Lettere al direttore

02 Settembre 2001 | di

A proposito di mercato equo e solidale

«Ho sentito in tv il professor Renato Brunetta, europarlamentare e noto economista, affermare con una risatina beffarda che il commercio equo e solidale è roba da `€œradical chic`€, e che le anime buone nel corso della storia hanno solo causato disastri e che se i bambini del Terzo mondo cuciono palloni per la Nike per tremila lire al giorno, almeno hanno di che mangiare...».
Bruno Sullis - Oristano

Non voglio commentare le dichiarazioni del professor Brunetta: non ho visto la trasmissione televisiva cui lei accenna, so però che anche altri economisti sostengono quelle tesi. La sua lettera mi ha ricordato un detto spesso ripetuto: «Non dare un pesce a chi ti chiede da magiare ma dagli una canna da pesca e insegnagli a pescare».
Antica saggezza, cinese credo, che porta la solidarietà  oltre il confine dell`€™elemosina. Ma se a quell`€™uomo togliamo i pesci o anche il fiume, che cosa succede? Il lavoro dell`€™intera famiglia, figli compresi (che non potranno giocare né studiare), non basterà  a sopravvivere. Anche perché alla fine il prezzo del pesce sarà  sempre il padrone del fiume a imporlo.
Il mercato equo e solidale vuol mettere in crisi questa logica perversa, facendo in modo che siano i Paesi stessi produttori a gestire le proprie risorse e non le multinazionali che nell`€™intermediazione fanno soldi a palate, lasciando a chi produce solo le briciole e costringendo poi il consumatore, con le loro raffinate tecniche di persuasione, ad acquistare un prodotto invece che un altro, di solito il loro prodotto, anche se transgenico o variamente adulterato.
Non è impossibile mettere in crisi questi poteri: se tutti, tanti, almeno, rifiutassero certi prodotti, chiaramente risultato dello sfruttamento dei Paesi poveri da parte delle multinazionali, e facessero acquisti, quando possibile, nei negozi del commercio equo e solidale che quella logica di sfruttamento vuole sovvertire, qualcosa comincerebbe certo a cambiare.
Allora anche gli illustri economisti che ridicolizzano queste forme di solidarietà  o che ironizzano sulle tremila lire al giorno di paga per i bambini («È meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare», Mc 9,42) che lavorano per la Nike, dovranno rifare i conti e magari non più da maestri!
A proposito di «anime buone del passato», alcune si chiamano don Bosco, don Calabria, Cottolengo (non ci basterebbe l`€™intera rubrica per citarle tutte)... davvero senza fine il numero dei «disastri» da loro combinati!

Maghi e benedizioni
«Noto che si rivolgono a lei su maghi e fatture. Questa ormai è una vera piaga, peggiore ancora della droga. Infatti la droga se non la voglio non la prendo, mentre qui non solo vengono `€œrovinati`€ tutti coloro che si rivolgono direttamente ai maghi con conseguenze anche fisiche. Lo dico per esperienza. Da un periodo di osservazione è risultato che oggi avevo i sintomi accertati di una malattia, il giorno seguente mi veniva accertata la malattia opposta, il terzo giorno un`€™altra ancora, salvo l`€™assoluta mancata esistenza delle patologie precedenti... Un medico, mio amico, mi spiega la situazione e insieme conveniamo che era una cosa impossibile da curare con medicine... E così per anni, per decenni, fino a quando, dopo implorazioni profonde, il Signore mi ha fatto incontrare un ottimo sacerdote che con preghiere e benedizioni ha sgretolato e alleggerito di molto questa `€œcatena`€. Tutto questo mi derivava da invidie e gelosie che altri avevano nei miei confronti e dall`€™aver, purtroppo, nel mio condominio, una signora che ha la brutta abitudine di evocare e parlare con i morti... Perché gli altri sacerdoti incontrati prima, se erano a conoscenza che ci sono delle soluzioni a questi casi dolorosi, non mi hanno mai dato indicazioni precise? Io penso che gli attuali sacerdoti, purtroppo quasi nella totalità , non credano più nell`€™efficacia delle benedizioni».
Una lettrice

