La bellezza dei numeri due

Chi ricorda il secondo uomo sbarcato sulla Luna? O chi giunse al Polo Sud dopo Amundsen? Chi erano i gregari di Coppi e Bartali? Nella vita, nello sport, nei libri, nella musica, non tutti sono primi. Storie sconosciute, o quasi, di secondi.
29 Ottobre 2013 | di

Il gol e l’assist. L’oro e l’argento. Il campione e il gregario. La voce solista e il tastierista. L’attore protagonista e la «spalla». Lo scrittore di successo e il suo editor. Il lato A e il lato B dei vecchi 45 giri. La notizia in prima pagina e quella nella successiva. Il primo della classe e quello un po’ meno brillante. I primogeniti e i secondogeniti. In poche parole, anzi due per restare in tema: i primi e i cosiddetti «secondi». Secondi spesso dimenticati. Chi ricorda Buzz Aldrin, il secondo uomo sbarcato sulla Luna dopo Neil Armstrong? E chi sa quale fosse il corridore che tirava la volata a Coppi e Bartali? O il centrocampista che serviva il lancio giusto per i gol di Rivera? O l’esploratore che, partito lo stesso mese dello stesso anno, arrivò al Polo Sud subito dopo Amundsen?

Non tutti sono primi. Non tutti vogliono esserlo. Bollati come perdenti, i secondi raggiungono, comunque, la meta. A suon di sconfitte e (poche) vittorie, di denti stretti e testa bassa, di fatica e umiltà. Valori, in un certo senso secondi, perché in apparenza poco importanti di questi tempi. Storie da prima pagina, quelle dei numeri uno. Altre storie, invece, quelle dei numeri due, i quali spesso non amano nemmeno raccontarle. Eppure anche queste sono pervase di lotta, di duro lavoro, di impegno per cambiare un pezzetto, magari piccolo, di mondo. I secondi non vincono mai. Ma sono comunque, a modo loro, degli eroi. Dipende da quale angolazione si guardano.
 
Essere secondogeniti
Se i primogeniti conquistano il mondo, i secondogeniti lo rivoluzionano. Lo afferma Michael Grose, australiano, autore di Primogeniti, mediani, ultimogeniti, edizioni Red. Non è l’unico. Katrin Schumann, americana, coautrice del libro Il potere segreto dei secondogeniti, è convinta non si tratti di puro caso se, a partire dal 1787, ben il 52 per cento dei presidenti alla guida della Casa Bianca è figlio secondogenito e mediano. Leggende da un capo all’altro del mondo? Alfred Adler, tra i fondatori della psicologia psicodinamica, scriveva: «La posizione in famiglia lascia un marchio indelebile».

«L’opinione che i secondogeniti siano più svegli dei primi  nati non è solo un sentire comune. Lo dimostrano gli studi: i secondogeniti sono più bravi nelle abilità di negoziazione e coordinamento» afferma la professoressa Serena Lecce, docente di Psicologia evolutiva all’Università di Pavia e autrice, con Giuliana Pinto dell’Università di Firenze, di alcuni studi su un campione di 171 primogeniti e 168 secondogeniti. «Esiste tutta una letteratura sulla relazione fraterna e sull’ordine di genitura. La relazione fraterna è di per sé stabile, dura tutta la vita; non è, però, voluta, non siamo noi a scegliercela. Questo ne spiega, in parte, l’ambivalenza. Troviamo coppie di fratelli in cui emergono solidarietà, alleanza, complicità. In altre, invece, gelosia e conflittualità. In ogni caso, la relazione fraterna modella il nostro mondo interno: affonda le radici in una condivisione di vita famigliare, molto intensa a livello emotivo. In famiglia il bambino inizia a stare con gli altri, imparando a negoziare, a competere, a coordinarsi, a cercarsi alleati. Aspetti che la psicologia evolutiva considera fondamentali per lo sviluppo della competenza. I bambini che sanno coordinarsi sono quelli che poi si fanno più amici e vanno meglio a scuola. Tale vantaggio riguarda soprattutto i secondogeniti». Sono più loro che i primi nati a beneficiare del fatto di avere un fratello. «Hanno un partner che sa fare un po’ meglio quello che sanno fare loro, ma non è distante come l’adulto. Da lui imparano tutto ciò che serve. Non è sempre vero che i secondogeniti sono i più bravi, ma lo sono di più quando la relazione fraterna ha una qualità positiva, quando esistono cooperazione e scambio. Tanto più due fratelli vanno d’accordo tanto più avranno la possibilità di scambiarsi conoscenze. Sono importanti sia l’ordine di genitura che la qualità del rapporto. Il vantaggio per i secondogeniti vale soprattutto quando sono meno abili a livello verbale. Se un bambino è meno preparato dal punto di vista linguistico, ha più difficoltà a interagire con l’adulto. Avere un fratello funziona, allora, come cuscinetto di protezione. Sono i bambini che ne hanno più bisogno a trarne maggiore beneficio».
 
Gregari e mediani
Più che per le sue vittorie, Luigi Malabrocca, divenne famoso per la maglia. Né rosa, né gialla, né verde, bensì nera. Assegnatagli come ultimo classificato ai Giri d’Italia 1946 e 1947. Nasce nello sport, in particolare nel ciclismo, il mito dell’eterno secondo, assimilato spesso all’ultimo. Gregari, vale a dire uomini di fatica, mai di traguardo. Operai umili e indomiti. Sulle gambe chilometri e chilometri macinati sotto pioggia, neve, vento. E poi sudore, testa bassa, fatica, borracce da distribuire ai compagni, e volate da tirare sino allo spasimo per far vincere i numeri uno.

