La Pira, il sindaco che credeva nel dialogo e nella pace

Visse in modo coerente la sua esperienza di politico e di cristiano. Amò la vita contemplativa ma anche l'impegno sociale, prediligendo i poveri. Promosse la pace e l'incontro tra i credenti, fedele al messaggio evangelico.
30 Gennaio 2004 | di

Uno dei più odiosi conflitti dello scorso secolo, quello del Vietnam, avrebbe potuto  finire una decina d' anni prima, se i signori della guerra del tempo non avessero duramente osteggiato un progetto di pace messo a punto ad Hanoi nel 1965 dal leader vietnamita Ho Chi-Minh e dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Ci saremmo evitati dieci anni di stragi e di drammi. Questo raccontano i biografi del sindaco di Firenze, del quale lo scorso 9 gennaio si sono ricordati i cent'anni dalla nascita.
Personaggio controverso, fuori dagli schemi, La Pira fu per gli estimatori un uomo onesto, limpido, un politico al servizio degli altri, dei poveri anzitutto, e dalle grandi visioni, un profeta della pace, del dialogo e del rispetto tra i popoli e tra le religioni. Per gli  altri fu solo un utopista pasticcione, che mescolava pericolosamente politica e fede, e nella sua aspirazione - tutta cristiana - alla fratellanza videro un cedimento a ideologie estranee alla fede. In realtà , La Pira, cattolico intransigente,  seppe coniugare la tolleranza con il rigore della dottrina cristiana e della fede che egli visse con intensità  e integrità . 
Nando Sampietro, nel 1964 direttore di Epoca, sintetizzava così la complessità  del  personaggio: Ogni Natale, La Pira e io ci scambiamo gli auguri... Ma io non mando gli auguri al sindaco, perché da un sindaco come lui manderei il prefetto con precise istruzioni di trovare il modo di spedirlo a casa, e subito. No. Io mando gli auguri all'uomo che non ha nulla, che non mangia nulla, che non chiede nulla, all'uomo che piange e ride parlando della vita eterna. Mando gli auguri al piccolo uomo povero che fa un sacco di confusione, come tutti i piccoli uomini poveri che hanno il cuore puro e gli occhi limpidi e forse vedono tanto più lontano di noi che saremmo ottimi sindaci ma non saremo mai fanciulli di Dio.
L'incontro di Hanoi fu solo una pietruzza del mosaico di pace iniziato nel 1952, quando La Pira organizzò a Firenze il primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà  cristiana. Si era nel pieno della guerra fredda. Che vuol dire mondo occidentale e blocco comunista divisi dalla cortina di ferro e pronto ognuno, in caso di aggressione, a sfoderare le armi - atomiche purtroppo - stivate in gran numero negli arsenali. In quel clima di sospetti e diffidenza, La Pira  invitava esponenti politici di tutti i Paesi a guardarsi in faccia, a dialogare, a porre le basi per un vivere pacifico.
Convinto che le città  sono le unità  viventi in cui si concentrano i valori essenziali della storia passata e futura, i libri vivi della storia e della civiltà  umana, destinati alla formazione spirituale e civile delle generazioni future, nel 1955, radunava i sindaci delle capitali di mezzo mondo, a Palazzo Vecchio, per stringere un patto di amicizia tra loro. Legami che poi Firenze approfondì, gemellandosi con Filadelfia, Kiev, Kioto, Fez e Reims. Tutti fili di una rete di rapporti che egli andava tessendo con cristiano ottimismo per affrettare il compiersi del tempo in cui - come aveva vaticinato il profeta Isaia - i popoli muteranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci... e non praticheranno più la guerra perché tutti cammineranno nella luce del Signore.