Nella basilica del Santo, la prima cappella a destra dopo la porta che immette nell`€™androne della sacrestia, si chiama «cappella delle benedizioni». Lì i frati stazionano a turno per l`€™intera giornata, accogliendo, ascoltando e benedicendo quanti si accostano a loro. E anche lì spesso succedono cose di non facile spiegazione, dal punto di vista razionale. Come vede, alle benedizioni qualcuno ci crede ancora. E nessun prete si rifiuterà  mai di benedire qualcuno che glielo chiede. Ma il tutto avviene in un rapporto di fede e di spiritualità . La Chiesa, prudente e saggia, per evitare speculazioni e inganni preferisce tenere il tutto in questo rapporto personale; non ama le spettacolarizzazioni. Occorre anche dire che spesso dietro a presunti «malocchi», possono nascondersi fragilità  di tipo psicologico, che vanno risolte anche ricorrendo a chi conosce la materia, che potrebbe anche essere un sacerdote.

Quel fatidico 8 settembre
«`€œIl fatto`€ di Biagi del 25 aprile scorso ricordava il giorno della liberazione. Ho rivissuto le umiliazioni e le sofferenze patite in due anni circa, prigioniero dei tedeschi.
«L`€™8 settembre 1943 accadde la triste sorte di molti militari italiani. Io facevo parte del II battaglione mobilitato dalla Guardia di finanza, con sede a Podgorica (Montenegro), dopo aver partecipato in prima linea sui fronti greco-albanese e yugoslavo-albanese. Con altri aderimmo all`€™appello del generale Badoglio: resistemmo alcuni giorni, ma i militari tedeschi ebbero la meglio perché disponevano di autoblindo e carri armati. Ci arrendemmo. Noi del II battaglione fummo concentrati in un campo alla periferia di Scutari (Albania), senza disponibilità  di riparo: solo fieno per poterci stendere la notte.
«Trascorsi tre giorni, su camion, ci trasferirono a Prizlen, poi a Urosevac. Indi, su vagoni merci della ferrovia a scartamento ridotto, ci sistemarono nella periferia di Belgrado, in aperta campagna sulla riva del Danubio. Qui, ci alleggerirono liberandoci di vari oggetti personali. Soffrimmo fame e freddo per le prime nevi. Io mi trovai aggregato con militari della Sanità  italiana e spedito su carri della ferrovia italiana, recanti la scritta `€œCavalli e uomini 40`€, il cui convoglio attraversò territori della Romania ammantati di neve... Il 20 dicembre 1943 in treno fummo condotti a Moosbierbaum, lestamente impiegati nei lavori di costruzione di uno stabilimento industriale. Il lavoro veniva svolto dalle ore 7 alle 20.
«Un giorno scaricando enormi lastre di ferro da carri ferroviari provenienti da Marsiglia, mi fratturai il dito mignolo della mano destra. Pur ferito dovevo lavorare: `€œmuss arbeit`€ era l`€™incitamento. Quivi mi trovai affetto da Herpes zoster sull`€™intero fianco destro, da metà  schiena a metà  petto. Mi trasferirono a Gneixendorf, dove c`€™erano prigionieri di varie nazioni, tra cui donne polacche e russe, nonché separati da folto reticolato americani, canadesi e inglesi. Una mattina fu disposta perquisizione generale. In tasca mi trovarono un pezzo di filo elettrico che io avevo raccolto per ricavarne lacci per le scarpe. Il `€œgiudice`€ del campo mi condannò a tre mesi di lavori forzati: `€œstarkarbeit`€, e mi trasferirono, insieme con altri 24 puniti a Prinzwiese. Ivi, eravamo adibiti ad abbattere abeti. Il vastissimo bosco si estendeva sulle montagne di Martinsberg e di Schà¶nbach. Dai lunghi tronchi, dovevamo eliminare i rami e la corteccia con appositi arnesi, e trascinati a valle mediante rampini, per poi caricarli su idonei mezzi di trasporto per essere concentrati presso l`€™industria del legno. Nella località  c`€™erano anche ebrei di entrambi i sessi. Verso la fine di novembre, io e altri cinque in camion e in treno, fummo trasferiti a Rohrbach, oltre Vienna, al limite del confine cecoslovacco e ungherese, per l`€™impiego in lavori di fortificazione, onde impedire l`€™avanzata dei russi. L`€™adempimento coatto era dall`€™alba al tramonto, con badile e picco, indistintamente uomini e donne. Qui, altro nemico era la neve, il fango, la sporcizia. Il dormitorio era in stalle requisite, con paglia di segale sul suolo per giaciglio. Noi sei ci trovammo uniti a prigionieri francesi. Come docili animali eravamo continuamente incitati, mediante l`€™uso di frusta-nervo. Per cibo un tozzo di pane scuro e brodaglia di rape, una carota e una patata al dì. Nella `€œkà¼che`€, su bascula ebbi modo di pesarmi: vestito com`€™ero indicò 45 kg circa. Il cibo si riduceva presto a feci.
«Una mattina, tra capo e collo, ebbi una frustata da soldato tedesco, perché ritenne che io stessi commettendo `€œsabotage`€, sterrando il materiale in altra maniera. In un attimo caddi nel canale anticarro profondo sei metri. Mi fratturai la gamba sinistra, dove è rimasto un callo osseo, per mancanza di cure. Mi riportarono a Prinzxiese. Morì Roosewelt. Dopo l`€™elezione del presidente Truman, su quelle montagne apparvero le `€œfortezze volanti`€. Alcuni montanari confidarono che i russi erano nelle vicinanze di Berlino e di Vienna.
«Il 12 aprile 1945, i soldati e civili tedeschi, che ci seguivano nei lavori, nottetempo sparirono. Ci trovammo abbandonati. Un montanaro ci consigliò di andarcene, orientandoci verso l`€™Italia. E iniziò così l`€™avventura del ritorno.
«I miei compagni di ventura, potendo leggere quanto esposto, avranno la possibilità  di darmi notizia del loro recapito».
Francesco Inis - Porto Torres

