Lei e lui

21 Dicembre 2006 | di

LEI. L’automobile nella bufera


Te le do io le catene

Durante un viaggio nel Monferrato, a Capodanno, una nevicata mette a repentaglio l’unità familiare. Morale della vicenda: attenti al meteo.

Era la vigilia di Capodanno. Andavamo in campagna, in Monferrato, con l’auto di famiglia, stracarica dei tre bambini, di valigie, viveri, panettoni. Tanto era colma l’auto, che il marito – capita, purtroppo – non ci stava più, e ci seguiva con la sua utilitaria. Le previsioni davano neve, ma fino a Novara l’autostrada era asciutta. A Vercelli, nevischio, e il fondo della strada che si fa viscido. Io, che sono un’apprensiva, mi fermo alla prima stazione di servizio per mettere le catene. Sopraggiunge il marito, serafico: «Ma va’ là, è solo una spruzzata di neve».
Dopo Casale nevica pesante. Purtroppo, non c’è più traccia di stazioni di servizio. Gli ultimi tre chilometri salgono su una collina. È solo un dolce pendio, ma la monovolume stracarica si impianta come un mulo. Cupa in volto, scendo e aspetto al varco il marito. Lascio immaginare i commenti, i vari «l’avevo detto io». Rimando il resto a più tardi, perché si sta facendo notte, siamo a cinque chilometri dal più vicino paese, e il maggiore dei figli, sette anni, ci guarda con occhi sgomenti. È anche lui un apprensivo, tutto la sua mamma. Osserva da dietro i finestrini la neve, che ormai s’è fatta bufera, e mormora: «Moriremo sepolti dalla neve». Ottimisti si nasce. Mettere le catene è difficile sempre, contrariamente a quanto giurano quelli che te le vendono, ma se è buio e la strada è coperta di ghiaccio, lo è di più. Il marito prova e riprova sotto il mio sguardo arcigno («L’avevo detto, io!»), le catene sono un groviglio, le spiegazioni sono in coreano, è una caporetto: «Non riesco», annuncia tranquillamente. «E dunque? – gli chiedo, più gelida della neve – perché sai, con questa spruzzata, come dici tu, senza catene di qui non ci muoviamo». «Nessun problema – fa lui – l’auto la porto su io, tu guida la mia, che è più leggera e ce la fa».
Sale in auto, da cui io comunque ho fatto scendere i bambini cui sono affezionata, mette in moto, fa dieci metri, l’auto si infila malamente di traverso sulla salita. Il figlio ottimista ora propende per la morte per assideramento. «E tu piantala – gli dico – che se tuo nonno è tornato dalla sacca del Don, tu sopravviverai a una nevicata in Monferrato». Il piccolo, forse per il paragone epico, si cheta.
Io non ho mai montato una catena in vita mia, ma davanti a quei tre, fradici e sgomenti, l’istinto materno prevale, e ci provo. «Le istruzioni non sono solo in coreano – dice intanto lieto il marito – sono anche in tedesco!». Taccio, ci sono i bambini. Le catene mostrano un’attitudine maligna a scivolarmi tra le dita viola di freddo, finché schizzano via tranciandomi quasi una falange. Non mi resta che chiedere soccorso col cellulare a un vicino di casa meno imbranato di noi. Quello arriva, in un attimo monta le catene, trionfalmente ingrano la marcia e parto, lasciando lì il marito e la sua auto semisommersa. Indietro ormai non posso tornare, e i bambini sono gelati. Inoltre, lo ammetto, sono inferocita.
Arriviamo a casa, accendiamo il camino, fuori si è fatta notte. Finalmente mi coglie un minimo di rimorso al pensiero di quello là fuori al gelo. Mentre sto per chiamarlo, giusto per informarmi se sia ancora in vita, un rombo di caterpillar prorompe sulla stradina accanto a casa. È il trattore del vicino che traina l’auto del marito, quella che veniva su senza catene. Anche perché lui, contrariamente a quanto gli avevo raccomandato, le catene non se le era nemmeno portate.
Fu un Capodanno teso. Da quel giorno i nostri figli appaiono stranamente inquieti quando si parte in auto. Il maggiore, oggi quattordicenne, ha sviluppato abilità da meccanico. E ascolta sempre il meteo prima di partire. Le vacanze, però, preferisce passarle a casa, soprattutto quelle di Natale.


Marina Corradi
Attualmente è inviata del quotidiano «Avvenire». Ma ha cominciato a lavorare come giornalista all’età di 21 anni. Vive a Milano, è sposata e ha tre figli, Pietro di 14 anni, Bernardo di 11 e Caterina di 9.


