L'antisemitismo non è mai morto

L'astio contro gli ebrei è ancora diffuso, anche se emerge con modalità differenti a seconda dei luoghi. Ma il problema va allargato a tutte le intolleranze verso altri popoli e altre culture.
22 Settembre 2005 | di

Papa Benedetto XVI in visita alla Sinagoga di Colonia ha affermato: «Stiamo assistendo al sorgere di nuovi segni di antisemitismo e di varie forme di ostilità  generalizzata verso gli stranieri». L`€™affermazione ha destato una certa preoccupazione.
Ancora rigogliosa la malapianta dell`€™antisemitismo? Come vivere la diversità  di religioni e di culture? Abbiamo chiesto «l`€™opinione» del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

«Anzitutto − ci ha detto il rabbino − bisogna ringraziare il Santo Padre per aver posto il problema all`€™attenzione di tutti. In questi casi l`€™atteggiamento peggiore è l`€™indifferenza.
Va poi detto che l`€™antisemitismo in realtà  non è mai morto: esso è ancora diffuso, anche se emerge con modalità  differenti a seconda dei luoghi.
In questo momento, per esempio, in Italia la situazione è abbastanza tranquilla. Finora abbiamo assistito ad episodi piuttosto marginali e i fantasmi del passato sembrano in gran parte rimossi. Mentre altrove, in Europa, abbiamo vissuto momenti molto pesanti.
Preoccupanti rigurgiti di antisemitismo hanno di recente coinvolto la Francia, ma i fuochi sembrano per ora essersi smorzati. Non bisogna, comunque, mai abbassare la guardia e occorre  essere sempre cauti».

«Desidero però allargare il discorso: dobbiamo stare in guardia contro ogni tipo di xenofobia, di ostilità  verso lo straniero, che mette l`€™uno contro l`€™altro.
È certo che per noi ebrei, che siamo da millenni in questo Paese, l`€™antisemitismo acquista un aspetto ancor più drammatico perché il fratello sul quale riversi la tua ostilità  è quello della porta accanto, che vive a fianco a te da sempre.

«Ma è in generale il senso di fratellanza verso tutti che deve portarci a capire l`€™importanza e la ricchezza della diversità , anche religiosa, che deve essere stimolo per capire meglio anche se stessi, per identificare e riconoscere luoghi comuni da condividere che ci aiutino a lavorare meglio per il progresso nostro, della società  e di chi ci circonda.

«Ognuno deve rimanere fedele alla propria cultura e alle proprie tradizioni, senza strane commistioni e senza venire meno agli impegni presi con la propria fede.
Ma fede e cultura devono anche aprirsi all`€™altro con spirito di fratellanza e di rispetto, consapevoli che fratellanza e apertura non sono un rischio per la propria fede, ma un potenziamento.
Non bisogna presentare mai la propria tradizione come valida per tutti, ma semplicemente come modello di vita che si inserisce in un contesto variegato».

«So che la Chiesa cattolica celebra i quarant`€™anni dalla promulgazione della Nostra aetate , il documento del concilio Vaticano II sul dialogo con l`€™ebraismo e le religioni non critiane (28 ottobre 1965).
Sono convinto che si tratta di una pietra miliare nella storia dei rapporti tra le religioni e che questa dichiarazione ha contribuito a far cambiare tante direzioni e tanti atteggiamenti nella gente.
Io la paragono a un buco in una diga, attraverso il quale prima passava un modestissimo rigagnolo che con il passare del tempo si è ingrossato fino a divenire un torrente in piena.
Sicuramente la Nostra aetate è stata l`€™inizio di una nuova era. Pur senza lasciarci andare a toni trionfalistici, possiamo dire che è sicuramente grazie a quella presa di posizione conciliare che molte cose sono cambiate. E in meglio. Essa ha aperto la stagione del dialogo che, secondo me, non deve avere come fine il proselitismo.

«Una cosa mi preme sottolineare: nel rapporto con gli ebrei deve essere tenuto in conto anche ciò che rappresenta lo Stato di Israele, visto senza quei pregiudizi e quegli schematismi che troppo spesso condizionano i dibattiti in Italia».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017