La storia di Alì, il bambino mutilato

Mutilato e ustionato dalle bombe intelligenti, voleva farla finita, ma la solidarietà internazionale gli ha ridato la voglia di vivere e un futuro...
26 Giugno 2003 | di

Lo scoprii grazie a un reportage dell'inviato speciale di El Paìs: diceva della mostruosa, immensa disgrazia di Alì Ismail Abbas, un bambino iracheno di dodici anni. Poco prima della caduta di Baghdad, la famiglia di Alì decide di sfollare in un suburbio dove non c'è nulla, proprio nulla, e dunque si presume che gli americani non verranno mai a bombardarlo.
E invece un missile (naturalmente) intelligente centra tutta la sua famiglia. Lui si salva - lui solo - ma una scheggia crudele gli ha tranciato di netto entrambe le braccia. Gli son rimasti due moncherini, piccini come le alette d'un putto. Di più: il settanta per cento del suo corpo è arso dalle ustioni. La storia del fanciullo mutilato dal missile intelligente fa il giro del mondo, la sua fotografia è una pugnalata al cuore: i suoi occhi disperati sembrano accusarci d'averlo noi ridotto monco e disperato. In Italia, due giornali, di opposto orientamento, trovano una (nobile) intesa: L'Unità  di Furio Colombo e Il Giornale di Maurizio Belpietro aprono un conto corrente per curare Alì. Ma il piccolo sfregiato dalla guerra è disperato: voglio morire, dice. Volevo fare il medico, il chirurgo ma senza braccia non è possibile far nulla. Voglio morire, prima o poi mi ammazzo.

Oramai esiste un caso Alì, un ragazzino che se anche uscirà  dal tunnel delle ustioni, sarà  comunque un infelice. Ha bisogno di uno psicologo che lo recuperi a se stesso, alla vita vera. Il governo del Kuwait scopre il caso e interviene con tutta la possanza della sua incalcolabile ricchezza. Il ragazzino viene trasferito a Kuwait City, affidato a una squadra medica di livello, e gli mettono accanto uno psicologo. Bene: il 5 di giugno Alì ha fatto la sua prima passeggiata nel corridoio dell'Ibn Sina Hospital.
Il medico che lo segue notte e giorno, il dottor Imad al-Najada, ha lasciato che i fotografi riprendessero l'evento. Tu non devi vergognarti, ha detto il medico ad Alì: stanno preparando gli apparecchi, presto avrai due braccia. Non saranno di carne e tendini eccetera, ma ti consentiranno di far tutto. Anche il chirurgo? ha chiesto Alì. Certamente, anche il chirurgo.

Non si tratta di una pietosa bugia. I medici affermano che se le protesi verranno supportate psicologicamente, Alì potrà  davvero, un giorno, diventare chirurgo. Ci dicono che la presidente della Rai, la giornalista Lucia Annunziata, mamma amorosa di Antonia, stia studiando l'opportunità  di un servizio televisivo sul ragazzo Alì. Sembra che dopo un colloquio col suo psicologo, Alì si sia detto impaziente di raccontare la sua storia in tv. Può, a prima vista, sembrare una forzatura questa idea del reportage su e di Alì, ma a ben pensarci è una buona cosa. È veramente cosa buona e giusta affidare a un ragazzino così umiliato dall'infamità  della guerra il compito di raccontar se stesso, le sue speranze, ora ch'è rinato e la vita non lo spaventa più. È il modo terribilmente giusto di condannare una volta ancora e forse in via definitiva, la guerra, meglio: quella bestia insana che alligna dentro ogni creatura e che volgarmente chiamiamo autodistruzione. Facendosi affascinare dalla guerra intesa siccome rimedio virile, l'umanità  rischia appunto l'autodistruzione. L'uomo, con la guerra, diventa un simulacro orrendo della Creazione, il suo contrario, il bestemmiatore di Dio che la vita ci dà , instancabile.
Come sappiamo, anche Dio lotta contro il Male. Chiamatelo come volete: Male, Maligno, Satana; rimane il fatto che pure l'Altissimo deve combattere la sua battaglia. Per la Vita. Degli altri, dei piccoli uomini insensati che fanno la guerra e non sanno quel che si fanno.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017