Lettere al direttore

26 Giugno 2012 | di

In vacanza col senso di colpa
«La valigia è già pronta in corridoio. Tra un paio di giorni partirò per la villeggiatura: dieci giorni in montagna per respirare un po’ di aria fresca e staccare la spina dalla monotonia cittadina. Un appuntamento che, salute permettendo, non mi perderei per nulla al mondo. Eppure, quest’anno l’emozione dei preparativi ha ceduto il passo a uno strano senso di colpa, che s’impenna quando prendo in mano un quotidiano o ascolto il telegiornale. Tra crisi economica, terremotati, guerre civili e povertà, la scelta di soggiornare in una bella pensione, per quanto non lussuosa, e dedicare tutto il mio tempo al “dolce far niente” non è forse spia del mio egoismo?».
Cristina – Milano
 
Cara Cristina, nessuno, neppure il più virtuoso dei cristiani, è del tutto immune dall’egoismo. È il modo in cui questo viene affrontato che fa la differenza. A volte è necessario scordare se stessi per riuscire a servire il prossimo e, quindi, anche Dio. Ma veniamo al tuo senso di colpa. Certo, proporsi come volontaria nelle zone emiliane recentemente colpite dal sisma, portare qualche ora di conforto ai malati in ospedale, o contribuire a sfamare le fila di poveri che ogni giorno bussano alle mense di carità sono gesti che ti avrebbero reso onore. Il sentiero che conduce alla fede, però, è un lungo cammino che richiede esercizio e sacrificio: non sprecare dunque tempo a crucciarti delle tue mancanze, ma lavora su di esse. Anche approfittando di questo periodo di riposo per guardarti dentro con sincerità, dedicando una parte del tuo tempo alla preghiera e al dialogo con il Signore.

Come spiegava papa Benedetto XVI in un’afosa udienza d’agosto di un paio d’anni fa: «Siamo ormai nel cuore dell’estate, almeno nell’emisfero bo­reale. È questo il tempo in cui sono chiuse le scuole e si concentra la maggior parte delle ferie. Anche le attività pastorali delle parrocchie sono ridotte, e io stesso ho sospeso per un periodo le udienze. È dunque un momento favorevole per dare il primo posto a ciò che effettivamente è più importante nella vita, vale a dire l’ascolto della Parola del Signore». Ritieniti dunque fortunata di rientrare in quel 63 per cento di italiani (da una recente indagine Europ assistance – Ipsos) che quest’anno partirà per la villeggiatura, ricordandoti di ringraziare Dio per tale opportunità, perché di questi tempi non è cosa scontata. Dimentica per qualche giorno la crisi economica che tiene in ostaggio il nostro Paese e parti serena, cercando di riposarti e di recuperare un po’ di quell’energia che magari, al tuo rientro, ti consentirà di essere d’aiuto a qualcuno.

 
 
La «vergogna giusta» non passa di moda
«Accendo la tv e vedo tanto esibizionismo a qualsiasi ora, faccio un giro tra le bancarelle di vestiti ed è tutto un ammiccare all’oscenità, salgo in autobus e tra poco posso leggere le etichette della biancheria intima maschile e femminile, o ascoltare conversazioni “private” gridate al telefono cellulare. Personalmente continuo a vergognarmi se non sono vestita in modo appropriato, se la casa non è in ordine, se non mi sono presa cura di me. Sono davvero di altri tempi?».
Maria – Torino
 
Non credo che lei sia di altri tempi. Ci si vergogna nel momento in cui si ha a cuore qualcosa. La vergogna è un’alternativa al «chi se ne frega» e al «così fan tutti», è un risvolto positivo del «I care», mi interesso, di don Lorenzo Milani, che potrebbe anche essere tradotto proprio con l’espressione da lei usata, «prendersi cura». Molte regole sociali di semplice convivenza sono ormai sempre più deboli: l’altro intorno a me esiste solo in vista di uno scopo, altrimenti è come fosse invisibile, se non addirittura un intralcio. La deriva menefreghista è talmente diffusa da interessare anche gli studiosi, come testimonia il successo francese di Indignatevi! (2011) di Stéphane Hessel o l’uscita di Vergogna. Metamorfosi di un’emozione (2012) di Gabriella Turnaturi. Di certo, con questo moto dell’animo è bene fare i conti, anche per rintuzzarlo quando può diventare una subdola insidia. Non c’è nulla da vergognarsi, ad esempio, nel dover tirare la cinghia perché colpiti dalla crisi, o nell’andare incontro al biasimo dei più per un’azione dettata da un’ideale o dalla sequela di Cristo.

