017