Lavoro fisso, un miraggio!

A trent'anni, oggi, i giovani guardano al futuro da una zattera nel bel mezzo della burrasca. Gli effetti della legge Biagi nel parere di alcuni esperti.
27 Aprile 2004 | di

Vuoi per la sigla, che ben si presta allo slogan, vuoi per l'immagine, che evoca un disarmato pollaio in balia degli eventi atmosferici, lo stato d'animo con cui migliaia di giovani italiani varcano la soglia del primo posto di lavoro è ben rappresentato da uno striscione che qualche mese fa catturava lo sguardo in una piazza romana: Co.co.de. Collaborazione coordinata destabilizzante.
Ironico. E amaro allo stesso tempo. Ma realistico: chi comincia a lavorare, oggi, deve fare i conti con quella forma postmoderna d'inquietudine esistenziale che prende il nome di precarietà .
La collaborazione coordinata e continuativa - spunto per l'eloquente gioco di parole - i contratti interinali, gli stage in azienda e tutte le altre modalità  di accesso al mercato del lavoro, concepite per superare la prima barriera all'ingresso, per mitigare le insidie della disoccupazione, strumenti di per sé utili e positivi, hanno iniziato a mostrare tuttavia la faccia oscura della luna: lasciare i neo-assunti per anni in un limbo d'incertezza che impedisce di compiere scelte definitive. Che costringe a rimandare a data da destinarsi l'acquisto della prima casa, un progetto matrimoniale, la costruzione di una sicurezza pensionistica.
A trent'anni, oggi, i giovani guardano al futuro da una zattera nel bel mezzo della burrasca. E su quella zattera non ci stanno più, come accadeva in passato, solo i giovani italiani, greci e spagnoli, i mammoni del Mediterraneo, timorosi di abbandonare troppo presto il calore e le comodità  domestiche, ma vi è stipata una buona fetta della gioventù europea.
Pur evidenziando caratteristiche diverse, il fenomeno della precarietà  colpisce tutti gli Stati membri dell'Unione. Riguarda soprattutto gli oltre 70 milioni di giovani che hanno un'età  compresa tra i 20 e i 35 anni.
A loro viene chiesta, giustamente, un'elevata capacità  di adattamento alle novità  tecnologiche, contrattuali e formative, a loro vengono offerte molte possibilità  di conciliare studio, lavoro e formazione, di muoversi all'interno dell'Unione, di passare facilmente da un ciclo di studi all'altro e da un'attività  all'altra. All'insegna della più totale flessibilità . A grandi opportunità , tuttavia, non corrispondono pari possibilità : oltre che con la precarietà , i giovani imparano presto a convivere in un labirinto di percorsi possibili. E in molti casi con una disoccupazione prolungata.

I numeri della disoccupazione

Ma non va dimenticato, ogni volta che si azzarda un'analisi sugli esiti dell'introduzione di flessibilità  in accesso nel mercato del lavoro, il dato di partenza, il nemico numero uno per sconfiggere il quale anche in Italia si è tentato di rimodulare l'offerta.
Su base annua, il tasso di di-soccupazione maschile nella zona euro è cresciuto, lo scorso anno, dal 7,3 per cento al 7,8 per cento, mentre quello femminile è aumentato dal 9,9 per cento al 10,3 per cento. Nella Ue a 15 la disoccupazione maschile è passata dal 7 per cento del luglio 2002 al 7,3 per cento del luglio 2003 e quella femminile dall'8,7 per cento al 9 per cento. L'Italia, purtroppo, mantiene il record negativo della disoccupazione giovanile, con il 27 per cento dei senza lavoro registrato fra la popolazione sotto i 25 anni, contro una media di Eurolandia del 16,9 per cento e nella Ue a 15 del 15,7 per cento (entrambe in aumento rispetto all'anno precedente, rispettivamente 16,4 per cento e 15,1 per cento).
L'esclusione dei giovani dal mondo del lavoro è un fenomenomultidimensionale che, semplificando, è possibile ricondurre a due gruppi di fattori. Il primo riguarda la percentuale di giovani che abbandonano il ciclo di studi secondari (non obbligatori) prima di aver raggiunto una qualificazione. La media europea dei cosiddetti esclusi, cioè dei giovani che scelgono di non proseguire gli studi, è del 19 per cento, percentuale che comprende però notevoli differenze tra i Paesi dell'Unione. Il secondo fattore è quello della ricerca di lavoro per un periodo superiore ai dodici mesi. Questo problema riguarda in media il 53 per cento della popolazione dei disoccupati, ma in Belgio, Italia e Irlanda la percentuale supera il 60 per cento.
È proprio a questa drammatica situazione che in Italia, a partire dagli anni Novanta, hanno cercato di far fronte prima Tiziano Treu e poi Marco Biagi con il suo Libro Bianco. È questo lavoro, infatti, il supporto teorico alla successiva riforma del mercato del lavoro che l'attuale governo sta ancora perfezionando.

