Lettere al direttore

23 Aprile 2013 | di

È giusto fare l’elemosina per strada?
«Vorrei chiederle un parere circa un mio grande dubbio: di frequente, davanti alle chiese, si vedono persone che chiedono l’elemosina. Poiché si sente spesso dire che alle loro spalle ci sono degli sfruttatori, io ritengo opportuno non essere tanto caritatevole nei loro confronti, ma nel mio animo non sono soddisfatta, entro in chiesa e mi chiedo: avrò fatto la cosa giusta? Sono una buona cristiana?».
Laura – Terni
 
Il suo è un dubbio molto frequente in chi ha la capacità di non fuggire davanti alle domande scomode. Da un lato lei vorrebbe essere caritatevole, ma dall’altro teme che ciò vada a foraggiare un sistema di sfruttamento, quindi, in un certo senso, a peggiorare la situazione di chi le sta chiedendo aiuto. In questo modo lei sta spostando l’attenzione dai sensi di colpa alla domanda su quale sia il bene rea­le per l’altro. L’incontro con la povertà, infatti, sconcerta sempre, fa paura, perché mette di fronte a un destino che potrebbe toccare ciascuno di noi. E in molti casi questo timore porta, spesso inconsapevolmente, a far sì che la carità non venga elargita concentrandosi sul povero e sulle sue reali necessità, bensì per placare i propri bisogni più reconditi.
E allora? Meglio non fare più la carità? Sentirsi a posto anche senza curarsi di chi tende la mano, perché potrebbe imbrogliare? Senza curarsi di chi potrebbe essere vittima di un racket, di chi rappresenta la proiezione delle nostre paure? La questione di fondo non è fare o non fare la carità, ma operare una scelta per la carità. Il donare non dovrebbe essere mai un atto estemporaneo compiuto per mettere in pace la coscienza, ma un modo di essere nel mondo, un modo di concepire le relazioni tra persone all’interno delle quali l’altro è importante, interessa.

Tra i miei conoscenti e amici c’è chi ha fatto, in questa prospettiva, scelte diversissime: qualcuno ha deciso di concentrare tempo e denaro in un’unica causa, per non dare contributi a pioggia ma risolvere almeno uno dei tanti problemi. Qualcun altro si è costruito una mappa dettagliata dei servizi agli indigenti della propria città, e quando qualche povero lo avvicina gli presta ascolto, entra in relazione con lui anche consigliandogli, a seconda delle necessità, mense, punti Caritas, ostelli, associazioni di volontariato. Altri ancora, infine, si limitano a dare un’offerta solo al mendicante che dà loro in cambio qualcosa, per esempio una bella musica, nella convinzione che lo scambio sia un valore importante della carità perché riconosce che nessuno è talmente povero da non avere nulla di buono da offrire.

Ogni scelta fatta in questa prospettiva è lecita, anche quella di fare un’offerta a un mendicante che per qualche ragione intuiamo come bisognoso, assumendoci il rischio che ci possa imbrogliare. D’altronde un grande santo del passato diceva che se qualcuno non è mai stato imbrogliato da un povero non ha mai fatto la carità!
 
La tenerezza dei vecchi coniugi
«Caro padre Ugo, ancora oggi rileggo volentieri il suo editoriale di gennaio “Nel cantiere dell’amore”. Per questo vorrei raccontare a tante giovani coppie la mia storia, una storia comune a milioni di altri cristiani, affinché si possa analizzare con una visione più panoramica “il modo di intendere la propria identità”. Vorrei inoltre fornire un contributo perché tanti giovani abbiano la forza di resistere alle momentanee tempeste e preservare gli affetti dalla corruzione. Solo quando si giunge alla sera della vita, con un legame stabile, si possono apprezzare quelle gioie vissute in costante unione con figli e nipoti. Forse solo alla mia età si constata realmente che affetti e legami si integrano reciprocamente, non sono in contrapposizione. Nel lontano 1960 io e Maria eravamo due fidanzati di 24 e 20 anni. Ci univa il nostro comune sentimento religioso e la speranza della benedizione di Dio sul nostro prossimo matrimonio. Ci siamo sposati nel ’62 e la nostra unione, coronata dalla nascita di due figli (uno dei quali si chiama Antonio), è sempre stata sotto la protezione di sant’Antonio. I nostri figli sono sposati da oltre vent’anni.

Ora siamo in undici con le due nuore e i cinque nipoti. Uno di essi è disabile grave, affetto da una patologia molto rara. Ma la fede della famiglia tutta non ha mai scricchiolato. Siamo tutti uniti, protesi amorevolmente alle sue cure. Le ho scritto, padre Ugo, per dare una semplice testimonianza ai giovani sposi: quando la famiglia cresce unita vi è sempre tanta serenità; ogni ricorrenza dà un aspetto gioioso alla vita e questi intensi momenti di serenità fanno superare con la necessaria forza gli inevitabili momenti duri. Credo che chi, in un periodo difficile, decide di interrompere questo naturale percorso di vita si debba dare una lunga pausa di riflessione prima di attuare tale proposito!
».
Andrea – Taranto
 
