La galassia del non profit

Volontariato, associazioni non finalizzate al lucro, imprese sociali… Radiografia di un fenomeno in espansione. A «Civitas» il punto della situazione.
05 Maggio 2003 | di

Fondazioni, cooperative sociali, associazioni di volontariato`€¦ tutto questo è non profit: un`€™unica parola per comprendere una pluralità  di mondi, di settori di attività  e di ideali che, dalla Sicilia al Trentino, accomuna tutta l`€™Italia. Si tratta di un universo in continua espansione che ha conosciuto una rapida diffusione negli anni `€™90 per poi costituire quello che viene definito, dopo il settore della politica e quello dell`€™economia, il Terzo Settore del nostro Paese. Tra l`€™altro, la «galassia del non profit» si dà  appuntamento, dall`€™1 al 4 maggio, alla Fiera di Padova per esporre il cammino fatto e dibattere i propri problemi. Il tema di quest`€™anno è «Le differenze come valore».
Gli italiani impegnati negli ambiti della cura e assistenza alla persona, della cooperazione allo sviluppo, della difesa e della tutela dell`€™ambiente, che ne facciano una professione o un`€™attività  da svolgere nel tempo libero, si stima siano 5 milioni. In quest`€™esercito, composto da piccole organizzazioni locali come da articolati coordinamenti a livello nazionale, negli ultimi anni si è fatto strada il concetto di «impresa sociale»: una parola che vuole riassumere in sé sia il concetto di «rischio» e di innovazione, tipico dell`€™impresa tradizionale, sia l`€™obiettivo ultimo di perseguire il benessere della comunità .
Mentre per le cooperative sociali e per le associazioni esistono provvedimenti di legge che ne hanno disciplinato gli ambiti e le finalità , dell`€™impresa sociale lo Stato ha cominciato ad occuparsi solo da poco. In Commissione Giustizia e Affari costituzionali è stato, infatti, depositato un decreto delega che, se approvato a breve, impegnerà  il governo a legiferare entro un anno.
Il decreto delega traccia già  le linee e i principi secondo i quali si potrà  definire l`€™impresa sociale: tra questi, l`€™azione locale, sul territorio di appartenenza; l`€™indivisibilità  degli utili; l`€™assenza, nella compagine societaria, di imprese private; la presenza di molteplici «portatori di interessi» che possono essere gli utenti, i volontari, gli stessi dipendenti dell`€™impresa sociale. Non potranno essere considerate imprese sociali gli enti pubblici o le fondazioni bancarie.
Come al solito, l`€™intervento legislativo viene a sancire quella che da qualche anno è una realtà  di fatto: la nascita, ormai consolidata, di tante e diverse cooperative sociali o associazioni volute dal desiderio e dalla vocazione di offrire risposte ai bisogni della persona. Al di là  del riconoscimento sulla carta, è un fenomeno ancora in espansione, vuoi perché lo stato sociale non è più in grado, da solo, di rispondere ai bisogni della persona, vuoi perché questa forma di impresa soddisfa una crescente esigenza di svolgere un lavoro a servizio della propria comunità . «L`€™impresa sociale rappresenta l`€™evoluzione del mondo del non profit, cioè di tutte quelle realtà  che, pur avendo caratteristiche diverse di natura economica, non hanno per obiettivo la ricerca del massimo profitto `€“ dice Johnny Dotti, presidente del `€œConsorzio Gino Matterelli`€ (Cgm), il più grande coordinamento di gruppi di cooperative sociali in Italia `€“. Questa forma nasce dalla necessità  di trovare un modello organizzativoeconomico che tenga conto della competizione, ma sia in grado di includere le persone che nella società  fanno fatica a inserirsi. Lo definirei un modello che produce `€œcapitale sociale`€. Una definizione che va molto oltre l`€™affermazione generica secondo cui `€œimpresa sociale`€ è un`€™organizzazione che opera a fini sociali con il vincolo della non distribuzione degli utili; essa, infatti, va a toccare le condizioni senza le quali l`€™impresa sociale snatura la sua missione: creare, anzitutto, beni relazionali per il benessere complessivo della persona».
Una realtà  consistente o iniziative limitate? Dotti ci dà  alcuni numeri: «Cgm `€“ dice `€“ ha censito 5 mila 600 cooperative sociali nel 2002, diffuse ormai in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale (Terzo Rapporto sulla Cooperazione sociale in Italia, 2002). Nel Secondo Rapporto, che risale a soli tre anni prima, ne aveva registrate 4 mila. Impiegano quasi 157 mila addetti, 23 mila volontari e 14 mila 900 lavoratori svantaggiati. Le cooperative sociali si suddividono in cooperative di tipo A, nate per realizzare servizi per anziani, portatori di handicap, minori in difficoltà  e cooperative di tipo B, che tra i loro lavoratori devono comprendere persone con difficoltà  e nascono con l`€™obiettivo del loro reinserimento sociale. Tra le cooperative sociali, quelle di tipo A sono la maggioranza al Nord (56 per cento) e al Sud (62 per cento). La percentuale di crescita più alta di imprese la detiene il Sud, con un tasso medio annuo del 27 per cento. Sono organizzazioni locali costituite da personale retribuito, ma anche da volontari che contribuiscono alla sensibilizzazione del contesto sociale in cui operano. E tendono sempre di più a collegarsi fra loro, a creare `€œreti`€ (ne esistono ormai più di 200 a livello nazionale) per pesare di più nella programmazione dei servizi, per relazionarsi con maggiore efficacia con l`€™ente pubblico».
Bisogno di occupazione o desiderio di mettere i propri «talenti» a servizio della comunità ? Risponde Dotti: «Non c`€™è alternativa tra le due opzioni. È evidente che l`€™impresa sociale crea anche opportunità  di lavoro, ma se fosse solo un meccanismo per offrire occupazione, potremmo dire che ha perso la sua scommessa. L`€™occupazione è un effetto della sua capacità  di creare valore sociale, non il suo obiettivo primario».

