Lettere al direttore

27 Novembre 2012 | di

Politica e coerenza di vita
«Egregio direttore, prendo spunto anche dalla “Lettera del mese” sulla rivista di novembre per esternare alcune considerazioni. Sono stanco di ascoltare continue lamentele nei riguardi della politica, della classe dirigente, senza avvertire riflessioni sull’operato e comportamento del singolo. La corruzione, le ruberie, le sopraffazioni sono all’ordine del giorno, ma ciascuno riesce a farsi un esame di coscienza sereno e onesto? Il singolo paga le tasse dovute? Si pente veramente delle proprie manchevolezze prima di chiedere l’assoluzione in confessione? Svolge il proprio lavoro con spirito di servizio? Come si comporta in famiglia e nella propria cerchia? E potrei andare avanti!
Non crede, direttore, che bisognerebbe portare avanti con forza un discorso di educazione civica, morale e religiosa,magari a partire proprio dai giovanissimi?».
Lettera firmata
 
A scanso di equivoci, lo diciamo subito: la coerenza è una bella cosa, di cui si sente una drammatica mancanza a molti livelli. Tuttavia, è una parola da prendere con le molle. Chi, guardando agli ideali più alti della propria vita, può dirsi in pieno «coerente»? Se anche ci riconoscessimo aderenti a un singolo valore, o esenti in toto da un singolo vizio, non ci sarebbe permesso brandire la clava della coerenza contro tutti coloro che a nostro insindacabile giudizio sono «peggiori». È giusto allora porsi un altro quesito. Chiediamo coerenza rispetto a che cosa? Nei confronti di chi? Dobbiamo essere cauti in merito.
Nei vangeli incontriamo il dramma dei farisei, che in base alla loro cattiva interpretazione delle Scritture condannano colui che si permette di guarire un cieco in giorno di sabato (cf. Gv 9,16), accusandolo inoltre di essere «un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori» (Mt 11,19). Proprio così: per queste persone Gesù era un incoerente. Lo sottolineo solo per riprendere la prospettiva corretta, perché – ci faccia caso – tutti i partiti e molti giornali cavalcano la parola «coerenza», ma spesso lo fanno solo per assestare colpi alla parte avversa. A volte con ragione, a volte meno.

Ciò detto, siamo del tutto legittimati a chiedere ai nostri rappresentanti politici di non stravolgere le promesse elettorali e di non andare in deroga rispetto ai princìpi della normale convivenza civile, comprese ovviamente tutte le leggi dello Stato. Allo stesso tempo, siamo parimenti autorizzati a chiedere a noi stessi di rimanere fedeli alla nostra chiamata di figli di Dio. Perché la prima forma di coerenza – forse è proprio questo ciò che più manca – è il «voler essere» coerenti. Il motto dovrebbe essere: «Posso sbagliare, ma miro in alto». Non: «Miro in basso, tanto so che sbaglio». E vengono in mente altre parole: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?».

Un ultimo passaggio: certo che dobbiamo insegnare tante cose ai giovanissimi, ovvero gli adulti di domani, compresa l’educazione civica, morale e religiosa, ma dovendo scegliere preferirei partire piuttosto dagli adulti di oggi. Sono loro, a mio parere, ad averne più bisogno.
 
Come aiutare i nipoti ad amare la lettura?
«Ho cinque nipotini dai 3 agli 11 anni. Ciò che noto in loro, soprattutto nei più grandicelli, rispetto a quello che ricordo dei miei figli, è una certa difficoltà a rimanere concentrati, l’incapacità di gestire la noia, la facilità a farsi assorbire da televisione e videogiochi. Li vedo raramente con un libro in mano, per quanto io abbia sempre cercato di leggere insieme con loro e raccontare storie per suscitare interesse e magari un po’ di passione.
Riccardo, il mio nipote più grande, leggiucchia qualche testo: storie horror, saghe di mostri spesso legate ai videogame, nella migliore delle ipotesi qualche riduzione di libri di avventura adatta, però, a ragazzini più piccoli di lui. Non un Pinocchio né un’Isola del tesoro o un Barone Lamberto che tanto piaceva a sua madre. Temo che così facendo non riesca a provare il piacere per la buona lettura, aspetto così importante per la crescita personale e culturale. Per questo motivo, a Natale, vorrei regalare a ciascuno di loro un libro di qualità, cercando per quanto possibile di centrare i loro gusti. Secondo lei, padre, faccio bene?».
Lucia – Modena
 