Per ragioni di spazio abbiamo tagliato l`€™ultima parte del suo ricordo di quegli anni. La storia dovrebbe insegnarci a non ripetere certi errori. Ma pare che la storia sia sì magistra vitae, maestra di vita, come dicevano gli antichi, ma anche che gli uomini siano dei pessimi discepoli.

Anziani e volontariato
«Sono una vostra abbonata. La rivista, per me, ha molto di positivo, soprattutto i dossier. Mi è piaciuto quello sul volontariato. Però, perché incitate al volontariato solo i giovani, che non sono allenati al lavoro, non sono professionali, mal preparati, instabili...? Perché non aprite anche agli anziani per periodi più brevi, in occupazioni meno faticose... Ma per tutti vale la legge evangelica per cui l`€™operaio deve ricevere la mercede del proprio lavoro. I giovani s`€™invoglierebbero di più, e meglio, e per i pensionati sarebbe una disponibilità  maggiore (limitati nella generosità  a causa di misere pensioni)».
Una pensionata

Incitiamo solo i giovani al volontariato? Ci dispiace di avere dato questa impressione: non vogliamo discriminare nessuno. Tuttavia, stando alle statistiche, pare proprio che siano i giovano ad avere bisogno di essere incitati perché i più avanti negli anni nel volontariato ci stanno già , e sono la grande maggioranza. Quanto alla «mercede del proprio lavoro», non sappiamo che cosa lei intenda, perché la «mercede» del volontario è la soddisfazione di aver fatto qualcosa per gli altri. Il resto, soldi o altro, non è previsto perché fa a pugni con l`€™idea stessa del volontariato. Ma è poi sicura che i giovani siano come lei li descrive? E se lo sono, un po`€™ di volontariato non farebbe loro bene?