Dal volontariato all'impresa sociale

Le cooperative sociali crescono anche perché molte associazioni, in origine basate esclusivamente sul volontariato, si strutturano per operare in modo più organizzato. Come dire che il volontariato «maturo» a un certo punto della sua storia, se vuole qualificarsi, deve diventare impresa sociale. Solo il 22 per cento delle associazioni è costituita, infatti, esclusivamente da volontari (rispetto a un 37 per cento del 1997) secondo i dati dell`€™ultima rilevazione Fivol (Fondazione italiana per il volontariato) che risalgono al 2001. Una percentuale che riflette un processo di «professionalizzazione» in atto nel volontariato, con l`€™inserimento di operatori remunerati, soprattutto nel caso sia in atto una convenzione con l`€™ente pubblico.
Ma proprio il rapporto con Comune, Provincia o Asl, che «delega» alla cooperativa o all`€™associazione lo svolgimento di un servizio, è uno dei nodi più dolenti della questione. Se cresce, infatti, il numero delle organizzazioni che si occupano di servizi alla persona, cresce anche la loro dipendenza dall`€™«ente erogatore» e diminuisce la capacità  di contrattare non solo il compenso economico per lo svolgimento dei servizi, ma anche le condizioni di lavoro.

Il Forum per il Terzo settore

«Attualmente, l`€™ente pubblico si muove tra incompetenza e incapacità  di valorizzare le peculiarità  dell`€™impresa sociale. Spesso indice gare d`€™appalto per la gestione di servizi essenziali a cui sono convocate, oltre alle cooperative, anche le organizzazioni di volontariato che, avendo meno costi, possono vincerle incentivando la competizione al ribasso», racconta Edoardo Patriarca, portavoce nazionale del Forum permanente per il Terzo Settore. Questo coordinamento di associazioni, nato nel 1997, raggruppa più di 100 realtà  significative nel mondo del non profit, della mutualità  integrativa e della cooperazione nazionale e internazionale. Una specie di «rete di reti» con un ruolo di rappresentanza politica forte nei confronti del governo e delle istituzioni. «Lo stato, da un lato, blandisce il Terzo Settore, al quale delega servizi e risposte al cittadino, dall`€™altro, tende a sminuire la sua forza propositiva e progettuale», continua Patriarca.
L`€™autonomia delle organizzazioni passa allora necessariamente attraverso l`€™indipendenza economica. È l`€™opinione di Paolo Venturi, coordinatore di Aicoon, l`€™Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit che, insieme all`€™Associazione italiana fund raiser e alla Facoltà  di economia delle imprese cooperative di Forlì, da vita alla Fund raising school, «Scuola di raccolta fondi», guidata da Stefano Zamagni. È una scuola che organizza corsi brevi e intensivi in cui viene dedicata particolare attenzione a mettere in pratica le tecniche via via apprese. Dal 1999, più di mille persone, in maggioranza del mondo della cooperazione sociale, hanno partecipato ai corsi della «Fund raising school» che, unica in Italia, è esclusivamente dedita all`€™insegnamento di metodologie per raccogliere risorse che assicurino un`€™autonomia gestionale all`€™impresa sociale, rafforzando l`€™apporto dei privati.
«Il momento storico è favorevole perché le imprese tradizionali sono molto sensibili al tema della responsabilità  sociale. Nei nostri corsi insegniamo a rapportarsi con queste realtà  senza perdere il patrimonio di valori che l`€™organizzazione di Terzo Settore porta con sé», dice Patriarca. Ma un apporto così importante del privato non rischia di deresponsabilizzare l`€™ente pubblico?
