26 Settembre 2013

Lettere al direttore

Un lavoro a 50 anni, grazie al «Messaggero»!

«Caro padre, volevo renderla partecipe di un fatto: la lettura del “Messaggero” di marzo mi ha permesso di trovare lavoro. Leggendo l’articolo dedicato alla cooperativa “Fraternità sistemi” è scattata in me l’idea di chiamarli. L’intenzione era di fare un periodo non retribuito presso la loro realtà, in modo da portare poi questa esperienza da noi, in Sicilia. Parlando con l’amministratore di “Fraternità sistemi” del mio progetto – in realtà irrealizzabile per questioni di budget – venne fuori che io ero in possesso del patentino di ufficiale delle riscossioni. Lì è scattato tutto. Mi ha chiesto se ero disposto a trasferirmi a Brescia per lavorare con loro. E così ho fatto. Il 23 luglio ho sostenuto il colloquio e abbiamo formalizzato la mia assunzione, con un contratto a tempo determinato di due anni. Che dire? Sono contento, spero che tutto vada per il verso giusto. Confido in sant’Antonio, il quale ha fatto sì che io chiamassi proprio nel giorno in cui il responsabile del personale era sul punto di contattare un’agenzia interinale per cercare una persona con la mia qualifica. Se questo non è un segno! Forse potrebbe utilizzare la mia esperienza per dire a chi cerca lavoro: osate e non arrendetevi mai! Io ero alla ricerca di un lavoro da due anni, e a 50 anni con due figlie all’università e uno alle superiori non è stato facile vivere la quotidianità. Anche se i problemi non mancano, godo di questa felicità che mi ha ridato autostima e sicurezza».

Tonino

 

Quando ho letto la testimonianza di Tonino ho provato due sentimenti che si completano a vicenda: la commozione nel vedere che il bene seminato produce frutti di bene oltre ogni fantasia, e la gratitudine nel vedere ancora una volta che… questi fatti di grazia davvero succedono! Mi unisco poi all’invito finale: sì, è proprio vero, dobbiamo osare senza arrenderci mai, anche quando la speranza sembra ridotta al lumicino, facendo appello alle nostre energie e alla provvidenza.

 

 

Figlia, ma anche sposa e presto mamma

«Caro direttore, sono una figlia di 34 anni, sposata e in attesa del mio primo figlio. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i miei genitori, o forse ho solo creduto di averlo. Per non deluderli ho represso i miei desideri di adolescente, ma dopo il matrimonio mi sono sentita libera di fare quello che volevo, senza comunque mettere da parte l’educazione trasmessami dai miei. Oggi, a causa di una gravidanza non facile, dovendo stare a riposo, mi ritrovo ad aver litigato con mia madre perché, anziché trasferirmi a casa sua, ho preferito rimanere a casa mia e di mio marito. Si è scatenato il putiferio! Sono diventata quella plagiata da mio marito, mentre i miei genitori per me non conterebbero più, e via dicendo. Sono molto combattuta: se rimango a casa so di stare bene, ma le parole di mia madre mi fanno male. Vorrei solo “tagliare il cordone”, ma senza perdere i consigli e l’amore dei genitori. A lei, direttore, e a sant’Antonio chiedo una preghiera e la forza di andare avanti senza perdere nessuna delle mie due famiglie, quella d’origine e quella che mi sto creando. Non vorrei infondere a mio figlio le mie stesse insicurezze, il mio troppo attaccamento a lui… Deve crescere, deve sbatterci la testa, ma dire sempre: “Mamma, papà, vi voglio bene”».

Lucia

 

Cara Lucia, lei si presenta dicendo: «Sono una figlia». Lo è e lo sarà sempre, è una condizione esistenziale irrinunciabile. Ma è anche sposa, di fronte a Dio e agli uomini: intendo dire che l’amore consacrato nel matrimonio è un sacramento, non un superfluo accessorio. È un’«investitura», un legame indissolubile di grande dignità che tocca nel profondo l’identità di chi è chiamato a vivere tale condizione. Del resto, ogni vocazione chiede quel «taglio del cordone ombelicale» che lei invoca. Il nuovo «noi» di coppia che avete creato ha la priorità. Anche se – e non ce lo si augura mai – questo significasse litigare con i propri genitori, o con altre figure relazionali importanti.



