Lettere al direttore

24 Ottobre 2012 | di

Anno della fede per una nuova evangelizzazione

 «Rev.do padre Ugo, siamo invitati a vivere l’Anno della fede come tempo propizio per riscoprire, approfondire, purificare la nostra fede e come momento favorevole di conversione. Ma come possiamo mettere in pratica tutto questo? Come si può, in concreto, riscoprire e approfondire la fede?».
e-mail
 
«Carissimo direttore, sottoscrivo in toto il suo editoriale di settembre, lucido e... quasi esauriente, infatti mi pare che manchi una parte importante, il “come”; l’analisi è del tutto condivisibile, come una perfetta diagnosi medica, ma la cura? Se è vero, come è vero, che – sono parole dell’allora cardinale Ratzinger in Introduzione al cristianesimo, pag. 330 – “l’unica tunica del Signore è lacerata fra diversi partiti litiganti; l’unica chiesa è frazionata in molte chiese, ognuna delle quali accampa più o meno intensamente la pretesa di essere l’unica in regola. Sicché oggi la chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale alla fede” (il clamore attorno alla figura del cardinale Martini ne è una conferma), allora da dove si deve iniziare?».
Alfredo
 
«Caro direttore, in questi giorni si sta facendo un gran parlare del Concilio Vaticano II. In questo mezzo secolo la Chiesa ha avuto la capacità di spargere nel mondo tanti semi buoni. Mi chiedo se la Chiesa di oggi, con i suoi molteplici problemi, riuscirà a rinnovarsi e a rifiorire. Spero che questa antichissima istituzione, come diceva il cardinal Ildefonso Schuster, resti un laboratorio di risurrezione, capace di aprire il cuore alla grazia di Dio».
Franco
 
«Mi piacerebbe intervenire su “La nuova evangelizzazione e le cinque W” che apprezzo, ma a mio parere ne manca ancora una, molto importante e anzi determinante e di cui non si parla quasi mai: il “come”. Non bastano i “chi, che cosa, quando, dove, perché” dell’evangelizzazione. È necessaria una metodologia, una programmazione, un progetto pastorale (che sia tale!) senza i quali si rischiano due estremi: le parole o le sporadiche iniziative concrete! È possibile creare strutture, né troppo pesanti né inconsistenti, che riguardino non il solito gruppetto, ma facciano partecipare tutta la gente sistematicamente coinvolta e consultata nella riflessione e nella decisione? È possibile se si ha il coraggio di passare dall’agire per le azioni all’agire attraverso un piano pastorale globale e organico portato avanti per tappe, gradualmente, con un metodo. Noi parroci sentiamo che non si può andare avanti così, senza un filo conduttore. Non si può progettare un anno la fede, il prossimo la carità, poi la famiglia, poi la cresima, poi un sinodo, poi un convegno… perché tutto è importante! Il programma, il tema, l’obiettivo deve essere sempre quello, per sempre, perché poi si ricomincia! È la Chiesa la meta! La Chiesa quale la vuole Gesù, ma anche il Concilio Vaticano II, ma anche tutti i documenti e le lettere pastorali: la Chiesa Popolo di Dio, Comunità, famiglia, Comunione con Dio e in Lui tra di noi e la Chiesa Missione che si incontra con Cristo e lo fa incontrare. La meta deve essere sempre quella. Lì c’entra poi tutto! Se faccio un pellegrinaggio a un santuario della Madonna, è la Chiesa il tema, sotto l’angolatura di Maria. Nell’ottobre missionario è la Chiesa missionaria il tema e noi Chiesa siamo tutti missionari. E via dicendo, mese per mese. Ma se la collana non ha il filo o lo spezzi, tutte le perle (tutte le iniziative) cadono e non servono a nulla. La Chiesa non ha bisogno di teoria e di documenti: ne abbiamo anche troppi. Ha bisogno di una metodologia della quale non c’è traccia nei documenti».
Don Sergio Zandri
 
Questo è un autunno di grande vendemmia per la Chiesa. Abbiamo appena vissuto l’avvio dell’Anno della fede, che coincide con i cinquant’anni del Concilio Vaticano II, mentre gran parte del mese di ottobre è stato occupato dal Sinodo dei vescovi sul tema della nuova evangelizzazione. Ho messo insieme alcune lettere, tra le molte (più del solito!), giunte in redazione a proposito degli ultimi due editoriali, dedicati alla nuova evangelizzazione e all’Anno della fede. C’è un interrogativo che ricorre, vale a dire quello sul «come»: come ravvivare la fede? Come fare in modo che la Chiesa non sia mai ostacolo alla fede ma piuttosto perenne laboratorio di risurrezione? Come dare alle molte, forse troppe iniziative ecclesiali, l’organicità di un vero e proprio programma? Ebbene, credo che molto dipenda dagli obiettivi, da quello che davvero vogliamo come comunità cristiana, dalla visione di Chiesa da cui ci lasciamo ispirare.