Siciliano, figlio di povera gente

La Pira, siciliano, di Pozzallo  (Ragusa), proveniva da una famiglia povera e fu solo con grandi sacrifici che riuscì a diplomarsi in ragioneria e poi a laurearsi in giurisprudenza. Emigrò poi a Firenze, dove divenne docente di diritto romano. La sua intensa attività  di studioso, di diritto e della dottrina sociale della Chiesa, lo portò a contatti con l'Università  Cattolica di Milano e a stringere amicizia con padre Gemelli e Giuseppe Lazzati. Molto attivo nelle file dell'Azione Cattolica giovanile, collaborò a diverse riviste cattoliche. Alla  vigilia della guerra, 1939, fondò una rivista, Principi, dove sosteneva che tutti i valori creati, compresi quelli sociali, hanno per l'uomo funzione di mezzo, costituiscono quella scala di valori che egli deve normalmente percorrere per giungere al suo ultimo fine; sono l'itinerario al termine e al di là  del quale c'è il riposo e la perfezione: Dio raggiunto e posseduto per sempre. I valori della persona prima di qualsiasi altra cosa: stato, razza, ideologia, partito... Idee non proprio gradite al regime fascista, che vietò la rivista.
Pochi anni dopo, 1943, La Pira si rifaceva vivo con un foglio clandestino San Marco: la polizia segreta si pose sulle sue tracce, ma egli riuscì a fuggire a Roma. Liberata Firenze, tornò a insegnare all'Università . Nel 1946 fu eletto all'Assemblea Costituente. L'anno successivo con Dossetti, Fanfani e Lazzati fondava  Cronache sociali una rivista che dava corpo,  dal punto di vista cattolico, alle richieste del rinnovamento democratico in Italia.

L'esperienza di sindaco a Firenze

Nel 1951 fu eletto sindaco di Firenze: lo sarà , salvo una breve interruzione, fino al 1965. Come primo cittadino promosse la ricostruzione della città  duramente colpita dai bombardamenti: vennero ricostruiti, tra l'altro, i ponti Alle Grazie, Vespucci e Trinità . Fu edificato il nuovo Teatro Comunale. Sorse il muovo quartiere dell'isolotto e si progettò quello di Sorgane. Fu realizzata la Centrale del latte  e le periferie si popolarono di case popolari e di scuole...
Ma fu soprattutto la crisi delle officine Pignone (e poi della Galileo, della Richard-Ginori e delle fonderie delle Cure) a coinvolgerlo politicamente e umanamente. I proprietari della Pignone volevano chiudere mettendo sulla strada circa tremila operai. Il sindaco, schieratosi con i lavoratori, mobilitò mezzo mondo per impedire la chiusura delle officine. Scomodò perfino Enrico  Mattei, presidente dell'Eni,  che gli mandò a dire che lui si occupava di petrolio e non di metalmeccanica. Ma La Pira lo assediò fino a strappargli l'impegno di occuparsi anche dello stabilimento fiorentino e la  Pignone fu salva.
Ma per quel suo schierarsi a fianco degli operai fu bollato come comunista bianco. e comunista di sagrestia. Lo stesso don Sturzo, fondatore della Dc, lo rimbrottò scrivendogli che i cattolici devono essere interclassisti e non statalisti, considerando lo stato come unica fonte del diritto, se non si vuol finire in una sorta di marxismo spurio. La Pira gli rispose presentandogli la cartella clinica della città : 10 mila  disoccupati, 3 mila sfrattati, 17 mila libretti di povertà . Davanti a tutti questi feriti buttati a terra dai ladroni, come la parabola del Samaritano - scriveva - cosa deve fare il Sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?.
Per La Pira, cristiano di nome e di fatto, la persona e i suoi problemi venivano prima di ogni ideologia. In  una città  - scriveva - un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l'officina), un posto per imparare (la scuola), un posto per guarire (l'ospedale).
Poi il suo impegno per la pace e il dialogo tra i popoli e tra le religioni che lo pose in prima fila, attivo, ogni volta che un conflitto minacciava di esplodere o, in atto, non trovava soluzione. Negli anni caldi della guerra algerina fece  incontrare a Firenze personalità  francesi vicine a De Gaulle con i rappresentanti del Fronte di liberazione algerino. Fece di tutto per scongiurare la guerra dei sei giorni e riavvicinare il Cairo e Tel Aviv. Nel 1958 organizzava a Firenze i  Colloqui Mediterranei, per promuovere la cooperazione tra i Paesi che si affacciano sul Mare nostrum. Esigenza anche oggi sentita e che lo scorso novembre a Napoli ha dato vita al Parlamento del Mediterraneo...
Nel 1959, ufficialmente invitato dall'ambasciatore Bogolomov, andò a Mosca a parlare al Soviet Supremo. S'era svolto da poco il XX Congresso del Partito comunista sovietico nel quale Nikita Krusciov aveva denunciato i crimini di Stalin.  Agli arcigni membri del Soviet Supremo, La Pira parlò di Dio e auspicò la libertà  di religione. Come avete rimosso dal Museo del Cremlino il cadavere di Stalin - disse - così dovete liberarvi dall'ateismo. È un'ideologia che appartiene al passato ed è ormai irrimediabilmente superata.
Dal 1966 lasciò gradualmente l'attività  pubblica, pur mantenendo contatti internazionali come presidente della Federazione mondiale delle città  unite. L'anno seguente intrecciò colloqui con Nasser in Egitto ed  Abba Eban in Israele, per collaborare alla pace tra due popoli figli di Abramo.
Coltivò sino alla fine il sogno della fratellanza della  pace. Per questo scrisse a capi di Stato, a personalità  di ogni continente, a monasteri di clausura; tenne discorsi,  incontri: applaudito e seguito dai giovani che avvertivano la grande forza della sua fede e la purezza dei suoi ideali e deriso dai benpensanti. Isaia non fa quadrare i bilanci del Comune - dicevano - e le invocazioni allo stesso Dio non spostavano d'una ette - al di là  della giornata ricca di calore umano dell'incontro tra i sindaci - la situazione nel Medio Oriente. Andando da Ho Ci Min, come frate Francesco dal Sultano, non aveva concluso nulla.