La tv propone e la famiglia dispone
«Sono lettore occasionale della vostra rivista che conosco grazie ai miei genitori abbonati da anni. Il motivo è questo: sono felice e vi sono grato d`€™aver letto, sul numero di giugno, l`€™articolo di don Oreste Benzi che trattava dell`€™ipocrisia su certi fatti di attualità  della nostra società . Il titolo era `€œOrrore e sdegno a senso unico`€. Ebbene io condivido tutto quanto è scritto. Lo condivido e vorrei gridarlo al mondo perché questi mali ci stanno distruggendo e purtroppo non ce ne rendiamo conto. Ho letto tempo fa su un`€™altra rivista una frase che in un certo senso spiega i drammi comportamentali di questo nostro tempo. La frase dice: `€œIl peccato più grave dell`€™epoca contemporanea è la perdita del senso del peccato stesso`€. Io vorrei aggiungere a questa frase la stupidità  dei nostri tempi, stupidità  farcita e incoraggiata dalla tanta pubblicità  negativa e vergognosa in onda nelle tante televisioni o radio nazionali. A tal proposito vorrei aggiungere la mia protesta alle due lettere evidenziate, sempre sul numero di giugno nella rubrica `€œLettere al direttore`€ a firma Carlo Alberto di Bologna e Rosa Zelli, nelle quali si sottolinea la gravità  di certi programmi scandalosi, portatori di danni enormi in chi li segue (soprattutto i giovani). Così li definiva, il 21 gennaio u.s., il cardinal Ruini: `€œVuoti, privi di significato, facenti leva sugli istinti e le curiosità  più volgari`€. Non ultimo il Santo Padre, il 5 aprile u.s., nel messaggio ai giovani riuniti a Roma: `€œGuardatevi dagli speculatori di emotività  che portano a scelte immorali`€».
Giorgio Sartoris - Vibo Valentia

Non dobbiamo dare la colpa di tutto il male che sommerge il mondo alle tv, si rischia di creare un comodo quanto pericoloso alibi. Un vecchio detto afferma che l`€™uomo propone e Dio dispone. Possiamo dire, variando: la tv propone e la famiglia dispone. Cioè una famiglia presente e beneducante, meglio se aiutata dalla scuola e dalle altre agenzie educative, può neutralizzare la tv. Tuttavia le tv, a guardare quel che propongono, stanno dando man forte per far crescere la perdita del senso del peccato e tutto il resto che giustamente e bene rileva. E batterci per un tv più pulita e positiva è un nostro dovere.


«State allegri nel Signore»

«Oggi si ripete spesso che il Vangelo va vissuto nella gioia, cosa che ho letto anche in san Paolo: `€œState allegri nel Signore`€. Ma io, spesso, ho periodi di depressione; e allora, dove posso andare a prendere l`€™allegria, quando già  devo lottare per mantenere la fede?».
Rosa - Brescia


Certamente il messaggio evangelico è un messaggio di gioia, di pace e di serenità : e il coltivare questi sentimenti è un potente aiuto per tenere viva e operante in noi la fede. Ma l`€™esperienza cristiana non è fatta solo di gioia; è fatta spesso anche di aridità  e di silenzio di Dio. Basti pensare a quante volte nei salmi `€“ pur ricchi di esultanza `€“ ricorra questo motivo. E anche nella vita di molti santi, a periodi lieti si alternano periodi di oscurità . Santa Teresina, ad esempio, nell`€™ultima parte della sua vita, subì dure prove di fede, al punto che le pareva di camminare spiritualmente in un lunghissimo tunnel buio, sul cui fondo soltanto, in lontananza, intravedeva un briciolo di luce. E la sua reazione è uno stupendo insegnamento per chiunque sia nella prova spirituale. Riferendosi, infatti, alle parole di Gesù «Beati quelli che credono senza vedere» si dichiarava contenta di trovarsi nell`€™oscurità , perché in questo modo poteva amare di più Dio. «Infatti `€“ affermava `€“ non abbiamo che questa vita per vivere di fede».
Naturalmente per avere la garanzia che questa prova venga da Dio, il quale desidera vederci il più contenti possibile, occorre fare la propria parte per guarire dalla depressione, con l`€™eventuale aiuto di farmaci e ricorrendo al consiglio di chi sia esperto nella vita spirituale e psicologica.