Qual è, ad esempio, l’obiettivo della nuova evangelizzazione? Il cardinale Martini ha, in proposito, parole illuminanti: «Evangelizzare significa anzitutto promulgare la buona notizia.
Non significa, di per sé, far diventare subito cristiani tutti gli uomini, né far tornare in chiesa tutti i battezzati, pur se questo è al termine dell’intenzione di chi evangelizza. L’azione evangelizzatrice non si misura dunque col successo». Sì, nella società dell’efficienza dobbiamo innanzitutto scartare il criterio del successo e del consenso: un certo cristianesimo «della conta», dell’essere tanti, possibilmente di più, non è un buon metro per giudicare il presente. Se il cristianesimo è per tutti, non è però di tutti, essendo dono di grazia e insieme esercizio di libertà.

Al cristiano è richiesto di essere annunciatore del Vangelo, non di far trofeo dei risultati ottenuti, e quando questi ci sono, in genere vengono nonostante le nostre debolezze, che di questi tempi fanno notizia. Da qui passare a dire che «la Chiesa è per molti l’ostacolo principale alla fede», secondo la tagliente espressione di Ratzinger-Benedetto XVI, può indurre al pessimismo. Ratzinger, come nota il nostro lettore, parla del dramma di lungo corso della divisione della Chiesa in molte Chiese e comunità ecclesiali (l’unica tunica del Signore lacerata), e poi aggiunge il peccato rappresentato dall’ambizione umana del potere che inquina anche le relazioni ecclesiali. Ma alla fine conclude: «Nonostante ciò si può ancora amare, nella fede, questa Chiesa, riconoscendo in quel volto sfigurato il volto della Chiesa santa». Non si tratta di un bel finale a conclusione di un brutto film, ma del fatto che i cristiani devono imparare a leggere ogni debolezza sullo sfondo di una misericordia più grande che solo la Chiesa custodisce e comunica attraverso i sacramenti. Le citate parole del cardinal Schuster, «laboratorio di risurrezione», fanno intuire la pesantezza delle cadute che la Chiesa pure vive, senza però assolutizzarle. E vengo brevemente al «come» della nuova evangelizzazione. Condivido il principio di concentrazione che don Sergio propone: la Chiesa come tema centrale intorno al quale far girare tutto. Aggiungerei, però, l’uomo, che è «prima e fondamentale via della Chiesa», come scrisse Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis.

 

Convegno
Ostensus magis quam datus
 
Per celebrare i cento anni dalla nascita di Albino Luciani, «L’Osservatore Romano» e il «Messaggero di sant’Antonio» organizzano, l’8 novembre, nella Città del Vaticano il convegno «Ostensus magis quam datus» («Mostrato piuttosto che dato»), in riferimento ai soli trentatré giorni di pontificato di Giovanni Paolo I.

I lavori prenderanno il via nell'Aula vecchia del Sinodo alle ore 9.45 con il saluto di Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano» e l’introduzione di Ugo Sartorio, direttore del «Messaggero di sant’Antonio». A seguire, interverranno i docenti Gianpaolo Romanato, università di Padova (Un uomo venuto dal Veneto); Roberto Pertici, università di Bergamo (La passione del comunicare); Sylvie Barnay, université de Lorraine (Quattro settimane di dottrina) e lo scrittore Juan Manuel de Prada (Giallo in Vaticano). Le conclusioni sono affidate a monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia successore di Albino Luciani sulla cattedra di san Marco. Nell’occasione del centenario è stato inoltre rieditato Illustrissimi. Lettere ai grandi del passato, il libro che raccoglie i quaranta articoli scritti da Giovanni Paolo I sulle pagine del «Messaggero di sant’Antonio» tra il 1971 e il 1975. La postfazione alla nuova edizione è di Giovanni Maria Vian.
 