«Al contrario, lo stato deve stabilire in maniera chiara e univoca le modalità  di accesso delle imprese sociali alla gestione dei servizi, in modo da garantirne la qualità  e la professionalità », ribadisce Edoardo Patriarca. La sfida è di garantire una libertà  di azione al non profit, costruendo un mercato con pari opportunità  di accesso.
In questi scenari mobili, tra erogazione di beni poco quantificabili in termini economici, esigenze di produttività , necessità  di riformare lo stato sociale, perseguimento di un`€™autonomia economica, dove si colloca l`€™impresa sociale di oggi? «Il trend emergente sembra essere quello della promozione (e probabilmente della legittimazione) di modelli che si riproducono sulla base di istanze e obiettivi che differiscono poco, sia in termini gestionali sia organizzativi e produttivi, da quelli implementati da normali enti erogatori di servizi», scrive Luca Fazzi in Finanza etica e impresa sociale. I valori come fattori competitivi, Il Mulino. Ma l`€™impresa sociale ha un ruolo cruciale e la possibilità  di giocare in maniera determinante per la riforma del welfare. «Parlare oggi di impresa sociale significa avere chiaro il problema della proprietà  e della missione `€“ conclude Johnny Dotti `€“. Un`€™impresa sociale per essere tale dev`€™essere partecipata dalla comunità . Devono, quindi, essere presenti, al suo interno, gli attori che esprimono la domanda e l`€™offerta ed essere manifestati contemporaneamente i diversi bisogni della comunità . Per quanto riguarda la missione, deve dunque creare valore economico, sociale, fiduciario e ridistribuirlo».

 

Dal volontariato all`€™impresa sociale

di  Luciano Bertazzo

Ci è sembrato doveroso dedicare un dossier alla galassia del non profit, quel mondo variegato e ricco di associazioni, cooperative sociali, volontariato`€¦ sorto per rispondere ai bisogni della persona, in un momento in cui il «welfare», lo stato sociale, si va progressivamente defilando sia per oggettive difficoltà , sia in ossequio a una logica per la quale sembra aver valore solo il profitto e i bilanci. Quando questi non ci sono, si chiude. Non conta se a farne le spese ci sono persone, che, poi, sono quelle già  di per sé svantaggiate.
Le imprese del non profit, pur dovendo anch`€™esse fare i conti con bilanci ed efficienza, non fanno della ricerca del profitto il loro obiettivo finale, che è, invece, il benessere della persona e della comunità .
E fa piacere constatare come il numero di queste «imprese» con finalità  sociali sia in costante crescita; e come aumenti il numero delle persone che sentono l`€™esigenza di svolgere un lavoro a servizio della propria comunità , in particolar modo di quanti, per le loro situazioni di difficoltà , tendono a essere esclusi dal mondo del lavoro e del vivere sociale. Buona parte delle imprese sociali  occupano soprattutto disabili, e in istituzioni organizzate in modo tale da assicurare al lavoro continuità  e sviluppo. Superando il concetto di volontariato, il quale, di fatto, sta passando un momento di riflessione, per ripensare il proprio ruolo in una situazione che richiede professionalità  e garanzia di continuità , che non sempre il volontariato può dare. Però quello che non può comunque cambiare è lo spirito di dedizione e di gratuità  del volontariato.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017