La Carta delle delusioni

«Leggo sul `€œMessaggero`€ di aprile un articolo sulla Carta dei diritti firmata a Nizza, che dice a proposito di uno dei paesi membri: `€œL`€™Inghilterra, che rimane in costante e non creativo bilico mezza dentro e mezza fuori, ha deluso molti`€; béh, io suppongo che siano gli inglesi, i `€œveri`€ inglesi, che sanno com`€™ è fatto e come gira il mondo, i veri delusi. Personalmente, come italiano, mi sento deluso non solo per motivi inerenti il nostro Paese, ma anche da altri Paesi, come Francia e Germania, che storicamente si sentono superiori e che invece, non sanno più quello che sono, come non è più la stessa neanche l`€™Europa dopo il crollo del muro e la guerra nei Balcani.
«Mi è antipatico pure Prodi dal quale né io, né molti altri italiani si sentono rappresentati (a proposito, quando termina il suo mandato?); ritengo, inoltre, che dovrebbero smetterla di raccontare balle circa i diritti dei cittadini e dei lavoratori dell`€™Unione, se la realtà  di fatto è lontana e ben diversa; verificare per credere...»
Franco - Bologna

Ha ragione, i diritti spesso rimangono sulla carta e il mondo va avanti per la sua strada ignorandoli. Per questo la realtà  è spesso diversa da quello che le carte dicono. Per questo il numero dei delusi aumenta (anche tra gli inglesi, ci creda) Però è importante che quelle carte siano state scritte, sono pur sempre qualcosa cui appellarsi. Non crede? Ma se il suo pessimismo è invece totale, non credo che un altro diverso dal vituperato Prodi possa fare per lei granché.

Essere amici di Dio

«Sono fidanzata con un bravissimo ragazzo, che mi piace tanto, anche perché è molto comunicativo e, essendo un acuto osservatore della realtà , tra noi il dialogo non manca mai. C`€™è però un ostacolo. Per lui la fede è tutto, per cui cerca di vivere alla luce di essa tutti i suoi problemi e specialmente i rapporti col prossimo. Di questo suo impegno cristiano lui mi comunica le sue esperienze, le sue difficoltà , le vittorie riportate su se stesso, i suoi insuccessi e le sue riflessioni, specialmente sul Vangelo.
«Io però non sono alla sua altezza e mi sforzo di essere solo una normale buona cristiana, e non una persona impegnata in modo eccezionale con lui. Devo anche ammettere che sono piuttosto superficiale e spiritualmente pigra e, più che riflettere, preferisco tenermi occupata in tante cose che mi distraggono. Così quando lui mi parla del suo impegno cristiano, non solo non ho mai nulla da aggiungere, ma per ascoltarlo devo anche superarmi; e di questo lui si accorge e ne soffre. Ma cosa fare se sono cresciuta così?».
Vittorina

