La televisione: sinora una pessima maestra

Undicimila ore dedicate allo studio, quindicimila alla tv. Omicidi e violenze a tutto spiano. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi dei ragazzi che guardano la tv.
09 Aprile 2003 | di

Sui principi che stanno animando le proposte di riforma della censura allo studio del ministero delle Attività  culturali e sulle varie ipotesi formulate, figura un primo «sbarramento» ai minori di otto anni e un secondo tra i quattordici e i sedici con o senza la «parental guidance», ovvero l`€™accompagnamento del minore da parte di un adulto. L`€™abolizione del visto di censura (in questo modo il cinema verrebbe equiparato al teatro, sul quale non esistono vincoli) e una maggior attenzione nei confronti dei minori stanno animando il dibattito attualmente in corso negli ambienti del cinema. Ma proprio dal cinema è partito il richiamo per una maggiore responsabilizzazione della tv. Premesso che la tutela dei minori è necessaria, per Liliana Cavani, regista di due film sulla figura di san Francesco, «la violenza e la volgarità  più insidiose non si manifestano al cinema ma in tv». Giudizio confermato da Carlo Lizzani, autore dello sceneggiato televisivo Maria José, l`€™ultima regina. Alcuni dati su cui riflettere Tutte queste pressioni non sono state inutili, visto che presso il ministero delle Comunicazioni, a fine gennaio si è insediato il Comitato di applicazione del codice tv e minori, al quale spetta il compito di vigilare sull`€™applicazione delle norme di autoregolamentazione a tutela dei minori. Il quadro che si è presentato agli occhi dei membri del comitato non è dei più esaltanti. A cominciare dai dati di un fresco rilevamento per poi passare a uno studio effettuato dagli psicologi del Centro studi per l`€™adolescenza. I dati che riguardano il rapporto minorenni-televisione meritano tutta la nostra attenzione: nel corso della scuola dell`€™obbligo, le ore dedicate allo studio sono 11 mila contro le 15 mila passate davanti alla tv; le bambine sono più precoci e numerose dei maschi nel seguire i programmi sul video; gli omicidi e le scene di violenza ai quali un ragazzo di quattordici anni ha assistito guardando film in tv e telegiornali ammontano a 18 mila. Altrettanto preoccupante è anche quanto emerso dall`€™indagine portata a termine dal Centro studi per l`€™adolescenza diretto da Mariolina Palumbo. Su un campione di 250 famiglie italiane con almeno un bambino di età  inferiore ai dodici anni è emerso come stia crescendo il fenomeno di genitori che infliggono ai bambini trasmissioni inadeguate alla loro età . Nella sua generalità , il problema è dunque tale da meritare che al centro dell`€™attenzione ci siano non tanto i ragazzi quanto i genitori. E, a questo punto, sembra anche legittimo chiedersi se abbia ancora senso parlare di una «tv dei ragazzi», perlomeno in senso tradizionale. Lo conferma uno studio di Marina D`€™Amato, docente di sociologia all`€™Università  Roma 3. Nel suo libro, La tv dei ragazzi - Storie, miti, eroi (Rai-Eri), Marina D`€™Amato afferma che «per la prima volta nella storia dell`€™umanità , tutti i bambini del mondo conoscono le stesse storie, condividono gli stessi eroi, giocano con le stesse cose». È l`€™effetto globalizzazione dell`€™immaginario, che per primi tocca e coinvolge proprio i bambini. Con quali risultati? Uno positivo, in quanto i minori hanno una possibilità  di comunicare che non era stata data agli adulti; l`€™altro negativo, perché i nuovi eroi del video non appartengono a nessuna cultura come i modelli che li precedevano.

Sui principi che stanno animando le proposte di riforma della censura allo studio del ministero delle Attività culturali e sulle varie ipotesi formulate, figura un primo «sbarramento» ai minori di otto anni e un secondo tra i quattordici e i sedici con o senza la «parental guidance», ovvero l’accompagnamento del minore da parte di un adulto.
L’abolizione del visto di censura (in questo modo il cinema verrebbe equiparato al teatro, sul quale non esistono vincoli) e una maggior attenzione nei confronti dei minori stanno animando il dibattito attualmente in corso negli ambienti del cinema. Ma proprio dal cinema è partito il richiamo per una maggiore responsabilizzazione della tv. Premesso che la tutela dei minori è necessaria, per Liliana Cavani, regista di due film sulla figura di san Francesco, «la violenza e la volgarità più insidiose non si manifestano al cinema ma in tv». Giudizio confermato da Carlo Lizzani, autore dello sceneggiato televisivo Maria José, l’ultima regina.