A lei e a suo marito il compito di preservare nel vostro cuore uno spazio di accoglienza (lo chiami amore, perdono, disponibilità…) per i genitori anche in questo frangente così delicato, cercando al contempo di far capire loro che avete preso una decisione matura, per il bene della vostra famiglia; ai genitori, e a voi che a vostra volta lo state diventando, il compito di non guardare mai ai figli come a un possesso personale e privato. Sant’Antonio, maestro di buone relazioni, vi accompagni.

 

 

Come promettere di non peccare più?

«Di recente mi sono riaccostato al sacramento della confessione, da cui mi ero allontanato soprattutto per la difficoltà di trovare sacerdoti disponibili nelle chiese che frequento. Al momento dell’atto di dolore, mi si sono riaf­facciati dubbi di vecchia data. In quella preghiera si fa il proponimento di non offendere Dio mai più: ma come si fa, infatti, a ripromettersi di non commettere più neanche un peccato? Ci sono cose per cui ci si può impegnare, come ad esempio la presenza alla Messa domenicale, ma per altre, che dipendono dal carattere, la cosa è più complicata e ci si può correggere solo con un lavoro paziente e graduale. Un sacerdote mi ha detto che dobbiamo contare sulla grazia di Dio; ma non credo che la grazia sia un colpo di bacchetta magica che si riceve passivamente e che ci cambia nel profondo fino a renderci immuni dai peccati. Insomma, come conciliare il proponimento di non offendere più Dio con la consapevolezza realistica che siamo tutti peccatori?».

Giuseppe – Catania

 

Caro Giuseppe, capisco i suoi dubbi e le sue difficoltà. Tuttavia la invito a riflettere su un punto. Se ognuno di noi può promettere solo ciò di cui è totalmente e indubitabilmente sicuro, la logica conseguenza è che nella vita nessuno può promettere alcunché, quindi nessuno può prendersi impegni né assumersi responsabilità. Ci sono, al contrario, momenti importanti, significativi, direi «ufficiali», in cui ognuno deve saper prendere una decisione, una parte, una responsabilità pur nella consapevolezza della propria fragilità. In quei momenti noi riconosciamo un proposito, ci diamo una meta pur sapendo che la strada da percorrere non sarà facile e che tale percorso sottende un processo di fortificazione.



Non basta invocare la grazia per trasformare le nostre vite. Come diceva san Tommaso, «gratia supponit naturam et perficit eam», ovvero la grazia divina non annulla la natura – cioè lo sforzo e le capacità umane –, ma la suppone e la perfeziona, portandola a compimento. Niente bacchette magiche dunque, ma una sintesi di impegno umano e di dono divino.

 

 


Fra Fabio Scarsato nuovo direttore editoriale

 


Fra Fabio Scarsato è il nuovo direttore editoriale del «Mes­saggero di sant’Antonio». A darne notizia, nei giorni scorsi, è stato il direttore generale dell’Opera Messaggero, fra Giancarlo Zamengo, eletto a tale carica, lo scorso mese di luglio, dal Capitolo provinciale ordinario della neonata Provincia italiana di Sant’Antonio di Padova. Contestualmente alla nomina di fra Fabio Scarsato è stata resa nota anche la nomina di fra Giancarlo Capitanio alla direzione gestionale dell’Opera Messaggero.

Nato a Brescia nel 1964, fra Fabio è frate minore conventuale dal 1986. Dopo la specializzazione in spiritualità francescana, conseguita nel 1992 a Roma presso la Pontificia facoltà dell’Antonianum, ha prestato il suo servizio inizialmente presso il Villaggio S. Antonio di Noventa Padovana, realtà francescana che si occupa di disagio giovanile e sociale, contestualmente dirigendo il «Messaggero dei ragazzi» e insegnando spiritualità francescana presso l’Istituto teologico S. Antonio dottore di Padova.



Nel 2005 viene inserito in una piccola fraternità che anima i due santuari della Basilica dei SS. Martiri di Sanzeno e dell’eremo di S. Romedio, nella trentina Val di Non, attraverso progetti di accoglienza e proposte di spiritualità.

Al nuovo direttore i migliori auguri di buon lavoro!

 

 

Lettera del mese.