La sua lettera contiene un errore di fondo, il cui chiarimento potrebbe aumentare in modo deciso il suo spessore spirituale e potrebbe rinsaldare il rapporto con il suo fidanzato. Lei parla di sé come di «una normale buona cristiana», e del fidanzato come di una persona impegnata a vivere con totale coerenza la fede. Ma questa distinzione tra cristiani «normali» e cristiani «impegnati» non ha senso. Infatti tutti i cristiani sono chiamati ad amare Dio con tutto il loro essere, a cercare giorno per giorno di raggiungere un rapporto sempre più bello e profondo con lui, a crescere nella capacità  di amare il prossimo e in quella di esercitare con crescente perfezione i loro doveri.
Anche per lei, dunque, esiste questa chiamata totalizzante; e se si avvierà  su questo cammino lo Spirito Santo l`€™aiuterà  con tutti i suoi doni, che apriranno pian piano la sua mente a una maggiore comprensione della gioiosa bellezza della vocazione cristiana. D`€™altra parte un dono prezioso Dio glielo ha già  fatto, ponendole vicino un giovane già  saldamente orientato verso la fedeltà  al Vangelo. Cerchi quindi di dialogare con lui, magari chiedendogli, per ora, solo chiarimenti ed esponendogli le sue difficoltà  verso questa nuova via che le si apre. E vedrà  che già  questo tentativo di dialogo (anche se inizialmente portato avanti con un po`€™ di fatica e forse anche di rifiuto), la arricchirà  interiormente, perché `€“ come si dice il Vangelo `€“ Dio è presente là  dove due o più sono uniti nel suo nome. In seguito, poi, quando sarà  penetrata in lei questa nuova mentalità , comincerà  anche lei ad avere esperienze e riflessioni da comunicare; e così si consoliderà  tra voi l`€™amore più bello e più vero, quello di essere amici in un Dio il quale non desidera altro che aumentare la gioia del loro amore e di una pienezza di vita vissuti nella prospettiva delle luminose verità  della fede.

Diventa migliore per amore dell`€™altro

«Durante il corso di preparazione al matrimonio, per i fidanzati, la psicologa ha tenuto una bellissima conversazione sulla vocazione della coppia a realizzare un `€œunico essere`€, così come vuole il progetto di Dio; e ha illustrato la gioia profonda che possono trovare i coniugi che vivono per essere sempre più uniti. Per me questo discorso è stata una rivelazione, che mi ha caricata di slancio. Invece una mia amica, laureata in filosofia, mi ha confidato tutta una serie di critiche riassunte in una frase che ha ripetuto spesso e cioè che detestava una concezione del matrimonio in cui i coniugi dovrebbero divenire un unico corpo mostruoso, con due teste pensanti allo stesso modo. Sosteneva anche che la persona è il valore supremo e che l`€™annullarla, sia pure per amore, è un suicidio che nemmeno Dio può volere. Devo dire che non sono stata capace di ribattere e che le idee su questo tema mi si sono un po`€™ confuse».
Samantha

Se il realizzare l`€™unico essere di cui parla il Vangelo comportasse effettivamente l`€™annullamento della personalità  dei coniugi, la critica della sua amica sarebbe pienamente fondata. Ma per fortuna l`€™unione coniugale rettamente intesa porta non già  all`€™annullamento, bensì al rafforzamento e all`€™arricchimento delle rispettive personalità . Partiamo da una considerazione semplicissima. Ciò che dona ai coniugi la gioia del sentirsi uniti, del sentirsi l`€™uno dell`€™altro e l`€™uno nell`€™altro è `€“ come ben si sa `€“ il dono reciproco di sé, animato dall`€™amore. Ma è chiaro che c`€™è dono e dono; e non è certo un vero dono quello di offrire all`€™altro una personalità  «annullata», passiva, etero-dipendente, priva di iniziativa e di ricchezza interiore e magari preda di quei difetti che si generano su un terreno spirituale di pigrizia e rinuncia alla crescita personale.
Vero dono, al contrario, è offrire all`€™altro coniuge il proprio vero Io, cioè la parte migliore di sé: una parte che bisogna cercare ogni giorno, impegnandosi a migliorare un po`€™, perché tutte le doti positive sono «facoltà  di crescita» che tendono a svilupparsi e quindi reclamano di essere coltivate, altrimenti regrediscono. Lungi, dunque, dal rendere passivi i coniugi, l`€™amore li deve spingere il più possibile verso una pienezza personale di vita, che va dalla ricerca del rapporto col divino, ai vari aspetti di una pienezza umana totale e all`€™intelligente progressiva identificazione dei fondamentali contenuti dell`€™«arte di amare».
Come dicevamo, però, questo sviluppo individuale va ricercato non solo per la propria soddisfazione, ma ancor di più come dono per l`€™altro e come mezzo per poter arricchire e rendere sempre più bella la vita di coppia. E affinché questo arricchimento avvenga, nel vivere questa «vita piena» vanno coltivati in particolare i diversi aspetti unitivi, come il porsi delle mete comuni e come l`€™imparare l`€™arte non facile di decidere insieme: arte che ha il suo fondamento nella consapevolezza che l`€™amore è per la coppia il valore più grande e più gratificante, nonché fonte della presenza stessa di Dio. E all`€™occorrenza merita quindi la rinuncia alla realizzazione di desideri non condivisibili. Ma questa potenziale disposizione a lasciare ciò che può dividere, realizza la Beatitudine della «povertà  in spirito», e non costituisce affatto una rinuncia al proprio Io, ma l`€™affermazione massima di esso, perché esige grande forza d`€™animo e perché mai si è così profondamente se stessi come quando si mette in atto un vero amore, che costituisce l`€™essenza stessa del nostro spirito.
In conclusione possiamo dire che i coniugi sono chiamati a vivere con un`€™intensità  del tutto particolare l`€™invito evangelico a sviluppare tutti i propri talenti. Sono altresì chiamati a condividere la più profonda disposizione dell`€™animo di Gesù, quella che più ci fa assomigliare a lui: la stessa espressa nelle sue parole «per essi santifico me stesso»; parole che indicano quell`€™amore oblativo che deve portare all`€™elevazione personale orientata al dono, che è passaggio necessario per il raggiungimento della vera gioia del «noi».

