Lettera del mese

Complimenti a Shirin Ebadi, al suo impegno per i diritti dei bambini e delle donne non riconosciuti o calpestati nel suo Paese.
31 Ottobre 2003 | di

Il 10 ottobre scorso, all'iraniana Shirin Ebadi, è stato assegnato il Nobel per la Pace 2003, per il suo impegno in difesa della democrazia e dei diritti umani di donne e bambini in Iran.
Il 12 ottobre sul bollettino parrocchiale del mio piccolo paese di provincia, il parroco, ricordando l'evento, esprimeva la sua amara delusione per il mancato riconoscimento al papa Wojtyla, affermando una palese disapprovazione nell'assegnazione del prestigioso premio a una donna, brava, ma sconosciuta. Alla lettura di queste parole, come di quelle lette nei giornali negli ultimi giorni, sono rimasta davvero allibita dalla venalità  dimostrata dal mondo cattolico. Credevo che le persone generose, caritatevoli e buone, come il Papa e il clero in generale, non facessero il bene dell'umanità  al fine di guadagnare un riscontro di successo.
Siamo tutti consapevoli del prestigio e dell'importanza umana e morale del Nobel per la Pace ed è certamente un riconoscimento dal valore inestimabile. Trovo scorretta, tuttavia, questa presunzione della Chiesa nei riguardi della vittoria del Papa e questa (inaccettabile, dal mio punto di vista) delusione nell'apprendere che Shirin Ebadi, tra i 165 candidati, ha ottenuto il riconoscimento.
Anche se non conoscevo Shirin Ebadi, sono felice dell'assegnazione di questo premio: innanzitutto, perché sono certa che questo riconoscimento potrà  significare un valido incoraggiamento allo sviluppo delle riforme democratiche in Iran; in secondo luogo, perché dal 1901 a oggi solo dieci donne si sono aggiudicate questo importantissimo premio.            
Chiara

La sua lettera entra nel vivo di una questione che ha tenuto banco   per alcuni giorni: la mancata assegnazione del Premio Nobel per la pace a Giovanni Paolo II. Su di essa sono corse varie voci. Una (Filippo Anastasi, per esempio, responsabile dell'informazione religiosa del Gr1, di solito bene informato) dice che in realtà  il Papa non era candidato a quel Nobel. La sua sventolata candidatura sarebbe stata una montatura delle lobby giornalistiche massonico-protestanti dell'Europa del Nord per incrinare, con la ovvia sconfitta, il grande prestigio di cui il Pontefice gode a livello internazionale e che a loro proprio non va giù.
Vero o falso? Non lo sappiamo. Di certo non ci risulta che la sconfitta abbia sminuito nel cuore della gente l'affetto e la stima verso un Pontefice così ostinatamente impegnato nel proclamare i valori della pace, della giustizia e della dignità  di ogni persona. E non lo fa certo per intascare un Nobel, per calcoli politici o per finire sui libri di storia, ma perché sa che come vicario di Cristo ha la missione di portare a tutti la Buona Novella del Vangelo. Infatti, non ci risulta che a Giovanni Paolo II sia mai stato assegnato alcun premio. Proprio per questo.
Qualcuno si è rammaricato ritenendo la mancata assegnazione un'offesa al Pontefice? Come tanti altri abbiamo pensato che in fondo quel riconoscimento non avrebbe aggiunto nulla ai meriti del Pontefice e che, anzi, il suo impegno risulta così più adamantino, estraneo a qualsiasi logica mondana.
Di certo sarà  stato Giovanni Paolo II il primo a non dolersene e a complimentarsi, anzi, per l'assegnazione del Premio Nobel per la pace a una donna, all'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi che si batte con coraggio per i diritti dei bambini e delle donne non riconosciuti o calpestati nel suo Paese, lontano dall'essere un Paese moderno, democratico, tollerante, rispettoso dei diritti della persona. Un premio che riconosce e dà  vigore alla lotta di questa donna, musulmana credente.
L' impegno di Shirin Ebadi è in sintonia con quello dello stesso Pontefice che, appunto, alla dignità  della donna ha anche dedicato una lettera enciclica, Mulieris dignitatem, che richiama problemi che sono sempre di viva attualità . Orizzonti che si incontrano di fronte al valore e alla dignità  della persona.

 

In Paradiso comunicherò con i miei cari?