Un politico al servizio dei poveri

Uomo di cristallina fede e di profonda adesione al messaggio evangelico, vissuto nell'impegno politico e nella solidarietà  con i poveri, credette fino in fondo alla visione del profeta Isaia di un modo pacificato senza guerre e senza odi: si adoperò con ogni mezzo perché ciò si compisse: con il dialogo, con la preghiera, con la penitenza e con tanti gesti simbolici, come fa Giovanni Paolo II, che non hanno cambiato il mondo, ma convinto tante persone a continuare a credere nella possibilità  della pace.
Gli ultimi anni del sindaco santo furono resi difficili da una grave malattia e da un penoso isolamento. Il 5 novembre 1977 in un sabato senza vespri come aveva desiderato, concluse il suo pellegrinaggio terreno. Ai suoi funerali, c'erano gli operai della Pignone a portarlo a spalle, piangendo. Il cardinale Benelli, arcivescovo di Firenze, all'omelia funebre disse: Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede. Tutto, al contrario, diventa chiaro se si pone in un'ottica soprannaturale. E Paolo VI nel telegramma inviato: Con cuore commosso ricordiamo la coerente testimonianza cristiana, il sincero anelito ed il contributo alla pace ed alla concordia tra gli uomini.
Su Paese sera, quotidiano vicino al partito comunista, Giulio Goria osservava: Giorgio La Pira, con i suoi occhi sorridenti, il gesto affabile, il suo candore, la sua innocenza è stato, in realtà , una delle coscienze più alte e singolari che il cattolicesimo moderno abbia prodotto in Italia. Credeva nella profezia e nella Provvidenza in modo totale. È andato tra i popoli, povero ambasciatore e senza credenziali, gridando pace.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017