La riforma del mercato del lavoro

Approvata a febbraio dello scorso anno ed entrata in vigore a ottobre con il decreto attuativo, la legge Biagi ha, infatti, il compito di rilanciare l'occupazione nel nostro Paese attraverso la modernizzazione dei servizi per l'impiego e l'introduzione di nuove flessibilità . Un passaggio dovuto, per arrivare all'elaborazione di quello Statuto dei lavori che Biagi da tempo aveva in mente per ridefinire - a oltre trent'anni di distanza da quello dei lavoratori - regole certe per tutti i rapporti.
È soprattutto nel Libro bianco sul mercato del lavoro che Biagi ha strutturato il suo progetto riformatore. Si tratta di un testo dirompente, che descrive regole e strumenti per superare inefficienze e iniquità  del mercato del lavoro italiano. Biagi ha preso spunto dalle buone pratiche europee, passando in rassegna servizi per l'impiego e formazione, ammortizzatori sociali e nuove tipologie contrattuali flessibili, affrontando anche le questioni delle pari opportunità  e dell'inclusione sociale.

Il via alla legge Biagi

È stato il Patto per l'Italia, siglato il 5 luglio scorso tra il governo e le parti sociali - Cgil esclusa - a recepire le proposte delineate nel Libro Bianco: dai servizi per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro alle misure di sostegno al reinserimento lavorativo, dalla flessibilizzazione dei contratti all'intervento sull'articolo 18. Proprio sull'articolo 18, Biagi aveva condotto una battaglia in prima persona per fare chiarezza sul senso della sperimentazione proposta dal governo. La vera questione di principio - scriveva - non è affatto l'articolo 18, visto che non è in discussione la giusta causa di licenziamento, ma un mercato del lavoro ingiusto che lascia ancora oggi poche speranze a chi non abbia la fortuna di aver già  trovato occupazione. Ovvero, nella stragrande maggioranza dei casi, ai giovani.
Oltre che nei lavori parlamentari, tuttora in corso, per attuare pienamente la riforma, il progetto di Biagi continua a vivere anche attraverso l'attività  della Fondazione a lui intitolata, impegnata a proseguire gli studi di Diritto del lavoro avviati dal professore e a promuovere la formazione specialistica e le relazioni industriali. Il primo giugno prossimo sarà  invece la data di avvio della prima fase di sperimentazione della Borsa continua nazionale del lavoro, sistema destinato per la prima volta a facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. E a domandarlo, ancora una volta, saranno soprattutto i giovani.


Le zone d'ombra

di Fabrizio Condò

Il nostro obiettivo è dare la priorità , in fase di negoziazione, a quegli elementi utili per correggere e arginare la precarietà , dice Savino Pezzotta, segretario della Cisl.