Ricevo il Messaggero da tanto tempo. Prima lo riceveva la mia mamma. Poi i miei sono mancati e, successivamente, anche mio marito. Ormai sono vecchia: quest'anno ho compiuto ottant'anni! Le vorrei chiedere se nell'altra vita ritroverò i miei cari e, soprattutto, se potrò comunicare con loro.
Graziella

Sta facendo il bilancio dei suoi ottant'anni. Molte persone mancano all'appello e il suo cuore reclama una seconda possibilità , il riscatto di quelle relazioni nate per essere eterne. Perciò si chiede se nell'altra vita potrà  comunicare con le persone che ha amato.
Sì. La fede le dà  questa speranza.
Nell'aldilà  incontreremo Dio e il faccia a faccia con lui sarà  un'esperienza totalizzante. Tuttavia, le Scritture lasciano intuire che la permanenza in Paradiso avrà  anche una dimensione sociale. Entreremo nella vita eterna con tutto il nostro essere, con tutte le risorse che oggi ci definiscono, comprese le relazioni con gli altri.
La nostra identità  non potrebbe prescindere dai rapporti con gli altri, poiché si forma grazie a loro. Se noi fossimo nati e cresciuti in India o in Giappone saremmo persone diverse. Come il nostro profilo umano sarebbe differente se appartenessimo alla famiglia della porta accanto.
In Paradiso la nostra felicità  sarebbe imperfetta se non potessimo dividerla con coloro che abbiamo amato, che ci hanno permesso di essere quello che siamo. La catechesi tradizionale ci ha dato un'idea del Paradiso che non ci aiuta a godere per ciò che promette. L'ha presentato come un luogo incantato, statico, privo di vitalità . Sembra che l'attività  prevalente sia la contemplazione, un esercizio al quale, immediatamente, associamo un certo immobilismo.
Gesù, invece, ci dà  delle indicazioni diverse sull'aldilà . Egli parla di vita eterna. Il concetto di eternità  è un po' incerto per noi, mentre quello di vita è alla nostra portata. Probabilmente, la vita in Paradiso ripresenterà  gli stessi dinamismi che ben conosciamo. Le relazioni umane, quindi, continueranno a essere centrali anche nell'altro mondo. In caso contrario, non sarebbe vita e noi saremmo diversi rispetto alla nostra identità  attuale.
Una differenza, però, c'è. Quello che siamo ora è destinato a raggiungere la propria perfezione. La comunicazione, ad esempio, sarà  più trasparente. Il linguaggio non avrà  più zone d'ombra o ambiguità  e, finalmente, le relazioni con gli altri saranno autentiche.
Graziella, nessuno conosce esattamente come sarà  l'altra vita. Tuttavia, le rivelazioni di Gesù e l'intelligenza del cristiano ci lasciano intravedere un futuro straordinario, del quale possiamo solo intuire la bellezza.

 

Fidarsi è bene ma non fidarsi...

Il vescovo di Locri, Giancarlo Bregantini, nell'articolo pubblicato nel numero di settembre afferma che la vita è come un fico d'india: bisogna saperla prendere, bisogna saper entrare nel cuore dell'altro. Altrimenti tutto si fa difficile. Bellissime parole. Capita però che le esperienze negative ci facciano assumere, anche senza volerlo, unatteggiamento quanto meno guardingo, atteso che non tutti improntiamo la nostra personalità  a onestà , serietà , spontaneità , lealtà  e trasparenza. Dal dire al fare c'è di mezzo il mare, recita un vecchio adagio! Come faccio a entrare nel cuore dell'altro se la vita mi ha insegnato che... fidarsi è bene e non fidarsi è meglio? Ricordo che mio figlio, quando frequentava le elementari, non ha riposto più fiducia in un compagno dopo che questi ogni giorno, sistematicamente, gli sottraeva la merendina dalla cartella. Riferito l'episodio al parroco, questi mi rispose testualmente che il Signore vuole figli buoni, non cretini! E così mio figlio da quel giorno ha cominciato a diffidare del compagno (e del prossimo), pensando bene di riporre successivamente la merendina in tasca, al riparo da ogni mano furtiva.
E. Liserre - Roma

Buoni ma non cretini, certo. Fidarsi degli altri con vigilante oculatezza, anche. Ma non fidarsi affatto di nessuno, e vivere nell'incessante sospettochequalcuno, chiunque del tuo prossimo, ti possa fregare, è da pazzi. Il vescovo Bregantini ci dice semplicemente, e saggiamente, che non ci dobbiamo fidare solo delle apparenze (anche questa è saggezza antica), che oltre gli spini di un fico d'india, oltre, cioè, la scorza di un carattere ruvido e scostante, può celarsi una perla d'uomo che aspetta solo il calore della nostra attenzione per disgelarsi. Via, sarà  successo anche a lei di vivere questa sorpresa. Comunque, a molti è capitato. Può essere che quella scorza sia solo la concrezione di un animo livido e selvatico. Ma non lo saprai mai se non hai provato di andarci dentro a vedere...
Dio, se vuole, ha agito in controtendenza: si è fidato dell'uomo, che pure aveva dato pessima prova di sé nel paradiso terrestre, mandando suo Figlio a morire per lui e offrendogli una notevole opportunità  di riscatto e di salvezza. Non è un bell'esempio?