Dall`€™affido all`€™adozione: una bella storia d`€™amore

«Siamo una coppia (cattolica praticante) di Bologna che ha adottato lo scorso anno una bambina italiana di un anno. La nostra piccola era in affido dalla nascita poiché i genitori biologici sono tuttora in vita, anche se irreperibili poiché senza fissa dimora e tossicodipendenti. È stata una bellissima esperienza di amicizia con la famiglia affidataria, persone straordinarie che ci hanno accolto a casa loro nel periodo di avvicinamento, nonostante il forte legame e il desiderio di adottare loro la bambina.
«Ma non si sono mai frapposti e da subito ci hanno indicato alla piccola come mamma e papà . È andato tutto molto bene, e ora ci ritroviamo famiglia felice e serena con dei nuovi cari amici che non usciranno dalla vita di nostra figlia poiché sono stati tanto importanti nel suo primo anno. Perché tagliare via quel po`€™ di passato che ha?
«Anche l`€™iter burocratico è stato molto lineare. Con l`€™assistente sociale e soprattutto con la psicologa, è nato un rapporto molto utile e costruttivo per noi come coppia e come futuri genitori. Non abbiamo avuto intoppi di alcun tipo e dopo un mese dal decreto di idoneità  siamo stati chiamati dal Tribunale dei minori di Bologna per un eventuale abbinamento che poi si è trasformato in una figlia!
«È stata un`€™esperienza che ci ha insegnato a guardare i figli come a un immenso dono che ci è stato dato, non come a una `€œproprietà `€, come a qualcosa di scontato. Certamente guarderemo così anche il figlio che, miracolosamente dopo otto anni di matrimonio, abbiamo concepito e che nascerà  a settembre.
«Non abbiamo mai sentito la mia sterilità  (a questo punto, presunta) come un handicap ma come un segno che eravamo destinati ad altro. Ossia a questa nostra figlia donata da Dio in tutti i sensi, improvvisa e meravigliosa. La nostra è una storia a lieto fine, senza alcun `€œcolpo di scena`€ e senza nessun risvolto tragico, per cui non so se può interessare i giornali (in diversi mi hanno risposto che le belle storie non fanno notizia...). Penso però che possa ridare fiducia a tanti aspiranti genitori che affrontano il mondo dell`€™adozione con mille dubbi e un sacco di timori».
Loretta Lanzarini

In queste vicende non sempre tutto fila liscio. Questa volta è successo. E così una bambina ha trovato un papà , una mamma e poi, visto come sono andate le cose, anche un fratellino, che dovrebbe nascere giusto in questo mese. Ringraziamo insieme Dio e auguriamoci che il caso si ripeta per tante altre coppie in attesa.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017