Caro Andrea, la ringrazio davvero per la sua toccante testimonianza. La sua lunga lettera (che ho dovuto tagliare per limiti di spazio) esprime una tenerezza profonda e dà rea­le testimonianza della bellezza del vivere in famiglia. La sua esperienza può essere paragonata a quella di chi, dopo un lungo e a tratti faticoso cammino, giunge in vetta a una montagna e da lì riesce, finalmente, a gustarsi un panorama a trecentosessanta gradi sulla pianura circostante. Ecco, la vita è quella pianura, e lei e sua moglie, oggi, riuscite a contemplarla dall’alto, risignificando anche tanti episodi che, visti da vicino, non riuscivate a comprendere appieno. Credo che la testimonianza di una vita buona e pienamente vissuta nella dimensione familiare com’è la vostra possa essere utile a tante giovani coppie, cui giungono spesso messaggi opposti. Voi siete la prova che si può essere felici, si può esserlo insieme, marito, moglie e figli, e che ci si può realizzare pienamente in famiglia, nonostante le crisi, nonostante le difficoltà, perché la famiglia è la prima scuola degli affetti. Insomma, le relazioni buone sono il fulcro di un’esistenza felice e vanno perciò custodite.
 
 
 
Lettera del mese. Comunicare la chiesa
 
Chiesa e mass media il cortocircuito dell’informazione
 
Mentre in altri campi e di fronte ad altri credo religiosi chi diffonde le notizie è chiamato a risponderne, e quindi si esprime con toni «soft» e politicamente corretti, del cattolicesimo si può dire di tutto e di più, impunemente.
 
«Perché i mass media si accaniscono contro la Chiesa con affermazioni false, parlandone come se si trattasse di una corporazione che difende interessi privati, senza curarsi del vangelo di Gesù Cristo? Perché il volto della Chiesa viene tanto deformato?».
Lucia – Bari
 
Che tra i media e la Chiesa non corra buon sangue è cosa risaputa. Da una parte si alza spesso la lamentela di una Chiesa che si sente poco capita quando non del tutto incompresa e persino rappresentata in modo caricaturale: pensiamo al Vaticano descritto come luogo di loschi intrighi di potere, di lobby perverse, di bieco carrierismo ecclesiastico che mette tutti contro tutti, ognuno partigiano dentro la propria cordata; ma pensiamo anche al trattamento riservato alla Chiesa italiana a seguito di ogni pronunciamento di rilievo sociale o di fronte a legittime prese di posizione su temi etici: scatta puntuale il peana sull’indebita ingerenza, una sorta di riflesso condizionato, di allergia da contatto, sempre e comunque. D’altra parte le lamentele degli operatori dei media non sono di minore intensità, soprattutto nei confronti di una realtà ecclesiale giudicata poco trasparente, lenta nei pronunciamenti e che quando si esprime lo fa in modo fumoso e gergale, utilizzando quell’ecclesialese che mal sopporta le semplificazioni giornalistiche. E i giornalisti, si sa, hanno fretta di chiudere il pezzo, per cui, quando sono a dieta di informazioni di prima mano, ricamano sull’onda dei luoghi comuni. Dando per scontato che da parte degli uomini di Chiesa, anche quando bistrattati, difficilmente si hanno reazioni che diano qualche preoccupazione. Mentre in altri campi, e soprattutto di fronte ad altri credo religiosi (ebraismo, islam, ecc.), i responsabili dell’informazione sono chiamati puntigliosamente a rispondere e quindi si esprimono con toni soft e politicamente corretti, del cattolicesimo si può dire di tutto e di più, impunemente.

E non porta a una diversa valutazione la recente kermesse mediatica che ha acceso i fari della ribalta sulla notizia dell’anno: la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato e il successivo Conclave dal quale è sortito a sorpresa un Papa latinoamericano. Si è confermata la tendenza dei media a privilegiare i vertici della Chiesa (e cosa c’è di più apicale di un Papa?) disinteressandosi totalmente della base, dei preti che svolgono il loro ministero all’interno delle comunità parrocchiali, a meno che si tratti dei cosiddetti preti di strada, ai quali comunque si riconosce un’utilità sociale e che hanno largo accesso ai talk show di ogni rete quando mostrano di avere il dente avvelenato contro la gerarchia ecclesiastica. Così si esprime, in proposito, Antonio Socci: «Sono le curie che interessano i media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy, le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunate dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere». Per cui la sostanza di ciò che accade, poiché ha il difetto di non entrare nelle schematizzazioni già decise, finisce col non interessare a nessuno, mentre si preferisce restare sul folkloristico e sul sentimentale, magari giocando al reality della Cappella Sistina dalla quale escono, a intervalli regolari, sbuffi di fumo che scatenano la chiacchiera in diretta. «Sarebbe istruttivo – scrive con ironia Francesco Jori – riproporre qualche brano delle elucubrazioni riversate su lettori e telespettatori alla vigilia: dall’elenco dei favoriti alla descrizione di complesse alchimie dietro le quinte, il tutto raccontato fingendo di disporre di autorevoli e informate fonti interne». Ma i media, ahimè, hanno la memoria corta e sono affaccendati a rincorrere l’ultima notizia. Lettori e telespettatori, però, dice ancora Jori, potrebbero decretare nei loro confronti un solenne e insindacabile extra omnes.

Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017