Il vero Signore delle cime

Nel testo riportato, a margine dell'intervista, del Signore delle cime, ci sono due strofe che non mi appartengono. Le ha aggiunte, a suo tempo, Rolando Moro, direttore del coro di Carmignano di Brenta, morto qualche anno fa. Al loro apparire, le strofe aggiunte, non le ho gradite, ma di Moro ero amico sincero e non mi sono opposto. Purtroppo hanno avuto una certa diffusione. Del resto, il canto è stato più volte adattato, perfino dall'Arma aeronautica di Aviano, e con mia approvazione, per ricordare i piloti caduti.
Bepi De Marzi

Ci scusiamo con l'amico Bepi De Marzi. Galeotti sono stati la fretta di scappare dal caldo che affocava la città  nella passata torrida estate (incombevano le ferie!) e un sito internet con testi di canti di montagna, dove Signore delle cime era trascritto con le incriminate due strofe in più. Abbiamo cercato invano i curatori di quel sito per invitarli a correggere. Speriamo ci leggano. Da parte nostra, rimediamo riportando il testo nella sua integrità : Dio del cielo / Signore delle cime / un nostro amico / hai chiesto alla montagna. / Ma ti preghiamo / su nel paradiso / lascialo andare / per le Tue montagne. / Santa Maria / Signora della neve / copri col bianco / soffice mantello / il nostro amico / il nostro fratello. / Su nel paradiso / lascialo andare / per le Tue montagne. Eventuali altre strofe sono aggiunte gratuite.


Un diritto violato dei sordomuti

Incredibile e vergognoso! Ancora una volta i cittadini sordomuti sono stati tagliati fuori dall'informazione televisiva. Il discorso del 29 settembre, sulle reti Rai unificate, del presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, è stato trasmesso senza la presenza di interprete di lingua dei segni né, tantomeno, con la sottotitolazione in diretta. Questo dimostra la totale mancanza di umanità , sensibilità  e rispetto verso tutti i sordi italiani, ancora una volta umiliati da un gravissimo gesto totalmente gratuito che vuole relegare i sordi ai margini della società . Il 2003 è stato l'Anno europeo dei disabili, ma la Rai e il governo, anziché valorizzare e stimolare l'integrazione sociale, ancora non rispettano l'identità , i valori e le necessità  dei cittadini sordomuti.
Rocco Roselli - Vigonza (PD)

Ricevuto, volentieri segnaliamo. Ci auguriamo che la sua protesta venga letta da chi può provvedere. Solo una disattenzione?Maanche questa è segno di un non costante e compenetrato interesse.


Un miracolo la conversione di mio marito

Sant'Antonio mi ha accompagnato sempre nella mia vita, io l'ho pregato tanto che mi aiutasse a formare una famiglia a immagine della famiglia di Nazaret. Quando ho conosciuto mio marito, mi raccontò che aveva indossato a pochi mesi il saio francescano, per un voto fatto dalla mamma: era malaticcio e non si riusciva a capire come guarirlo. Fu vestito con il saio durante una messa, in un convento di frati, e proprio lì cominciò a piangere e a dar segni di vitalità .
Ma le strade della vita lo porteranno lontano dalla fede e da Dio. Ho invocato a lungo sant'Antonio e la strada è stata piena di ostacoli, ma dopo tanto pregare, a distanza di cinquant'anni ci trovammo in quel convento dove aveva indossato il saio, quasi per caso, durante la celebrazione della Messa. Mio marito sentì un profumo di fiori e un calore che gli attraversava tutto il corpo. Le poche preghiere che feci sulla tomba del santo perché presa dalla tanta stanchezza e dall'emozione di trovarmi lì, furono esaudite.
Da quel giorno mio marito ha iniziato un cammino di fede e di conversione. È molto attivo in parrocchia, gli amici quando lo incontrano, moderano il linguaggio, gli chiedono parole di conforto e lo invidiano per il suo modo di vivere serenamente la fede.
Lina - Manfredonia (FG)

I frati che quotidianamente sono a contatto con i pellegrini e i devoti in basilica ascoltandone le confessioni e le confidenze sono spesso testimoni di questi miracoli del Santo, di inaspettati ritorni al Padre di figlioli che le vicissitudini della vita avevano portato lontano da Lui, a volte anche in posizioni di forte ostilità  nei suoi confronti. Miracoli silenziosi, non destinati al clamore dei media, ma autentici, profondi perché cambiano radicalmente la vita di un uomo, attuando quella conversione del cuore che sant'Antonio, anche in vita, aveva sempre invocato e promosso. Impegno che l'autore dell'Assidua, la prima biografia del Santo, sintetizza così: Induceva a confessare i peccati una moltitudine di entrambi i sessi. Non ci resta che ringraziare assieme a lei Dio perché questo nostro fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.