È stato lo stesso Gesù a mettere in guardia contro la tentazione di vergognarsi di lui (cf. Lc 9,26). Altro modo sbagliato di interpretare la vergogna è usarla per levarci indiscriminatamente a giudici del nostro prossimo, dispensando condanne senza appello.

In conclusione, è cosa buona coltivare un sentimento di vergogna verso il male, come già predicava sant’Antonio, che definisce «vergogna giusta quella che conduce alla gloria, quando uno si vergogna del suo peccato e vergognandosi lo rivela in confessione» (Domenica XII dopo Pentecoste). Lo «spudorato» (senza pudore) e lo «svergognato» (senza vergogna) stanno sull’altra sponda.
 

Una crociera carica di spirito antoniano
 

A distanza di un mese, non si attenuano gli echi positivi della crociera-pellegrinaggio «Con Francesco e Antonio tra Occidente e Oriente» che il «Messaggero» ha organizzato, dal 2 al 9 giugno, per i suoi lettori. A bordo, il clima di preghiera (con eucaristia, tredicina e rosario quotidiani) vissuto dai devoti del Santo è stato coinvolgente al punto tale che molti altri croceristi hanno voluto partecipare alla santa Messa con l’esposizione della reliquia di sant’Antonio. Partiti da Venezia e dopo una breve sosta a Bari, i pellegrini hanno visitato Olimpia, la casa della Vergine Maria a Efeso e la Basilica di sant’Antonio a Istanbul (nella foto), prima di fermarsi a Dubrovnik e quindi fare ritorno a Venezia, per concludere poi con la santa Messa a Padova, in Basilica. Ecco alcuni stralci delle lettere giunte in redazione.
 
«Caro direttore, sono salita a bordo della Msc Divina, nonostante i miei dubbi sulla possibilità di vivere momenti spirituali in un simile paradiso artificiale. Eppure, tra il luccichio degli specchi, gli ascensori panoramici, le cene luculliane e gli spettacoli in teatro, questa vacanza mi ha regalato anche momenti di preghiera e meditazione, nonché l’occasione di tenere vivo il rapporto con Gesù e con sant’Antonio. Grazie per aver reso possibile questa inverosimile esperienza!». 
Lucia – Pescara
 
«Gentile padre Ugo, un grazie sincero per la splendida esperienza. Il clima accogliente che si respirava nella nave Msc Divina – con tutta l’umanità del suo equipaggio –, unito alla tranquilla navigazione che attivava tutti i sensi, alle Messe quotidiane, alla presenza dei frati e della reliquia del Santo, hanno mostrato a noi pellegrini come diventare “viaggiatori dello spirito”. Quanto è importante essere vigili, essere allenati, avere occhio e strumenti utili per mantenere la rotta della propria esistenza!».
Stefania – Piacenza
 
«Vorrei ringraziarvi per la bella crociera che avete organizzato. È stata per me un regalo, prima di tutto della mia mamma, perché a lei è intestato l’abbonamento al “Messaggero”, e quindi di mio marito, che mi ha reso felice accompagnandomi. Grazie per le visite a tutti quegli splendidi luoghi e per la costante presenza di Antonio. A voi frati e a suor Adelina un grande abbraccio pieno di riconoscenza e affetto. Che il Signore ci aiuti sempre a vivere nel bene».
Lucia con Sergio – Milano
 
«Durante la crociera-pellegrinaggio ho vissuto momenti di grande gioia spirituale. In particolare, la reliquia di sant’Antonio sulla nave è stata una presenza viva, capace di ascoltare le necessità dei fedeli. A favorire questo clima positivo hanno contribuito le tante bellezze della natura in cui ci siamo imbattuti. Senza dimenticare le nuove amicizie tra pellegrini di ogni parte d’Italia, sbocciate sia a bordo della nave che durante le escursioni. Particolarmente toccanti sono state anche la messa nella Basilica di sant’Antonio a Istanbul e quella conclusiva al Santo di Padova. Da lì siamo tornati a casa pieni di speranza e di fiducia in Dio».
Paola – Bari
 
Lettera del mese. Separazioni
 
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito

Sincera com-passione, accoglienza fraterna e inclusione nella comunità: sono le linee pastorali con cui la Chiesa si ripromette di affrontare i fallimenti matrimoniali. Perché l’importante è stare in ascolto di chi soffre.
 