Alcuni dati su cui riflettere

Tutte queste pressioni non sono state inutili, visto che presso il ministero delle Comunicazioni, a fine gennaio si è insediato il Comitato di applicazione del codice tv e minori, al quale spetta il compito di vigilare sull’applicazione delle norme di autoregolamentazione a tutela dei minori. Il quadro che si è presentato agli occhi dei membri del comitato non è dei più esaltanti. A cominciare dai dati di un fresco rilevamento per poi passare a uno studio effettuato dagli psicologi del Centro studi per l’adolescenza.
I dati che riguardano il rapporto minorenni-televisione meritano tutta la nostra attenzione: nel corso della scuola dell’obbligo, le ore dedicate allo studio sono 11 mila contro le 15 mila passate davanti alla tv; le bambine sono più precoci e numerose dei maschi nel seguire i programmi sul video; gli omicidi e le scene di violenza ai quali un ragazzo di quattordici anni ha assistito guardando film in tv e telegiornali ammontano a 18 mila.
Altrettanto preoccupante è anche quanto emerso dall’indagine portata a termine dal Centro studi per l’adolescenza diretto da Mariolina Palumbo. Su un campione di 250 famiglie italiane con almeno un bambino di età inferiore ai dodici anni è emerso come stia crescendo il fenomeno di genitori che infliggono ai bambini trasmissioni inadeguate alla loro età.
Nella sua generalità, il problema è dunque tale da meritare che al centro dell’attenzione ci siano non tanto i ragazzi quanto i genitori. E, a questo punto, sembra anche legittimo chiedersi se abbia ancora senso parlare di una «tv dei ragazzi», perlomeno in senso tradizionale. Lo conferma uno studio di Marina D’Amato, docente di sociologia all’Università Roma 3. Nel suo libro, La tv dei ragazzi - Storie, miti, eroi (Rai-Eri), Marina D’Amato afferma che «per la prima volta nella storia dell’umanità, tutti i bambini del mondo conoscono le stesse storie, condividono gli stessi eroi, giocano con le stesse cose». È l’effetto globalizzazione dell’immaginario, che per primi tocca e coinvolge proprio i bambini. Con quali risultati? Uno positivo, in quanto i minori hanno una possibilità di comunicare che non era stata data agli adulti; l’altro negativo, perché i nuovi eroi del video non appartengono a nessuna cultura come i modelli che li precedevano.

Codici di autocontrollo

Con tutte queste realtà si è dovuto confrontare il Codice di autoregolamentazione siglato da Rai, Mediaset, La 7 ed emittenti locali. Il codice, sulla cui attuazione dovrà vigilare il Comitato di controllo, tutela i diritti e l’integrità psichica e morale dei minori, con particolare riguardo alla fascia di età più debole, quella che arriva ai quattordici anni. Le denunce potranno essere inoltrate al Comitato di controllo da chiunque, attraverso la segnalazione delle violazioni alle norme di autoregolamentazione, e le sanzioni previste vanno da 5 mila a 250 mila euro fino alla revoca della licenza, in caso di programmi che possano nuocere con scene di pornografia o violenza gratuite. Le nuove norme stabiliscono, inoltre, che le emittenti televisive si impegnano a dedicare una fascia di programmazione per i minori compresa fra le ore 16 e le 19. E ancora: dalle 7 alle 22 i programmi dovranno tener conto della presenza di minori davanti al video. In più, considerando la presenza dei genitori, dalle 19 alle 22,30 le emittenti televisive dovranno segnalare il tipo di programma messo in onda.
Qualcosa si muove, dunque, e non soltanto per aggiungere qualche paletto o qualche steccato in più, ma anche per cercare di cambiare sistema. Il Codice di autoregolamentazione, firmato, alla presenza del ministro Gasparri, dai rappresentanti delle emittenti televisive, prevede, infatti, un impegno comune a migliorare la qualità dei prodotti da mettere in onda. Un patto fra gentiluomini, che non si limiterà a pigiare il piede sul freno ma che si adopererà anche per ottenere una guida più dolce. L’iniziativa è stata incoraggiata dal presidente della Repubblica, sensibile al problema dei minori e della loro educazione (come non ricordare l’esternazione della signora Franca contro la tv deficiente?), il quale aveva caldeggiato «una strategia chiara e consapevole a garanzia dei diritti dei minori da parte delle istituzioni».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017