La nuova evangelizzazione e le cinque W

Dal 7 al 28 ottobre prossimo si svolgerà il Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Un evento carico di attese.
27 Agosto 2012 | di

Chi (who), che cosa (what), quando (when), dove (where), perché (why) sono le cinque W che il giornalismo anglosassone ha messo in progressione per aiutare la scrittura di un pezzo senza che venga tralasciato, della notizia, qualcosa di essenziale. Seguo allora diligentemente l’ordine prescritto, con riferimento alla nuova evangelizzazione, cominciando dal chi: questi, innanzitutto, altri non può essere se non la Chiesa, la quale, agli inizi del terzo millennio, sente di dover riprendere con uno slancio missionario più vigoroso. Qualcuno, ironizzando, ha detto che nei Paesi di antica evangelizzazione (che sono anche il «dove» prevalente) la Chiesa non sa più generare figli, ma si limita a battezzare i figli dei suoi figli, per cui sarebbe più nonna che madre. Si è dunque interrotta, in buona parte, la trasmissione della fede, anche per il venire meno del principio di tradizione e un appiattimento di tutti sul presente, sull’immediato, sul fruibile. Il chi della nuova evangelizzazione investe anche gli uomini del nostro tempo iperconnessi e malati di solitudine, ipercritici e diffidenti e però disponibili a tutti i menù, anche religiosi. Molti di questi hanno voltato le spalle al cristianesimo, alcuni restando in ricerca, i più anestetizzando o saturando altrimenti le grandi domande della vita.

Ma veniamo al che cosa, cioè all’identità specifica della nuova evangelizzazione, non facile da definire. Si tratta di annunciare il vangelo di sempre dentro scenari profondamente mutati, ma non solo, perché il vangelo può essere annunciato, dentro nuovi contesti, in maniera vecchia, monotona, devitalizzata. «Il vangelo – scrive il biblista Bruno Maggioni – è nuovo non perché non l’ho mai sentito, non perché affronta problemi nuovi, non perché lo ridico con parole nuove, ma perché è una notizia che tutte le volte che la sento mi rinnova e mi stupisce. La novità del vangelo è la perenne novità dell’amore di Dio. L’amore non invecchia, né stanca mai. È sempre nuovo, ogni giorno che lo incontri... Se l’annuncio del vangelo appare vecchio e crea noia, allora vuol dire che non è stato annunciato il Vangelo». Non è dunque in primo luogo questione di emergenze, di mondi lontani o paralleli quando non in contrasto col cristianesimo, da riportare all’ovile, bensì di una ripartenza dal centro, dal cuore del vangelo e del vissuto cristiano, nella convinzione che gli uomini sono in attesa della buona notizia e aspirano a una comunità che ne sia visibilizzazione. Sì, perché oggi la Chiesa deve mostrare a tutti che è ancora possibile essere cristiani, amici di Gesù Cristo e insieme uomini pienamente realizzati.

Quando? Da subito, senza però quell’affanno che diventa agitazione pastorale o quell’attivismo sterile che porta in sé il germe della dissuasione. Restituendo profondità ai tempi, verità alle relazioni, autenticità agli affetti in tutti gli ambiti di vita, perché la fede non appaia cosa per e dell’altro mondo. Se il cristianesimo fosse un doverismo rigido e moraleggiante o comunque uno dei tanti ismi che hanno agitato la storia e non invece una straordinaria risorsa di trasformazione personale e collettiva e un orizzonte di bellezza per tutti, potrebbe anche perire. Fortunatamente non è così, e questo va mostrato, prima che dimostrato, agli uomini e alle donne dei Paesi di antica cristianità, nei quali la fede si è affievolita e in molti anche spenta (ecco il dove). Il perché, infine, non riguarda soltanto coloro che andrebbero riguadagnati alla fede, ma l’identità della Chiesa stessa: la missione, prima di dire cosa la Chiesa fa, dice come si fa la Chiesa. Senza missione, cioè, la Chiesa non esiste, così come non si dà vita cristiana. La nuova evangelizzazione, allora, è innanzitutto una grande domanda sulla Chiesa, sulla vita delle comunità cristiane. Su noi, su te e su me.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017