L'Arma per lo tsunami: tanta competenza e umanità

L’intensa testimonianza dei carabinieri del Raggruppamento investigazioni scientifiche (Racis), impegnati nelle zone colpite dal recente maremoto.
04 Luglio 2005 | di

Li immaginiamo severi tutori dell'ordine, impegnati in azioni rocambolesche,tra inseguimenti, rapine e arresti, o solerti investigatori a caccia di tracce da esaminare a da comparare: insomma, pronti a smascherare e ad inchiodare il colpevole. Invece i carabinieri sono spesso impegnati in compiti che richiedono la loro competenza e professionalità  unite a una spiccata sensibilità  e alla capacità  di confrontarsi con situazioni così imprevedibili da mettere in gioco anche la propria personalità . È accaduto nel Sud-est asiatico dove i carabinieri del Raggruppamento investigazioni scientifiche hanno prestato la loro opera operando nell'ambito dei soccorsi internazionali per identificare le vittime dello tsunami e restituirne alle famiglie i corpi. Il loro delicatissimo lavoro continua ancora.
È il caso del maggiore Cesare Vecchio che ha lavorato a Pukhet con la prima squadra di carabinieri giunta in Thailandia già  il 28 dicembre operando in condizioni difficilissime. Temperatura e umidità  estremamente elevate hanno messo a dura prova i soccorritori, ma non hanno impedito di lavorare anche venti ore al giorno, in una costante lotta contro il tempo nella speranza di riconsegnare alle famiglie i loro cari. Non nascondo -confida l'ufficiale del Racis - che ci sono stati momenti molto critici, anche per la scarsa organizzazione tra i team internazionali che stavano raggiungendo le zone colpite dallo tsunami: nei giorni successivi un comitato esecutivo ha messo a punto le procedure da seguire e ha coordinato il lavoro di tutte le strutture.
Nonostante tutti fossero partiti con la consapevolezza di andare a prestare soccorso in una tragedia immane il maggiore Vecchio sottolinea come non ci siano foto o immagini che possano raccontare il disastro apparso agli occhi dei carabinieri. In particolare, i volti dei bambini: Avevano un'espressione particolare, si leggeva il terrore nei loro occhi perché sono stati traumatizzati e hanno percepito la situazione di pericolo e la fine incombente, ricorda Cesare Vecchio.

Un reparto creato per i disastri

I carabinieri che si sono succeduti per mesi nell'opera di soccorso nel Sud-est asiatico fanno parte comunque di un'unità  speciale che è stata formata proprio per far fronte a queste esigenze: tutto è cominciato con l'attento alle Torri Gemelle, che ha evidenziato la necessità  di costituire un reparto che potesse intervenire in casi di disastri, incidenti o atti terroristici, così come avevano fatto molti Paesi europei. Alcuni nostri ufficiali (medici, biologi, chimici, psicologi, dattiloscopisti e fotografi) - spiega il generale Nicola Raggetti, comandante del Racis - hanno seguito una formazione specifica in collaborazione sia con l'Università  di Tor Vergata sia con la Gendarmeria francese: un'attività  fatta di incontri, conferenze e convegni durata due anni che doveva concludersi proprio con un'esercitazione pratica. Purtroppo l'emergenza tsunami ha fatto sì che il battesimo del fuoco di quello che abbiamo chiamato Dispositivo identificazione vittime dei disastri avvenisse sul campo, conclude il generale sorvolando su migliaia di esami del Dna che avrebbero dovuto svolgersi nel Sud-est asiatico e che ora sono al vaglio dei laboratori italiani ed europei.

I «segni» di una tragedia

Così come fanno parte dell'Arma, anche gli ufficiali del gentil sesso hanno dato la loro disponibilità  per rendersi utili nelle zone colpite dall'onda anomala. Il giovane sottotenente Palmina La Vecchia si è fermata a nord di Phuket per circa un mese: ha fatto parte della seconda squadra di carabinieri, intervenuta sui luoghi del disastro una quindicina di giorni dopo il cataclisma.
Dopo alcuni giorni trascorsi con i colleghi elaborando dati, è stata destinata a Thachachai, un'area che è stata disboscata per creare un sito mortuario (la cultura locale, infatti, non li prevede) e le è stata affidata la gestione della sicurezza. Ho fatto ricorso a tutte le mie risorse e, giorno dopo giorno, ne ho scoperte altre che non conoscevo: di primo acchito - ammette - non è stato semplice far fronte ai vigilantes locali che non avevano nessuna intenzione di modificare i loro ritmi di vita né di sentirsi dire cosa dovevano fare da una donna. Per di più non conoscevo l'inglese e quindi passavo una parte della giornata a tradurre le direttive da impartire. Nella mia attività  sono stati fondamentali il buon senso e il pugno di ferro per proteggere l'area dall'ingresso di giornalisti che cercavano di strappare immagini dei defunti. Alla fine sono riuscita a creare un ottimo rapporto sia con la polizia locale sia con i vigilantes che si rivolgevano a me per chiarire qualsiasi loro dubbio.
Ma l'intervento in una catastrofe di queste dimensioni lascia un segno indelebile anche nella più ferrea professionalità . Sicuramente non dimenticherò mai i tabelloni che tappezzavano ospedali e aeroporti su cui sorridevano con i loro occhioni tanti bambini ormai ridotti a poca cosa e finiti chissà  dove - aggiunge il sottotenente -. Da questa esperienza, insieme a una vicenda personale legata a una malattia, ho capito che la vita è un bene preziosissimo: troppo spesso abbiamo la presunzione che tutto ci sia dovuto, diamo per scontato poter camminare, correre, saltare e invece dobbiamo renderci conto dei doni che ogni giorno ci vengono rinnovati.

L'estrema delicatezza del riconoscimento

Silenziosamente l'attività  dei carabinieri del Racis rientrati dalla Thailandia continua a Roma. Da una saletta accanto al comando del Racis partono ancora le telefonate più difficili: quelle per contattare i parenti dei dispersi per prelevare qualche traccia che permetta di riconsegnare loro le persone care. Un pettine, un indumento usato prima di partire, il rasoio, lo spazzolino da denti, ma anche un tatuaggio, una cicatrice, qualche monile o indumento e, talvolta, un prelievo su parenti o affini che permetta di raggiungere una certezza.
Anche questa delicata attività  è affidata al maggiore Vecchio, responsabile del reparto. Le famiglie hanno reagito con grande dignità  e riconoscenza. Ci sono stati momenti molto delicati e altri che mi hanno fatto venire i brividi. Già  in Thailandia ho dovuto assentarmi un attimo dopo che un ragazzo aveva riconosciuto da una foto a dir poco pietosa la propria madre. Nella stessa famiglia sono mancati entrambi i genitori e una bimba di due anni: quando personalmente mi sono recato a casa loro, chiusa dal momento della partenza per la vacanza, davanti a tutte le foto delle persone che non c'erano più non sono rimasto indifferente.
Ora se la vita professionale dei carabinieri continua, questa esperienza ha valorizzato ancor più la centralità  degli affetti e della famiglia, ogni pensiero e ogni momento libero è rivolto ai propri cari e ai figli piccoli. Non solo, il maggiore Vecchio ha fatto promessa a se stesso: In quella terra che mi ha accolto con grande calore umano nonostante la sofferenza, è per quella che fino a quando vivrò farò ogni sera una preghiera: per tutte queste persone e ciò oltre ogni colore, cultura, religione, anche perché l'immagine del terrore e della morte, non fa distinzioni ed è uguale per tutti. Ma la notizia più bella, che aspettiamo sempre, è ritrovare qualcuno ancora in vita.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017