La carrozzina Lego

Il gioco è un’attività libera, non è una terapia per migliorare qualità fisiche o mentali. Ciò vale per tutti i bambini, compresi quelli con disabilità.
26 Giugno 2013 | di

Quando mi rilasso nella battigia sul lungomare romagnolo, approfittando dello splendido sole, mi diverto a osservare i genitori che giocano con i loro bambini tra palette, secchielli, biglie e retini. Di fronte alle risate e agli schiamazzi dei piccoli anche il bambino che è in noi sembra rinascere, riscoprendo la gioia di quei semplici giochi.

Così torno piccolo anch’io e con il pensiero volo ai tempi in cui dirigevo il «cantiere Lego» insieme agli amici, tirando su case, grattacieli, negozi e cattedrali… Ma come fa a giocare, vi chiederete, un bambino con disabilità, per di più grave? Beh, come vi dicevo, io quarant’anni fa, a furia di collaborare con i miei amici e dando loro suggerimenti su come costruire nuove città, belle, funzionali e accessibili a tutti, nelle quali scorazzavano bellissime Lego-carrozzine, ero diventato addirittura un capo cantiere! Per questo mi sono incuriosito e documentato sul mondo ludico di oggi, per scoprire se e come nel nuovo millennio giocare è diventato più facile, anche per i bambini con «bisogni speciali». Su internet, infatti, è possibile trovare diversi store on line (negozi in Rete) specializzati, pensati proprio per le esigenze di bambini con disabilità. Quel che ne emerge è che, grazie alla creatività, è cambiata anche la progettualità, che ormai esce quasi completamente dalla «logica sanitario-riabilitativa» a vantaggio di quella ludica.
 
Il diritto a un gioco più «libero» non è cosa da poco, ma un altro piccolo scalino culturale va superato. Il gioco, non dimentichiamolo, non è terapia finalizzata al miglioramento delle qualità fisiche o mentali, e non è neppure un ausilio mirato a facilitare l’apprendimento o la riduzione del deficit. Il gioco è fatto per essere giocato cioè per divertire. Il che significa libertà, comunicazione e sfogo creativo, oltre che un’importante occasione per fare gruppo e crescere insieme. In quest’ottica aumentare la coscienza di sé e del proprio corpo diventa non l’obiettivo, ma una naturale conseguenza. Una differenza non trascurabile.
 
Allo stesso modo, un ulteriore cambio di prospettiva spicca nello sviluppo creativo dell’oggetto. Fino a qualche anno fa era comune convinzione che il gioco per il disabile fosse per forza quello più semplice, quello più «accessibile» nonché, fatemelo dire, il meno divertente. Si dimenticava, cioè, che certe emozioni esclusive, come il senso di appartenenza a una squadra, la complicità, il rispetto delle regole, la furbizia, il «darsi il cinque» a partita vinta e, soprattutto, il ridere insieme, appartengono a tutti, disabili e non. L’occhio inoltre vuole sempre la sua parte e i giochi di oggi vanno proprio in questa direzione, grazie a soluzioni dal design morbido e accattivante, come si pensa non possa mai essere la disabilità. Insomma, una bella vittoria!

A questo punto il pensiero ritorna ai mattoncini colorati di quei tanto amati Lego che così a lungo sono rimasti nella mia fantasia… E voi avete mai costruito delle città? Come? Che colori e forme avete usato? Con chi?

Raccontatelo a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017