Chiesa in cammino


 

Quel Papa troppo «alla mano»

 

Gli ultimi Pontefici hanno avuto stili relazionali molto differenti tra loro. Ma la sostanza è rimasta immutata: seguire Gesù Cristo, pur nella fatica di modi e linguaggi diversi ma più comprensibili dalla nostra sensibilità. Né meglio né peggio di quelli di ieri, solo diversi.

 

«Gentile direttore, ho appena letto che papa Francesco andrà ad Assisi il prossimo 4 ottobre. Personalmente, ritengo questo viaggio una cosa molto positiva, anche in considerazione del nome che questo Pontefice ha scelto. Ma non solo per questo. Mi piace l’idea di un Papa che s’ispiri a una figura come quella del Poverello di Assisi, innamorato di Gesù e dei poveri, difensore del creato, costruttore di pace. C’è una cosa, però, di papa Francesco che faccio proprio fatica ad accettare: il suo essere così “disponibile” con tutti, quasi fosse un uomo qualunque. I giornali raccontano di sue telefonate a destra e a manca, di selfie, cioè di autoscatti con il cellulare, nei quali si sarebbe fatto immortalare insieme a dei ragazzi. Non le pare un po’ eccessivo tutto questo? In fondo, è il Papa, un po’ più di sano distacco potrebbe aiutare a mantenere quel rispetto che tutti noi credenti, ma non solo, dobbiamo al sommo Pontefice…».

Lettera firmata

 

Quando fui ordinato sacerdote, mia nonna cambiò improvvisamente atteggiamento, e perciò linguaggio, nei miei confronti: se fino al giorno prima ero semplicemente uno dei suoi amati nipoti, da coccolare o da sgridare severamente secondo i casi, da quel momento iniziò a darmi, come si suol dire, del «voi». Non riuscivo a capirne il perché, tanto più che la simpatica vecchietta persisteva in questo modo di dire, anche se io ero davanti a lei neanche in saio, ma in pantaloni corti e canottiera, o magari stavo appassionatamente e rumorosamente giocando a calcio con altri ragazzi. La faccenda mi dava un tantino fastidio, perché non riuscivo a capire che cosa fosse cambiato in me o tra me e lei, che mi conosceva da piccolino e mi aveva persino più di una volta energicamente lavato e strigliato. Insomma, avevo la sensazione che il tutto mettesse in dubbio l’affetto che c’era tra noi, creando una sorta di «distanza relazionale» cui non ero abituato.



Col tempo, grazie a Dio, mi sembra di aver capito un po’ di più mia nonna e la sua sacrosanta esigenza di trovare un modo nuovo di relazionarsi al nipote nel frattempo diventato sacerdote, secondo le «parole» che nella sua esperienza di vita aveva a disposizione. Ma anche secondo il suo desiderio di esprimermi tutta la gioia e l’entusiasmo, sempre secondo il «vocabolario» e i modi che la sua cultura le aveva insegnato. Anzi, a questo punto apprezzavo ancora di più il fatto che tutto ciò non dipendesse da com’ero o meno vestito: era come se mia nonna fosse interessata ormai solo alla «sostanza» e non agli aspetti più superficiali. Qualche volta mi ha pure ripreso se non indossavo il saio, ma ormai lei vedeva il «cuore» della faccenda, per lei mai messo in dubbio dalle forme esteriori.



Ecco, a me sembra che entrambe le cose abbiano una loro dignità: che ognuno trovi il suo modo per esprimere il «rispetto» che dobbiamo sicuramente al Papa, ma anche la capacità di «andare oltre», di vedere ciò che davvero è necessario e conta.

«Ci sono cose che servivano nel secolo scorso, che servivano per altre epoche, per altri punti di vista, che ora non servono più, e che bisogna riadattare»: sono parole che papa Francesco ha detto ai cardinali dei vari dicasteri vaticani, in un incontro avuto il 10 settembre scorso, alludendo alla struttura della Chiesa semper reformanda, che «sempre si deve riformare».



E tu, caro fratello lettore, hai colto bene la sostanza: seguire Gesù Cristo! Anche al giorno d’oggi, pur nella fatica di modi e linguaggi diversi ma più comprensibili dalla nostra sensibilità. Né meglio né peggio di quelli di ieri, solo diversi.



Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org



Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017