«Caro direttore, a giugno dell’anno scorso ho sposato quello che consideravo l’uomo con cui avrei trascorso tutta la mia vita. Purtroppo non è stato così. Dopo nove pacifici mesi di matrimonio, se ne è andato senza dare spiegazioni. Ora anch’io, mio malgrado, appartengo alla lunga lista dei “separati”. Condizione che non volevo e che ho subìto. Premesso che mi considero una buona cristiana che frequenta abitualmente i sacramenti e la messa domenicale, e mai sarei voluta arrivare a questo punto, le chiedo: qual è la mia posizione riguardo alla Chiesa? Mi dia un consiglio, ma soprattutto un aiuto, per ricominciare a credere nel prossimo e ad avere fiducia in Gesù che, ne sono sicura, non mi ha abbandonata. Anche se ora non riesco a capirla, questa croce ha una sua valenza. È solo questione di tempo perché mi si aprano gli occhi e io possa finalmente vedere tutto sotto un’altra luce».
Lettera firmata
 
Carissima, come dire parole che non suonino vuote di fronte alla sofferenza? Vorrei tanto che alla Chiesa fosse associata un’immagine di empatia, di partecipazione emotiva alle difficoltà che altri stanno affrontando, soprattutto quando si occupa di questioni drammatiche per gli uomini e le donne del nostro tempo… e quelle che riguardano il matrimonio e la famiglia sono certamente tra le più laceranti. Spesso, invece, si è portati a un’impressione contraria, poiché nella percezione comune è presente un’immagine di Chiesa poco materna, severa e giudicante, incapace di veicolare esperienze di autentica consolazione e di riconciliazione profonda con se stessi e con i propri fallimenti. In questo ambito così delicato, gli interventi ecclesiali fanno fatica a «scaldare il cuore»: danno l’impressione di fredde deduzioni teologiche (riaffermazione dell’indissolubilità del matrimonio) e di rigorose disposizioni disciplinari (non accesso ai sacramenti). Posizioni formalmente corrette, anche se di fronte a situazioni tanto dolorose sono convinto che la Chiesa abbia il compito prioritario di mettersi in ascolto rispettoso dei propri figli sofferenti e di annunciare loro che il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito (cf. Sal 33,19). Solo così può essere strumento dell’incontro con Colui che è misericordioso e benigno, lento all’ira, ricco di misericordia e di fedeltà (cf. Es 34,6). Le linee pastorali per le situazioni matrimoniali infrante devono ispirarsi a sincera com-passione, accoglienza fraterna e inclusione nella comunità, ma questi atteggiamenti stentano a emergere nella consapevolezza diffusa dei cristiani, anche se i documenti ufficiali lo dicono ormai da trent’anni e il Papa lo ha ricordato di recente anche in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie che si è svolto a Milano dal 30 maggio al 3 giugno.

Vale la pena ricordare che la Familiaris consortio, n. 84, esorta caldamente pastori e fedeli ad aiutare separati e divorziati (risposati e non) affinché non si considerino «separati dalla Chiesa potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio».

Per coloro che non sono coinvolti in una nuova unione non vi sono ostacoli particolari a ricevere i sacramenti. La comunione frequente può certamente costituire uno strumento efficace per affrontare il senso di solitudine e tutte le altre difficoltà che affliggono i coniugi separati, soprattutto chi ha subìto l’abbandono, insieme al sostegno della comunità ecclesiale che non deve risparmiare gesti di stima, solidarietà, comprensione e aiuto.
Vorrei davvero che tutti noi cristiani fossimo capaci di imitare concretamente Gesù di Nazaret compagno di cammino dei piccoli, di coloro che si sentono abbandonati ai bordi di una strada che prometteva un lungo viaggio interrotto in modo imprevisto, lasciando sensi di sfiducia e di profonda delusione (cf. Lc 10). Lui sì che sapeva trovare parole dirette al cuore, senza dare l’impressione della chiacchiera; noi spesso ci limitiamo a balbettare…

 

Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org

 
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017