La difficile fedeltà

In una società caratterizzata dai cambiamenti veloci e dalle relazioni deboli, essere fedeli sembra un comportamento anacronistico e quasi eroico. Perché il tradimento è sempre più accettato? Può esistere una società senza fedeltà?
19 Giugno 2007 | di

Essere o non essere fedeli. Questo è il problema. Il dubbio di Amleto applicato alla fedeltà non è mai stato tanto attuale, perché oggi la fedeltà – come il suo opposto, il tradimento – ha così tante sfumature e significati da diventare per qualcuno la massima espressione della libertà, della forza e dell’autorealizzazione e per altri il segno distintivo del conformismo, della debolezza, del tradimento del proprio io. Si può essere fedeli in tanti modi: per scelta, per convinzione radicata, per sacrificio, per comodità. Modi non tutti edificanti. Resta comunque singolare che uno dei valori più antichi del mondo, pietra miliare della vita dei nostri padri, cada oggi nella sfera dell’imponderabile. E se per Martina, 25 anni, «nessun rapporto è possibile senza fedeltà», la risposta di Marco, 30 anni, è più laconica: «Essere fedele? Sì, per carità è un valore… – e poi aggiunge tra il serio e il faceto – fino a prova contraria». La battuta è provocatoria ma arriva al nocciolo del problema: la fedeltà, per molti, non è più un valore universale cui approssimarsi, è una scelta tra le tante, una delle possibilità in campo, un «assoluto relativo».

Che cosa ci ha trasformati da aspiranti fedeli a possibili – e tutto sommato scusabili – traditori? Nella società di oggi, caratterizzata da mutamenti veloci e relazioni fragili, parlare di fedeltà ha ancora un senso? E – domanda delle domande – è possibile essere liberi e nello stesso tempo rimanere fedeli?

A questi quesiti rispondono due sociologi che sul tema hanno riflettuto a lungo, Gabriella Turnaturi dell’università di Bologna e Italo De Sandre dell’università di Padova, iniziando il viaggio da un punto comune: con l’età moderna la fedeltà non è più un valore sociale indispensabile alla conservazione di una data società, ma diventa una scelta che riguarda l’individuo e la sua sfera privata: «Nelle società antiche – afferma Turnaturi –, onore, fedeltà coniugale, lealtà tra amici, obbedienza al proprio signore erano i valori su cui si basava il senso di appartenenza e la coesione tra gli individui. Il tradimento era il più terribile dei mali. Nell’età moderna l’ordine sociale non si basa più essenzialmente sulla fedeltà a un sistema di valori ma sul ricorso alle risorse della politica e della democrazia. Il tradimento passa dalla sfera pubblica alla sfera privata, è più frequente e più tollerato. Anzi l’imperativo diventa non tradire se stessi, la propria libertà, la propria individualità».

L’uomo moderno rispetto all’uomo del passato è costantemente diviso tra due esigenze uguali e contrarie: «Far parte di una comunità, di un gruppo, condividerne i valori – continua Turnaturi – e nello stesso tempo separarsene per autodeterminarsi, per marcare la propria unicità e individualità. In questa lotta di opposti, il tradimento è sempre in agguato».

Al lento sfuocarsi dei confini tra fedeltà e tradimento contribuisce molto la percezione che l’uomo contemporaneo ha di sé: nel nostro passato contadino, l’individuo nasceva in una comunità, le scelte possibili erano poche, la sua vita era quasi predeterminata. Con la modernità, le opzioni si moltiplicano, diventano in apparenza infinite, ogni individuo è figlio delle proprie scelte e gioca la sua vita su più piani: la famiglia, il lavoro, l’appartenenza religiosa o politica, i consumi, il tempo libero. E si scopre, come diceva Pirandello, uno, nessuno e centomila, cioè partecipe di diverse identità, che a volte entrano in conflitto tra di loro. Un processo che evidenzia per ciascuno di noi l’impossibilità di conoscere se stessi e gli altri fino in fondo, ma anche l’impossibilità di rimanere uguali nel tempo. «Oggi sono così, credo e penso in un determinato modo, domani potrei essere diverso, potrei avere altre esigenze» afferma Marco, mettendo a nudo un altro aspetto del comune sentire.