Cara Lucia trovo molto bella questa sua preoccupazione di nonna, che individua nella buona lettura un bene da tramandare ai nipoti.
Su come appassionare i bambini ai libri si sono versati fiumi di inchiostro senza che in realtà nessuno sia riuscito a trovare una formula convincente. Il motivo principale è che si tratta di una meta a cui ogni individuo arriva per proprio conto e tramite un processo complesso influenzato da fattori personali, familiari e sociali: occorre superare lo scoglio iniziale del «leggere è, solo, faticoso», per poi carpire il valore e saggiare il piacere della lettura. Ciò non esclude, comunque, per gli adulti un forte impegno educativo.
Quasi tutti gli esperti concordano nell’affermare che un buon lettore nasce più facilmente se c’è un contesto che lo aiuta, se per esempio i suoi genitori sono colti e leggono, se ha a disposizione una piccola biblioteca in casa ed è stato abituato fin da piccolo ad ascoltare storie.

Ermanno Detti nel suo Piccoli lettori crescono (Erickson) invita però a evitare errori fatali, riproponendo i Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura, pubblicati da Gianni Rodari nel 1964 e, purtroppo, ancora provocatoriamente attuali: 1) Presentare il libro come un’alternativa alla tv; 2) presentare il libro come alternativa al fumetto; 3) dire ai bambini di oggi che i bambini di ieri leggevano di più; 4) ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni; 5) dare la colpa ai bambini se non amano la lettura; 6) trasformare il libro in uno strumento di tortura; 7) rifiutarsi di leggere al bambino; 8) non offrire una scelta sufficiente; 9) ordinare di leggere.

Se qualcuna di queste affermazioni le ha provocato disappunto, perché, magari, ci si è involontariamente ritrovata, non si angusti: alcuni di questi atteggiamenti sono comuni in noi adulti, comunque mossi dalla preoccupazione e dall’ansia di dare il meglio ai più piccoli.
Lei ha dalla sua la capacità, sempre più rara, di raccontare storie ai suoi nipoti, il tatto di proporre libri nuovi e migliori seguendo i loro gusti, la forza di testimoniare una passione. Tutti bei regali di Natale.
 
 
Vicini alla comunità di Cavezzo
 
Restituiamo ai 100 bambini della scuola per l’infanzia «San Vincenzo de’ Paoli» di Cavezzo (MO) la gioia di ritornare nelle loro aule, distrutte dal terremoto dell’Emilia. A questo scopo la Caritas Antoniana ha aperto una raccolta fondi tra i lettori e gli amici del «Messaggero di sant’Antonio», che dà, a chi lo desidera, la possibilità di fare qualcosa di significativo e concreto a favore di una delle comunità più colpite dal sisma del 20 e 29 maggio scorsi. «Siamo andati di persona a sondare i bisogni della gente – racconta padre Valentino Maragno, direttore Caritas Antoniana – e a parlare con il parroco don Giancarlo Dallari ospitato da una famiglia perché la canonica è inagibile. Il bisogno di ricostruzione passa per gli edifici ma riguarda il ripristino del tessuto sociale, garanzia del ritorno alla normalità. Cominciare dai bambini ci è sembrato il modo migliore per iniziare un nostro intervento in Emilia, in perfetto stile antoniano».
 
- Bonifico: PPFMC Caritas S. Antonio-Onlus – Via Donatello, 21 – 35123 Padova
Sul c/c. 505020 Banca Popolare Etica – IBAN: IT05 S 05018 12101 00000 0505020
Causale: Ristrutturazione dell’Asilo «San Vincenzo De’ Paoli» di Cavezzo (MO).

- Su Ccp: n.12742326 – Intestato a: PPFMC Caritas S. Antonio-Onlus – Via Donatello, 21 – 35123 Padova.
Causale: Ristrutturazione dell’Asilo «San Vincenzo De’ Paoli» di Cavezzo (MO).

- Per donare direttamente: sito www.caritasantoniana.it

 
Lettera del mese
Credere e non credere
 
I miei familiari sono credenti, che faccio?
 