LUI. L’automobile, questa sconosciuta


Station wagon e baleniere

In famiglia guida lei, però sono io a portare i pantaloni. Ma perché le auto hanno tre pedali se noi abbiamo solo due piedi?
Devo riconoscerlo, il volante ci è sfuggito di mano: sono le donne adesso che decidono la marca, il colore e la cilindrata. «Insomma, chi è che porta i pantaloni in questa casa?»: era l’argomento risolutivo. Oggi, è lei che per chiudere ogni discussione chiede: «Si può sapere chi è che guida qui?» In casa ci siamo divisi i compiti: adesso è lei che guida, ma sono sempre io a portare i pantaloni. Non che la cosa mi dispiaccia, le macchine, anzi, mi lasciano indifferente e confesso la mia ignoranza. Sui pantaloni sono più preparato.
Di auto non capisco nulla, per me sono tutte uguali. Le distinguo in piccole, medie e grandi e, all’interno della stessa categoria, secondo il colore. Attualmente sono proprietario di un’autovettura media blu. Quando mi capita di parcheggiare, la metto accanto a un’autovettura rossa, così da riconoscerla a colpo d’occhio.
La mia abissale ignoranza, tuttavia, non mi ha mai impedito, le volte che siamo rimasti in panne, di aprire il cofano e di guardare con aria indagatrice dentro. Quando un signore un giorno mi ha suggerito: «Se sta cercando il motore, le consiglio di aprire il cofano anteriore», ho poi smosso anche qualche filo e ho tentato di stringere un paio di viti sperando che un potere taumaturgico, a me stesso ignoto, facesse ripartire il motore.
Mi sorprende, invece, la conoscenza delle auto che hanno i giovani: penso, ad esempio, ai miei figli. Li sento infervorarsi in appassionate discussioni che mi sembrano criptate: «La Z3 ha il TC», dice uno. «La X4, invece, ha l’SSC e anche il TTC», risponde l’altra che poi aggiunge: «Tiè!». Ma mi pare di capire che il Tiè, non sia un ultimo ritrovato tecnologico. Una volta ho tentato di inserirmi in questa discussione di iniziati e ho barato: «Allora, è meglio la W5, se permettete, ha pure il Wwf». «È una baleniera?», mi ha chiesto sarcastico mio figlio. La prima volta che – tutto da solo – presi la macchina (la prima) mi parve più che sufficiente che avesse il motore e le quattro ruote. Non indagai neppure. Mi fidai sulla parola del rivenditore.
Pur nella mia completa ignoranza del mondo dei motori, riconosco le macchine costose da come veste il proprietario dell’autosalone e da come è arredato il suo ufficio. Mi è capitato di vedere da un concessionario una riproduzione di Picasso alla parete: ebbi il sospetto che fosse un originale e temetti che potesse vendermi un costosissimo catorcio.
Si capisce che un’auto è costosa anche da come è cerimonioso il rivenditore. Più è saccente e compiaciuto, più il prezzo dell’autovettura è stratosferico. Uno di questi, che vestiva come un gioielliere (gli mancava solo una gardenia all’occhiello, e mi vidi costretto a farglielo notare), cominciò a mostrarmi il motore pezzo per pezzo, mi indicò il volante e il cambio delle marce immaginando (non ho mai capito perché) che io vedessi un’auto per la prima volta. Mi sforzai di mostrare interesse per le funzioni del carburatore, ma dovetti esagerare, e allora per assecondarlo gli chiesi come mai quell’auto avesse tre pedali quando noi abbiamo soltanto due piedi. Non volle farmi lo sconto del 10 per cento che, di solito, non si nega a nessuno.
È la donna dunque che oggi sommerge il rivenditore con mille domande sul carburatore, gratificando il suo narcisismo. Ed è la donna che sceglie la cilindrata e il colore. Ho cercato di spiegarmi per quale motivo le preferiscono grigio metallizzato. Credo perché con questo colore possono abbinare la gran parte dei loro vestiti. Ma non ho mai capito per quale ragione, negli ultimi tempi, le donne scelgono le station vagon. In famiglia siamo in quattro: la nostra autovettura ha sette posti. Sto ancora aspettando che ci arrivino le altre tre persone. Le hanno considerate un optional.

Giovanni Ruggiero
Ha mosso i primi passi come cronista per un quotidiano napoletano. Nel 1988approda ad «Avvenire» dove diventa inviato speciale e cura una rubrica di costume che lo diverte tantissimo. Sposato, ha due figli: Angelica e Adriano.



Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017