In questa fase di attuazione della legge Biagi non abbassiamo la guardia e seguiamo lo sviluppo con estrema attenzione e realismo, afferma Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl.
Msa. Pezzotta, che tempo segna il barometro del mercato del lavoro nel nostro Paese?
Pezzotta.
Se guardiamo le ultime statistiche, la linea di tendenza conferma che la disoccupazione sta diminuendo, anche se lentamente. Il nostro impegno è rivolto ad accelerare questa tendenza, con l'obiettivo di essere attenti non solo agli aspetti quantitativi, ma anche, e soprattutto, a quelli della qualità , nel senso di un lavoro buono e duraturo.
La legge Biagi continua a dividere: secondo lei ha offerto nuove opportunità  ai giovani o ha finito per aumentare precarietà  e incertezze?
Il nostro resta un giudizio prudente e attento. Abbiamo accolto positivamente la parte che riguarda gli strumenti dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, l'estensione della bilateralità , il superamento dei co.co.co. con il lavoro a progetto, le nuove norme che regolano il lavoro in edilizia, gli appalti.
Cos'è allora che non vi convince?
Quelle che ho ricordato sono novità  sicuramente a vantaggio dei lavoratori, ma restano aperte delle zone d'ombra. Per questo motivo non abbassiamo la guardia e seguiamo con estrema attenzione e realismo la fase dell'attuazione della legge. Il nostro obiettivo è dare la priorità  in fase di negoziazione a quegli elementi utili per correggere e arginare la precarietà .
La flessibilità  resta ancora un tabù o è un progetto sempre valido in prospettiva?
Quando il sindacato ha iniziato a discutere di flessibilità , ha cercato di contrattare un tempo di lavoro diverso, flessibile, per rispondere a una richiesta dei lavoratori. In particolare, da quei contratti flessibili, l'occupazione femminile ha avuto risposte significative all'esigenza di conciliare il lavoro e la cura della famiglia, come ad esempio il part time. Il problema è quando il termine flessibilità , che di per sé non ha nulla di negativo, diventa un termine usato per nascondere situazioni di precarietà . Ed è proprio la precarietà  che noi vogliamo arginare, dando certezze ai lavoratori.
In che modo?
Contrastando con la contrattazione lo stravolgimento nei fatti di tipologie contrattuali flessibili, che poi vengono distorte. Inoltre, è necessario garantire ai lavoratori tutti quegli strumenti di accompagnamento tra un lavoro e l'altro che in Italia ancora mancano - come ammortizzatori sociali e servizi all'impiego - che siano in grado di dare risposte positive a tutti coloro che nella loro vita lavorativa cambiano diversi posti di lavoro. Solo correggendo la precarietà  si può riportare la flessibilità  a essere un valore, un'opportunità  per i lavoratori.
Non pensa che il sindacato abbia comunque qualcosa da rimproverarsi se il mercato del lavoro non decolla?
Quello che il sindacato concretamente può e deve fare è tenere alta l'attenzione su questi temi.
Far emergere i problemi e stimolare il governo, per chiedere, proporre e pretendere risposte concrete. Se queste risposte non arrivano, non è certo il sindacato da rimproverare, ma è lo stesso sindacato che rimprovera, si mobilita per riportare al centro le questioni vere dei lavoratori e dei pensionati.
Le vostre richieste al governo sono in linea con la situazione attuale?
Abbiamo elaborato una serie di proposte per uscire da una situazione economica che è veramente preoccupante. L'economia è in una fase di stagnazione che l'Italia non conosceva dal dopoguerra, per questo è necessaria una ricostruzione, un impegno paragonabile a quel periodo. Chiediamo nuove politiche industriali, per cambiare i dati che leggiamo continuamente: l'ultima l'analisi di Bankitalia parla di aziende che chiudono, riducono, ricorrono alla cassa integrazione.
Chiediamo di rilanciare gli investimenti in innovazione e ricerca, di pensare al futuro del Mezzogiorno in modo nuovo, proprio ora che il contesto europeo vede il Sud come il centro del Mediterraneo con un ruolo geopolitico. Serve, inoltre, una nuova politica dei redditi, in un Paese in cui l'inflazione è un punto superiore a quella europea e c'è un indebolimento del potere d'acquisto dei redditi da lavoro e da pensione.
Dobbiamo dare risposte al malessere della gente, dei lavoratori e dei pensionati e impegnarci a costruire il futuro soprattutto per i nostri giovani.


Il lavoro, una grazia da chiedere ai santi

di  Luciano Bertazzo

Tra le tante intenzioni inviate dai nostri lettori - sollecitati da un'iniziativa della rivista - da porre sulla tomba del Santo perché ci pensi lui, la più frequente riguarda il lavoro. Tanta è la difficoltà  di trovare un'occupazione, soprattutto per i giovani del Sud. Le proposte, anche lodevoli, del governo, pur nei limiti indicati dalle persone intervistate in questo dossier, in una situazione di generale crisi dell'economia e della produzione, non possono fare miracoli.
Dati recenti danno la disoccupazione in calo, ma i posti di lavoro creati sono per lo più a tempo determinato e non permettono ai giovani di progettare in modo adeguato il loro futuro, così essi restano in un limbo di incertezza e di sfiducia. Il lavoro, come lo vede la Bibbia, è una dimensione costitutiva dell'uomo e per la nostra Costituzione un diritto fondamentale. La libertà  stessa, respiro della persona, è in un certo modo condizionata da queste primordiali esigenze: del lavoro e del pane. Ma allora chiunque sia al governo dovrebbe porsi come obiettivo, al di sopra di ogni altro, il garantire a tutti un'occupazione per quanto possibile stabile  e adeguatamente remunerata, come garanzia di dignità , di crescita personale e della famiglia. Quando il lavoro manca, tutto diventa incerto e insicuro. E non è un bel vivere. Uno studio dell'Università  di Torino evidenzia che la mortalità  per malattia di chi ha un lavoro precario è più alta di chi ne ha uno fisso. Un dato su cui governo e istituzioni devono riflettere.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017