L'estremo sacrificio di mamma Rita

Alla terza gravidanza Rita Fedrizzi non ha voluto l'intervento chirurgico che sì l'avrebbe liberata dal tumore ma uccidendo il figlio che teneva in grembo.
24 Febbraio 2005 | di

Diretto con soave fermezza da un giovine Direttore, Dino Boffo, Avvenire, il quotidiano vicino alla Cei, oltre al menu d'obbligo per tutti i giornali - politica, cronaca, cultura, fatti del giorno adeguatamente trattati e commentati -, offre ogni mattina ai suoi lettori, in costante aumento, una rubrica chiamata Mattutino. A redigerla è il chiarissimo biblista Monsignor Ravasi che ne ha fatto una sorta di viatico spirituale: chi scrive, il Vecchio Cronista, memore della lezione di Hegel: La lettura dei giornali al mattino è la Messa del laico, inizia il rito giustappunto con la lettura del Mattutino. Va detto subito che oltre al Mattutino c'è la terza pagina da vedere. Poiché è una terza a tema: tratta un accadimento o un movimento di idee in tutti i suoi aspetti sicché, spesso, la cronaca e il resoconto d'un fatto del giorno importante (lieto, tragico, culturale) diventano terreno di riflessione. Prendiamo la Terza del 26 di gennaio scorso. Il titolo centrale dice: Rinuncia alle cure / salva il bimbo / ma lei non ce la fa.

Il Fatto: A Pianello del Lario (nel Comasco) il sacrificio di Rita Fedrizzi, 41 anni, che alla terza gravidanza ha scoperto di avere un tumore. Una scelta di fede il no alla interruzione suggerita dai medici. Insomma, Rita Fedrizzi, già  docente di lingue a Bergamo, non ha voluto l'intervento chirurgico che sì l'avrebbe liberata dal tumore ma uccidendo il figlio che teneva in grembo. Ora il bambino nato grazie al sacrificio di sua madre ha tre mesi e sta bene. L'hanno chiamato Federico, cioè ricco di fede. L'inviato di Avvenire alle esequie di Rita, scrive benissimo: La vita e la morte, in apparente contraddizione, una di fianco all'altra. Per una volta sedevano insieme, ieri, nella stessa chiesa davanti agli occhi del popolo che, come dice la Prima Lettura dal Libro della Sapienza, vede e non comprende. Non è facile capire come e perché una donna relativamente giovine possa decidere di sacrificare la sua vita per un figlio che certamente non vedrà , che crescerà  senza di lei: orfano di madre sin dalla nascita. Non è facile calarsi dentro Rita che, attenzione, non era una combattente, donna normale che più normale non si può. Ella aveva, infatti, paura, scrive Lucia Bellaspiga: Sì, ha avuto paura, tanta, ma pur nel tremito non ha esitato, e si salvi il bambino, ha detto. (...) Il bambino cresceva, la madre si consumava lentamente. Uno veniva alla vita, l'altra l'abbandonava giorno dopo giorno.
Nella sua omelia, il parroco (da trent'anni), don Giuseppe Motta, ha detto: Molti mi chiedono se quella di Rita è una scelta eroica. È una scelta cristiana e tuttavia se siamo qui a parlarne vuol dire che è eccezionale. È il supremo sacrificio d'una donna che da tempo si era consacrata alla Madonna di Medjugorie.

Codesta storia ci induce a una piccola riflessione. È anacronistica, anomala la storia, dico, di Rita? Va infatti fuori del copione infausto che siamo, ahimè, abituati a leggere spesso, troppo spesso. Le cronache dei giornali son zeppe di gesti assurdi, di delitti spaventosi, di comportamenti tutt'altro che cristiani. Quante sono le madri che gettano dalla finestra il bambino che rifiuta d'addormentarsi? Tante, troppe e tutte definite depresse. Li gettano dalla finestra quando non li uccidono a coltellate. Sempre perché depresse?
Anche le madri d'un paesino della Campania sono da considerare depresse, loro che allevano i figli maschietti perché diventino femminielli? Lo fanno perché in preda alla depressione ovvero perché il turpe mercato della pedofilia predilige, appunto, i femminielli? È tutto invero difficile: calarsi nel sacrificio puro di Mamma Rita, capacitarsi che di mamma NON ce n'è una sola.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017