Gli oratori un tema da non lasciar cadere

Vorrei esprimere il mio apprezzamento per il dossier sugli oratori apparso nel numero di luglio/agosto. Mi piacerebbe che il discorso continuasse, magari con approfondimenti mensili....
Rosa

Ritorneremo di certo sul tema, perché la Chiesa italiana si sta impegnando molto nel rilanciare l'oratorio (o patronato, come viene chiamato nel Nordest), nella speranza di poterlo efficacemente riproporre ai giovani e alla comunità  religiosa e civile come luogo di aggregazione, di educazione, di formazione e anche di svago per i giovani, in un momento in cui non esistono molte alternative alle discoteche, agli sballi del sabato sera e alla noia sfaccendata degli altri giorni della settimana. Ruolo che un tempo l'oratorio svolgeva con ottimi risultati. Si tratta di aggiornare l'esperienza ai tempi, con proposte nuove, originali, che non ne snaturino il ruolo e la funzione.


Prepariamo la guerra pensando alla pace?

Mi sono fatto prendere dalla smania di replicare, signor Antonio di Giovambattista di Roma e per vari motivi: dice di chiamarsi Antonio, di avere 70 anni, di essere da cinquanta abbonato al giornale, di sapere cos'è la pace; ma, in realtà , tutto questo non lo dimostra! Anch'io mi chiamo Antonio, riceviamo (in casa mia) la rivista da oltre cinquant'anni e io stesso ne ho quasi settanta, cioè quell'età  che Cicerone definisce della saggezza: però se si sa cos'è la pace, bisogna anche saperla riconoscere.
Se dovessi scrivere un vocabolario della lingua italiana, accanto alla parola pace metterei: sostantivo, femminile, collettivo. Perché pur essendo espressa al singolare è molte cose insieme (come giustamente il signore di Roma sostiene): libertà , sicurezza, ordine, benessere, giustizia, condivisione, rispetto e... amore. Ne consegue che realizzare la pace è cosa difficile, molto più difficile che realizzare la guerra.
I romani dicevano si vis pacem, para bellum e allora proviamo a chiedere a chi di questo detto è oggi convinto sostenitore, di abbandonare, anche per un solo anno, ogni preparativo di guerra; ci risponderebbe che per recuperare il tempo perso occorrerebbero, poi, almeno dieci anni: quindi se in tre mesi si invade l'Iraq è evidente che la macchina da guerra era già  ben preparata e oliata, come nel '39 quella tedesca per la Polonia e l'Europa e non mi si venga a raccontare che qualcuno è talmente bravo che mentre prepara la guerra riesce anche a preparare la pace.
Il mio omonimo dice che la Storia ha assolto Bush! La storia, con la S maiuscola, su queste vicende, ancora non è nata... Ma quella che già  si può leggere, intanto ci dice che: nel 1915-18 gli Usa entrarono in guerra per i loro interessi e quando parve opportuno a loro (che temevano sommamente la Germania) e non per aiutare l'Europa occidentale; nel 1939-45 gli Usa entrarono (ancora) in guerra per i loro interessi e quando parve opportuno a loro (che temevano sommamente la Germania) e non per aiutare l'Europa occidentale, tanto più che si resero conto dell'errore commesso a Versailles quando soprattutto loro avevano imposto alla Germania sconfitta condizioni talmente dure che furono la causa prima del sorgere del nazionalismo tedesco...
Caro Antonio, segua il suggerimento di Cicerone: sia saggio e prima di attaccare uno come Olivero, si rimbocchi le maniche e faccia qualcosa, qualcosa di veramente concreto.
Antonio Scalera - Castellina Scalo (SI)

Per chi non lo conoscesse, Ernesto Olivero, che ha espresso la sua opinione sulla pace nel numero di maggio, poi contestata dal lettore di Roma in una lettera pubblicata nel numero di luglio-agosto, è il fondatore del Sermig-Arsenale della pace di Torino, espressione di un impegno che coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo per promuovere tutto ciò che serve a far crescere la pace: giustizia, rispetto, dignità ... Per il suo impegno è stato anche candidato al Nobel per la pace.
Ciò premesso, tanto per capire, diciamo di condividere la controreplica del lettore. Saremmo, tuttavia, più cauti nel giudicare l'intervento degli Usa nei due conflitti mondiali. È vero che a smuovere le guerre sono sempre interessi più o meno confessati (economici, politici e quant'altro), però ridurre solo a questo il sacrificio di tanti soldati americani e di tanto impegno da parte dell'amministrazione Usa contro i piani folli di Hitler, ci pare ingeneroso e antistorico.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017