Una rivelazione, quella della possibilità di autodeterminarsi, che è allo stesso tempo una croce e una delizia, la scoperta della libertà ma anche della responsabilità, della ricchezza dell’essere ma anche della sua ambiguità. La base su cui poggia alla fine la possibilità di scegliere in ogni istante tra lealtà e tradimento.

A rendere difficile, quasi eroica, la fedeltà, non sono solo fattori interni ma anche spinte e condizionamenti che vengono dalla società contemporanea. Gli aspetti più evidenti sono ormai sotto gli occhi di tutti. Nel campo dei consumi, siamo clienti umorali e infedeli: non ci affezioniamo agli oggetti, cambiamo con facilità marca e prodotto, siamo diventati l’incubo dei pubblicitari, che non sanno più come prenderci. E naturalmente l’instabilità oggi tocca anche e soprattutto i rapporti interpersonali. Alcuni per forza di cose: pensiamo alla flessibilità nel lavoro e al frequente ricorso a contratti a termine che costringono a continui mutamenti di lavoro e di colleghi e spesso anche di casa e vicinato; altri, potremmo dire «per scelta»: è il caso dei matrimoni – pare se ne rompa uno ogni quattro –, dei legami di amicizia sempre più fluidi e superficiali o anche dell’abbandono della vita religiosa e sacerdotale.

Ma in base a quale processo si attua il cambiamento delle proprie scelte di vita?

«Ognuno di noi – afferma De Sandre – non può fare a meno di scegliere, ed è difficile sopportare la responsabilità della scelta. Allo stesso tempo ci viene più spesso il dubbio che nessuna scelta concreta sia in assoluto la migliore e che in futuro ci potrebbero essere altre possibilità più soddisfacenti». Che fare allora? «In bilico nell’incertezza – continua De Sandre – la cultura di massa ci suggerisce in mille modi che ci conviene essere aperti al cambiamento per far fronte ai rischi». Se le chance ci sono, perché precludersi la possi-bilità di tornare indietro? Perché scartare una seconda rassicurante possibilità? «E così le nostre scelte diventano sempre più reversibili e di corto respiro – incalza il sociologo –. E soprattutto sempre meno responsabilizzanti. Viviamo di fatto in una “società a responsabilità limitata”».

Sarebbe scontato, a questo punto, chiedersi se tutto ciò sia bene o male, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. Molto più pragmatico, ma non meno interessante, è domandarsi se tutto questo alla lunga è funzionale al benessere e all’esistenza stessa sia dell’individuo che della società. «Le promesse non mantenute non sono “nulla” – spiega De Sandre –, distruggono le relazioni perché mortificano le persone alle quali erano destinate: il coniuge, l’amico, i figli, il collega, il gruppo di appartenenza. I continui tradimenti generano una sfiducia diffusa che mina la possibilità di creare un’identità collettiva, quella che in fin dei conti sta alla base del civismo e della democrazia».

Scegliere sempre e solo seguendo i propri gusti, la propria autorealizzazione, la propria visione delle cose è un po’ come rimanere a guardare il proprio ombelico. «Se penso che sia giusto solo quello che decido – puntualizza De Sandre –, tendo a cercare quelli che mi danno ragione e a scaricare sugli altri ogni responsabilità d’insuccesso. Credo di essere aperto a ogni possibilità ma in realtà tendo a non confrontarmi con gli altri, con i diversi da me, a non impegnarmi nel rapporto faticoso ed estenuante per arrivare a una visione comune e scelgo, in ultima analisi, di non dialogare. Chi invece opta per il dialogo imbocca il percorso opposto, assai più difficile, perché comporta la fatica di mettere insieme idee e punti di vista, di creare un’intesa, un modo di camminare nutrito dalla convinzione che più occhi e più teste vedono e ragionano meglio».

Insomma in questa società ricca di possibilità di scelta e di culture differenti vince alla lunga chi davvero sa mettersi in discussione, seguire il filo della propria storia in relazione a quella degli altri, assumersi le sue responsabilità, sapendo che sono insieme individuali e collettive.

Restano aperte tante domande: è più libero chi rimanda ogni scelta a un eterno futuro o chi a fatica sceglie di impegnarsi nell’oggi pur con tutti i suoi limiti? È più coraggioso chi cambia di continuo, ripetendo all’infinito una scelta a metà o chi cerca con fatica di mantenere il filo della propria identità, frutto, nel bene e nel male, di tutte le sue scelte? Chi, infine, ha più mezzi per sopravvivere ai molti e repentini cambiamenti di questa società: chi può contare su alcune persone fedeli o chi non ha relazioni forti?

