L'amore che salva i bambini con l'aids

Il "Villaggio sant'Antonio", retto dalle Missionarie di Assisi e finanziato dai lettori, è l'unico punto di riferimento per gli orfani dell'aids a Ndola.
27 Aprile 2004 | di

Chanda ha tre anni, non ha mai conosciuto suo padre. Sua madre è morta di aids. Gli resta la nonna, povera e malata, che non riesce a stargli dietro. Chanda è malato di aids e ha costante bisogno di cure. Per questo suor Sabina è andata a prenderselo e ora vive con altri bambini e bambine nel Villaggio sant'Antonio, a Ndola, in Zambia, un'oasi di serenità  in mezzo a tanto dolore, interamente costruita grazie all'aiuto dei lettori del Messaggero. Quando non sta male - afferma suor Sabina - è un bambino sereno, ha sempre molta fame e non fa mai i capricci. I medici dicono che, se è ben curato, potrà  vivere almeno altri quattro o cinque anni. Io spero molto di più. Io spero che Chanda possa vedere il giorno in cui la malattia sarà  sconfitta. Qualunque sia la sua sorte, noi cerchiamo di dargli tutto ciò di cui ha bisogno un bambino: cure, cibo, scuola, gioco, ma soprattutto amore.
Alla Caritas antoniana ricordano come se fosse ieri la lettera di richiesta di aiuto di suor Ilaria, che, con altre suore Francescane Missionarie di Assisi, oggi gestisce il progetto. Un colpo al cuore: Queste creature, le piccole vittime, i nuovi martiri, quelli che nascono con la malattia nel sangue, senza sapere perché, hanno una vita brevissima, segnata da grande sofferenza.
Terribile il vuoto d'affetto: In molti casi la mamma muore prima della creatura o nell'atto di metterla al mondo, tanti non fanno neppure in tempo a succhiare un po' di latte dal seno. Senza mamma un bambino è povero, fragile, senza amore. Molti bambini non hanno neppure una nonna. Molti sono talmente soli che nessuno si è curato di metter loro un nome: sono numeri di una statistica. Da quella lettera la suora gridava un dolore pieno di indignazione: Chi ringrazierà  Dio per queste vite? Perché sono venuti al mondo? Chi chiederà  giustizia per loro?.
Non ci fu molto da riflettere: la richiesta di aiuto delle suore divenne uno dei tre progetti di aiuto ai bambini con aids, lanciati nel giugno del 2001, in occasione della festa del Santo. Il progetto prevedeva la costruzione di cinque case famiglia, un nido per i più piccoli, un'infermeria, alcune aule, la cucina e un refettorio, per ricreare il più possibile un ambiente familiare e accogliente. Ogni casa avrebbe ospitato dieci bambini sieropositivi e malati da 0 a 14 anni, in stato di completo abbandono. Un progetto fondamentale per la zona, dove non esiste alcuna struttura specializzata nella cura dell'aids e dove il male ha ormai colpito due adolescenti su quindici. Purtroppo la prostituzione per fame è assai diffusa tra le ragazzine - spiega suor Ilaria -. Mamme bambine mettono al mondo figli malati che rimarranno presto orfani. Una tragedia così grande da aver spazzato via la solidarietà  famigliare, perché oggi i pochi nonni rimasti non riescono a mantenere otto, dieci nipoti orfani, e molti bambini malati sono abbandonati a se stessi. Per i neonati, poi, non c'è alcuna possibilità  di sopravvivenza.

Con lentezza tutta africana

Il progetto è andato avanti lentamente, come capita spesso nei Paesi africani per difficoltà  politiche ed economiche, ma alla fine è stato completato. Ci sono voluti più di due anni e più di 260 mila euro, tutti donati dai lettori del Messaggero. Suor Ilaria ci ha mandato il resoconto lo scorso ottobre: le case famiglia non solo sono finite, ma ospitano molti più bambini del previsto. Il centro delle suore è diventato un punto di riferimento di lotta all'aids per tutta la zona, tanto che uno spazio riservato agli adulti sta crescendo vicino al nucleo originario del progetto. Così suor Ilaria riassume l'importanza sociale del Villaggio sant'Antonio: I bambini che accogliamo tornano a sorridere alla vita. Qui trovano quell'amore e assistenza che forse non hanno mai provato; le loro giornate, prima vuote, si riempiono di studio e di gioco. Anche per i genitori malati cambia la prospettiva: Per una mamma sapere che, quando lei non ci sarà  più, suo figlio non sarà  abbandonato ma qualcuno sarà  al suo capezzale giorno e notte, è un lenimento del dolore. La speranza che rinasce investe tutta la comunità : Avere un punto di riferimento a cui rivolgersi per consiglio e aiuto, farà  sì che la malattia non faccia più così paura, aiutando la gente a capire che chi è colpito dal male non è un appestato ma una persona da amare.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017