Per informazioni:

e-mail convegnoluciani@santantonio.org;

vati1010@ossrom.va; tel. 06 69899303
 
 
Lettera del mese. Politicanti
 
Arroganza e ostentazione, frutti malati della politica
 
«A loro i privilegi e a noi i sacrifici», semplifica la gente comune parlando della casta dei politici, e non ha tutti i torti.
 
«I troppi scandali degli ultimi mesi (cassieri di partito, membri di giunte regionali, liberi battitori, ecc.) sembrano sempre più mettere fuorigioco una classe politica ormai in-credibile. Monta l’antipolitica, è vero, ma a fronte di signori che oltre a essersi riempiti le tasche sbeffeggiano tutto e tutti, mostrandosi arroganti ed esibendo il loro status di nuovi ricchi, cosa dovrebbero fare gli onesti cittadini? Probabilmente c’è sempre stato qualcuno che ha approfittato del denaro pubblico, ma una volta, quando si veniva scoperti, perlomeno ci si vergognava e restituire il maltolto era cosa normale. Oggi assistiamo a un esibizionismo bello e buono, a penosi tentativi di autogiustificarsi anche quando i fatti sono schiaccianti. Perché questa degenerazione?».
Carlo – Roma
 
Qualcuno l’ha chiamata nuova tangentopoli, a venti anni di distanza da una drammatica vicenda che in Italia, agli inizi degli anni Novanta, ha affossato un’intera classe politica e a partire dalla quale si è via via allargata la distanza tra i cittadini e i propri rappresentanti.
Troppi politicanti sono stati scoperti con le mani nel sacco, e se fino a qualche mese fa le Regioni (o alcune di esse) erano ritenute a priori virtuose a fronte di un apparato centrale sprecone e di una casta di politici romani interessati più ai personali privilegi che al bene comune, ora l’impressione è che il vizietto di approfittare delle risorse pubbliche sia periferico nonché trasversale. È vero che non bisogna fare di ogni erba un fascio e che molti sono gli onesti, ma guardando i tg e leggendo i giornali viene spontaneo un moto di ribellione, una reazione rancorosa con il conseguente desiderio di azzeramento di situazioni paradossali dalle quali i cittadini si sentono letteralmente presi in giro. «A loro i privilegi e a noi i sacrifici», semplifica la gente comune, e non ha tutti i torti.

Anche perché le molte promesse sulle riforme della politica hanno partorito il classico topolino, e dopo parole altisonanti tutto è rimasto come prima. La girandola di sotterfugi istituzionali, sottrazioni indebite, sperpero di denaro pubblico ha fiaccato la già tenue fiducia nei confronti della classe politica, e l’antipolitica (che è un altro modo, demagogico, di fare politica per capitalizzare il consenso dei molti sfiduciati) avanza come un’onda anomala e non può non preoccupare. Ma nella sua domanda c’è un interrogativo preciso che riguarda una sorta di mutazione antropologica, vale a dire il profilarsi di politici (politicanti!) di nuovo corso, approfittatori senza scrupoli, immuni da vergogna e con scarsa frequentazione della coscienza, un «muscolo» – come amava ripetere il cardinal Martini – che per funzionare bene va tenuto allenato. Mi hanno colpito alcune parole pronunciate il 5 ottobre scorso dal cardinal Ravasi nel corso di un incontro, ad Assisi, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Abbiamo perso l’idea del futuro e abbiamo una malattia peggiore dell’immoralità, che è quella dell’amoralità, della totale indifferenza, ed è per questo che si ha anche l’arroganza nel mostrarsi immorali».

Si esibisce la ricchezza, anche quella che non deriva dal proprio lavoro ma da risorse sottratte al partito e quindi ai cittadini, con protervia e veri e propri deliri di onnipotenza. Tutti lo sanno, non si tratta di costi della politica (che vanno onorati e sui quali non si discute) ma di costi derivanti da partitocrazia e malgoverno, corruzione e furberie, dall’amoralità di alcuni (comunque non pochi) che rischia di oscurare la credibilità dell’intera classe politica. In vista delle elezioni politiche del 2013 il panorama non è molto incoraggiante, per cui ci auguriamo che nelle prossime settimane si intensifichi la lotta alla malapolitica, mettendo a punto anche gli strumenti per farlo: ad esempio, il ddl anticorruzione. 
 
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017