Pirandello diceva che siamo come comparse che entrano in scena senza aver mai provato la parte: è questo il nostro limite e la nostra grandezza.  


I libri

I cinque segni dell’amore familiare

Gary Chapman, Elledici, euro 16,00

Le ragioni del matrimonio

Giulia Paola Di Nicola, Attilio Danese, Effatà Editrice, euro 15,00

Tradimenti

Gabriella Turnaturi, Feltrinelli, euro 6,50



Bernardini De Pace


Si può tradire pur restando fedeli

 

Ha alle spalle ormai più di 17 mila cause ed è l’avvocato matrimonialista più conosciuto d’Italia. Annamaria Bernardini De Pace, 58 anni, grazie al suo lavoro è venuta in contatto con un’ampia casistica di tradimenti.

Msa. Che idea se ne è fatta?

Bernardini de Pace. Parlare di tradimento vuol dire nutrire aspettative di lealtà verso l’altro o gli altri con cui si sono intessute interazioni e legami basati sulla fiducia. E con il tradimento, appunto, si deludono la fiducia, le aspettative, gli equilibri sui quali si è costruito un rapporto d’amore, d’amicizia o lavorativo.

Addirittura si può arrivare, a mio parere, anche a tradire noi stessi. Per esempio quando tradiamo i nostri valori, i nostri sentimenti, quando, pur conoscendo la realtà delle cose, fingiamo per interesse o per paura.

Che cos’è per lei la fedeltà? Quanto è importante nei rapporti umani?

La fedeltà è il rispetto di un impegno preso, di una promessa, di un progetto comune. Chi tradisce viene meno a un patto, chi è tradito si trova smarrito, ferito, prova dolore, rabbia, delusione, rancore e disillusione. A mio parere, nei rapporti umani, non si può prescindere dal rispetto della fedeltà, che è segnale di onore.

Uno scherzo famoso l’ha messa in gioco proprio con un tradimento, quello dei suoi collaboratori. Lei non sembra proprio il tipo che accetta tradimenti di alcun genere.

Il tradimento non fa parte del mio modo di essere. Ho sempre impostato i miei rapporti personali, d’amicizia e lavorativi sulla lealtà e sulla correttezza. Non accetto quindi chi delude le mie aspettative di lealtà. Penso che il tradimento sia un atto di viltà e di violenza.

Tradiscono di più le donne o gli uomini?

Una volta il tradimento era una prerogativa maschile, era sufficiente che l’uomo fosse «apparentemente» fedele, mentre la donna, offesa nella sua dignità, doveva subire, votata comunque alla fedeltà verso il marito o compagno. Oggi non si può dire che tradiscano più gli uomini delle donne. Ritengo, invece, che diversi siano i motivi del tradimento. Le donne spesso cercano un coinvolgimento emotivo, che colmi le insoddisfazioni e le aridità del rapporto che vivono. Gli uomini, invece, sovente tradiscono solo per sesso.

Non dimentichiamo, poi, il tradimento via internet. Oggi molti si vedono sottratto il partner dall’amante virtuale, con il quale si può creare una coinvolgente intesa emotiva, forse perché si conoscono prima i pensieri del corpo.

G. C.



Alessandro Meluzzi


Il «miracolo» della fedeltà nella coppia

 

Alessandro Meluzzi, psichiatra e psicoterapeuta, segue anche gruppi di preparazione al matrimonio.

Msa. Secondo lei perché oggi è così difficile essere fedeli nella coppia?

Meluzzi. Il matrimonio un tempo era fortemente ancorato in un tessuto antropologico robusto, radicato nella collettività, mentre oggi è diventato soprattutto una struttura di emozioni e di sentimenti. In un mondo nel quale gli individui sono una sorta di monadi isolate, protese alla ricerca della felicità e dell’autorealizzazione, la coppia rappresenta l’equivoco per eccellenza. Quando un uomo e una donna si incontrano scattano sia motivazioni psicologiche, in parte romantiche e illusorie, sia valutazioni di tipo razionale. Un amore che nasce ha in sé la scintilla dell’infinito, l’orizzonte dell’eterno, la tensione alla totalità. Ma i motivi per i quali una coppia può restare insieme cambiano nel corso dell’esistenza e quindi bisogna rielaborarli crescendo insieme.