La fede non è una ruota di scorta da usare in caso di emergenza, ma una risorsa per stare in modo creativo dentro il presente e costruire un futuro migliore per sé e per gli altri.
 
«Sono una ragazza di 25 anni, laureata, con due genitori e un fratello maggiore. Sono atea e ho cercato di trasmettere questi miei valori anche ai miei familiari, che sono brave persone, si comportano bene, hanno una mente “aperta” su molte questioni (aborto, eutanasia, ecc.), ma comunque frequentano la chiesa e la parrocchia… e non riesco a farli smettere… Sono perfino abbonati al vostro giornale! Scrivo questa lettera provocatoria in risposta a un’altra lettera che ho visto sul numero del “Messaggero” di settembre, nella quale una madre si lamentava che i propri figli non fossero molto credenti. Volevo dirle che la fede è una questione strettamente personale e ammiro molto i suoi figli, perché hanno fatto una scelta coraggiosa nonostante i condizionamenti imposti (l’ha ammesso lei stessa!). Volevo poi aggiungere che i problemi veri sono altri: i giovani senza futuro, senza lavoro, senza speranza... Se c’è qualcuno che riesce a svegliarsi e a pretendere che il Paradiso debba essere in terra e non aspettare chissà quale ricompensa divina, ben venga! Mi preoccupa molto il fatto che quella madre sia così in ansia per la fede dei propri figli... Anzi, mi lascia quasi scioccata...».
Ludovica M.
 
Cara Ludovica, pubblico integralmente la tua e-mail, perché utilizzi molto bene il registro dell’ironia, ma prima di risponderti voglio spiegare ai lettori a cosa precisamente ti riferisci. Lo scorso settembre ho risposto, sul nostro giornale, a una mamma molto preoccupata perché i propri figli (una giovane di 21 anni e un ragazzo di 14) hanno interrotto ogni legame, o quasi, con la parrocchia e ancor più hanno abbandonato la fede, scartando in modo netto la prospettiva di una vita vissuta cristianamente. È una situazione tutt’altro che rara, la quale suscita sofferenza soprattutto in quei genitori che hanno frequentato a lungo, traendone beneficio per la crescita personale, ambienti di Chiesa, e che considerano la fede come un bene prezioso e irrinunciabile. Non soltanto come ruota di scorta da usare in caso di emergenza, di fronte agli imprevisti dell’esistenza, ma come risorsa per stare in modo creativo dentro il presente e costruire un futuro migliore per sé e per gli altri. Ora, intendo, e non in quel Paradiso che tu vedi come fuga consolatoria, e che così pensato rende il mondo come una banale sala d’attesa per un dopo dove, unicamente, si dispiegherebbe la vera pienezza. I cristiani credono non alla salvezza dal mondo, ma alla salvezza del mondo, anche qui e adesso, a partire da tutti i problemi molto gravi che tu elenchi con grande precisione; giovani, futuro, lavoro… Essi progettano e faticano perché questi problemi trovino presto soluzione, senza però illudersi che la soluzione di questi problemi – che sarà sempre parziale – possa creare il Paradiso in terra, l’armonia assoluta tra gli esseri umani, che nasce unicamente dalla conversione del cuore.

Ma vengo ora all’altro versante del tuo breve scritto. Sei preoccupata perché i tuoi genitori, pur essendo cristiani «aperti», non riescono a smetterla con la parrocchia e la fede, ma anche con il nostro giornale? Chissà che virus hanno contratto? Potranno mai guarire da una deformazione così lesiva della propria identità, che ti fa preoccupare tanto? Esiste un vaccino che funzioni in tempi brevi? D’accordo, la fede è una scelta libera (preferisco libera a personale, aggettivo quest’ultimo che sembra escludere ogni interferenza altrui, cosa che non è), e posso anche capire che tu non ti senta in linea con chi liberamente sceglie di credere. Ma, se sei così irritata dalla preoccupazione di una mamma che (magari con qualche forzatura) cerca di fare in modo che la fede del figlio più piccolo non venga del tutto sradicata, perché ti comporti allo stesso modo, specularmente, nei confronti dei tuoi genitori? Non sarebbe meglio rispettare la fatica di ognuno di cercare il meglio per sé e per gli altri, naturalmente senza nulla imporre?

Lettere al direttore, scrivere a : redazione@santantonio.org

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017