Perché, quindi, i rapporti di coppia falliscono?

Oggi, in una coppia isolata, scollegata dalle generazioni precedenti e abbandonata a se stessa, di fronte alle prime difficoltà o all’evoluzione dei sentimenti reciproci, scatta l’equazione: «Non ci amiamo più». È una frase consueta per dire che non ci si desidera più come prima, che non c’è più lo stesso entusiasmo e quindi invece di incamminarsi verso una crescita reciproca, si entra in un gioco infernale di coazione a ripetere che porta a far seguire una relazione all’altra, in un’infinita sequenza di stanchezza ed eccitazione, come in un disperato moto perpetuo.

Oggi, secondo lei, è possibile essere fedeli?

In un mondo con tante difficoltà e tante fragilità, passare un’intera vita insieme è quasi un «miracolo». Però questo «miracolo» è alla portata di tutti. Dopo aver celebrato il matrimonio, segno sensibile della Grazia, bisogna avere la capacità di restare in tre, cioè insieme a Cristo. Per non perdersi è fondamentale nutrirsi del mistero della Grazia, perché esiste una potenza salvifica dello Spirito che si realizza nei sacramenti. Il Dio che viene nel momento del mistero dell’incontro è Colui che torna per presidiare il percorso del calvario, della croce e addirittura della noia.

Cosa consiglia a un uomo e a una donna per restare fedeli?

Bisogna avere e coltivare un grande sogno comune e lasciarsi abitare dallo Spirito. È indispensabile aprirsi a un orizzonte più generale, più totalizzante e avere come traguardo l’eternità. Una coppia che riesca a vivere la fedeltà come un sacerdozio mistico dell’amore ha migliori probabilità di restare insieme per sempre. Solo uno sterminato amore che include nell’amore per l’altro quello per Dio, potrà impedire l’infedeltà.

Per essere fedeli quanto conta conoscere i propri limiti umani?

L’introspezione è la base di ogni cammino di crescita. La consapevolezza delle proprie debolezze è fondamentale per amare e per lasciarsi amare dall’altro: questo è l’aspetto più difficile del rapporto di coppia perché implica riconoscerne l’alterità, la soggettività, aprirsi al coniuge e al suo modo di amarci. Spesso le coppie falliscono perché esiste l’illusione di poter modificare l’altro, riducendolo ai nostri bisogni.

Paola Comauri



Giovanni Dal Piaz


Il coraggio di un sì per sempre

 

Tocca da vicino più di quanto si creda anche la vita religiosa. È la difficoltà di dire un sì «per sempre» e che si concretizza, da una parte, nella problematica degli abbandoni sempre più frequenti della vita consacrata, dall’altra nella progressiva diminuzione di quanti decidono, invece, di prendere i voti.

«Mancano dati attendibili sull’estensione del fenomeno – spiega Giovanni Dal Piaz, monaco camaldolese, docente di Sociologia e Sociologia della religione all’Istituto teologico San Bernardino di Verona e all’Issr San Pietro martire –. L’Annuarium statisticum ecclesiae documenta il numero dei preti che ottengono la dispensa dal sacerdozio. In Italia si attesta sui 50 casi l’anno, stima più bassa rispetto alla cifra reale a causa della lentezza con la quale si accolgono le domande. Non esiste, purtroppo, una statistica aggiornata sugli abbandoni tra i religiosi».

Nella prima fase della formazione l’abbandono è quasi un evento «fisiologico». «Lo scarto tra aspettative e realtà istituzionale è così profondo che il distacco rimane la soluzione più ovvia. È in questa fase che si delinea il ruolo del formatore. Se accentua le contrapposizioni, magari forzandone l’intensità, ne potrebbero risultare accelerate le dinamiche del distacco, se invece le minimizza o le rimanda a tempi più lunghi, potrebbero comunque essere poste le condizioni per crisi future, delle quali non si sono voluti o saputi cogliere i sintomi. Un buon formatore dovrebbe far emergere le vocazioni improprie che stanno, poi, all’origine di quell’abbandono». Più difficili i casi in cui la persona lascia dopo un tempo di impegno sia a livello di voti temporanei che definitivi. «In una realtà instabile, carente di una cultura della fedeltà “per sempre”, nella quale si fa fatica ad accettare che vi siano impegni relazionali irrevocabili − prosegue Dal Piaz − il prolungarsi dei voti temporanei non facilita la presa di coscienza della definitività nelle decisioni. Nel linguaggio contemporaneo non è scomparsa la frase “mi impegno” e lo faccio “per sempre”, ma il “per sempre” rimane tale solo se le condizioni relazionali non si discostano molto da quelle finora conosciute. È questo che accade in diversi casi di abbandono. Superati gli anni della formazione iniziale, viene il tempo dell’impegno nelle opere, di una vita comunitaria non priva di tensioni, conflitti, incomprensioni, di una certa aridità spirituale e si avverte la fatica a proseguire. Il processo di allontanamento di rado è un evento rapido, spesso matura lentamente e si alimenta di incomprensioni, senso di frustrazione e tanta solitudine esistenziale. Nelle comunità c’è una buona qualità formale dei rapporti, ma una scarsa attenzione alla dimensione emotiva. La perdita più evidente in questi ultimi decenni è quella della dimensione spirituale. Si è smarrito il significato di un’”eccellenza” spirituale che non è superbia, ma consapevolezza di una grazia robusta, di un impegno esigente, di una chiamata a donarsi senza riserve».     

Nicoletta Masetto



Lilia Sebastiani


Tradimento, fedeltà e morale cristiana

 

A colloquio con la teologa morale Lilia Sebastiani.

Msa. Quanto e in che modo un tradimento interroga la nostra coscienza?

Sebastiani. Il «tradimento», senza essere necessariamente una catastrofe, non è un fatto lieto né facile: rappresenta sempre una grave crisi, non solo sentimentale ma esistenziale. È indispensabile chiedersi perché è avvenuto e se sottende un sofferto cambiamento di strada oppure un rinnovamento da attuare all’interno della coppia.

Come leggere le teorie che vedono il tradimento come una tappa conoscitiva inevitabile per raggiungere una più profonda esperienza di se stessi?

Da una parte tutti dobbiamo una certa riconoscenza alle teorie che aiutano a superare il senso di colpa sterile e immobilista. In un certo qual modo dal tradimento possiamo anche ricavare frutti di conoscenza, così come dal male è possibile far derivare un bene più grande. Assolutizzare questo ragionamento è tuttavia una sorta di autoinganno. Non va dimenticato che il «tradimento» evidenzia un errore, o nella valutazione iniziale o nel modo di gestire il rapporto. Non siamo autorizzati a seminare volontariamente errori sul nostro percorso di vita, soprattutto quando incrocia la vita di un altro. Talvolta il tradimento può spingere una coppia a riflettere sulla propria situazione, a scegliersi nuovamente in modo più consapevole. Altre volte svela impietosamente l’inconsistenza iniziale di quello che si era creduto amore.

In che rapporto stanno fedeltà e libertà?

Talvolta per essere fedeli occorre saper dire qualche «no» a se stessi più che ad altri. Anche la fedeltà lungi dall’essere un «no» è un «sì» in divenire. Eppure nella nostra vita l’esclusione è il rovescio indispensabile di ogni scelta: la via del matrimonio rende impossibile realizzarsi da single e viceversa; scegliere per la vita una certa persona significa ovviamente rinunciare ad altre persone che in altre circostanze si sarebbero potute amare... Sarebbe assurdo pretendere di lasciarsi aperte tutte le possibilità: chi rifiutasse di operare scelte impegnative per non precludersi nulla, di fatto si precluderebbe la vita stessa.

E fedeltà, tradimento e morale?

Un rapporto complesso che tocca le radici stesse della nostra fede. Innanzitutto la fedeltà non è immobilismo. Ogni fedeltà è in primo luogo fedeltà a Dio. Perciò «fedeltà» nell’ambito della coppia, significa soprattutto capacità di crescere insieme, di scegliersi ogni giorno. Se la coppia non cresce, se confida solo in uno sforzo velleitario e artificioso di rimanere come ai primi tempi, il fallimento è quasi certo, l’amore è stanco e falsato: direi che si trova in una fase quantomeno di pre-tradimento, anche se nessuna terza persona si fosse ancora insinuata nell’unicità del rapporto.    

Marta Artico


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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017