Marzio Bruseghin lo ha fatto per sedici anni. Senza stancarsi mai, senza battere mai ciglio, senza un gesto di stizza o una parola fuori luogo. Nelle retrovie, lontano dai riflettori, sempre al suo posto, nello svolgere il proprio compito: gregario di Indurain, Valverde, Petacchi. Un lavoro «sporco», di quelli che nessuno vuol fare perché, stando a ruota, mangi solo fango, e non hai il premio finale.

Oggi Marzio fa il contadino. Ce lo dice con orgoglio. Ha appeso la bici al chiodo lo scorso anno. Senza rimpianti, senza nostalgie. Vive a Piadera, nel comune di Vittorio Veneto (TV). Venti ettari di terreno in collina, cinque a vitigno, una chiesetta nel bel mezzo. È intitolata a san Maman (che è anche il nome della sua azienda) come dicono da queste parti, san Mamante di Cesarea, protettore delle nutrici e del latte materno. «Da piccolo giocavo a calcio. Ho iniziato a correre in bici a 16 anni. Gregario lo sono diventato per le mie caratteristiche, fisiche e non solo. Non ho mai sofferto per il fatto di arrivare secondo o ultimo» dice con un sorriso.

«Ho sempre amato stare al mio posto, servire i compagni come mi veniva chiesto. Che non significa non farsi valere: quando ho avuto qualcosa da dire non ci ho pensato due volte. Non mi hanno mai spaventato la fatica e il sudore. Non potrei essere oggi un contadino se non fosse stato così. Non mi sono mai sentito un corridore di serie B, piuttosto la parte importante di un tutto, di una squadra. Se ognuno svolge il proprio ruolo, tutti sono determinanti, dal primo all’ultimo, compresi i numeri due».

Uno dei suoi vini si chiama Amets che, in basco, significa sogno. Il suo sogno di fare il contadino. Tutti qui hanno un nome. Compresi gli asini che Marzio alleva, liberi in questa terra di Prosecco. «Ho cominciato con cinque asini, dieci anni fa. Oggi ne ho cinquantasei». Gli asini (i fan di Bruseghin indossavano cappelli con orecchie d’asino) sono un po’ gregari: anche loro fanno quel lavoro umile a cui non si può rinunciare. «Tengono pulito il terreno laddove l’impatto delle macchine sarebbe diverso. Prima del profitto, mi interessa il rispetto dell’ambiente». Questo aveva scritto Marco Pastonesi, giornalista della «Gazzetta dello Sport» a proposito di Marzio Bruseghin: «Bruseghin è stato il ciclismo locale nell’epoca del ciclismo internazionale e globale, il ciclismo contadino nell’era del ciclismo mediatico, il ciclismo pane e vino nell’età delle barrette e dei beveroni, l’eroe dei poveri, dei modesti, degli umili, di tutti gli asini a due zampe o meglio a due gambe, dei ricchi di spirito, di chi dice che c’è dell’altro nella vita, di chi pensa che tolta la maglia rimane l’uomo».

Anche una medaglia d’argento può essere guardata da un altro punto di vista. Ne sa qualcosa Tania Cagnotto, campionessa di tuffi come papà Giorgio, il suo allenatore. Ha vinto ori, e tanti argenti. Spesso d’un soffio. Come ai mondiali di Barcellona 2013. Appena dieci centesimi di punto la staccano dalla prima, la cinese He Zi. «È un argento che vale oro. Sono stata la prima dopo le cinesi. Ho dato il massimo, è questo ciò che conta. Brucia al momento, ma poi passa. L’allenatore? Capisce, ci è passato anche lui. E poi è papà: mi incoraggia, sempre».

Sul campo di calcio la musica non cambia. Ricordano tutti Gianni Rivera. Quasi nessuno rammenta, invece, che, nel Milan degli anni ’70, a correre in lungo e in largo per il campo, più che il golden boy del calcio era tale Giovanni Lodetti. Quando portò a casa il primo stipendio, 160 mila lire, mamma Maria gli disse: «Attento, el dane’ dana (il denaro danna, ndr)». Vita da mediano la sua, come molte altre nello sport più amato dagli italiani. Una su tutte, quella di Oriali, conosciuta dai giovani di oggi anche grazie a una canzone di Ligabue: «Una vita da mediano / a recuperar palloni / nato senza i piedi buoni / lavorare sui polmoni / una vita da mediano / con dei compiti precisi / a coprire certe zone / a giocare generosi / lì, sempre lì / lì nel mezzo».

È proprio vero quanto dice Mattias, giovane protagonista del libro Che ne è stato di te, Buzz Aldrin del norvegese Johan Harstad: «Serve una forza di volontà immensa, e fortuna, e abilità per arrivare primi. Ma serve un cuore gigantesco per essere il numero due».
 
Musica e dintorni
«Ci sono secondi che possono colorare le pagine di un romanzo, con imprese ancora più esaltanti di quelli che collezionano gli ori. Nello sport, nella vita, nella storia, nella musica». Parola di Marilena Lualdi, scrittrice e giornalista che ai secondi ha dedicato L’importanza di essere secondi, edito da Nomos. «Spesso si tratta di donne, figure erroneamente nell’ombra, eppure sublimi. Penso a Eloisa e al suo amore per Abelardo, ma anche a scrittrici, atlete, eroine di tutti i giorni». In ambito musicale, il primo riferimento è a Salieri, eterno secondo di Mozart (ricordate il film Amadeus?). «In tempi recenti, nelle rock band, i secondi sono spesso batteristi, bassisti, tastieristi – prosegue Lualdi –. Come Nick Mason, batterista dei Pink Floyd. Straordinario eppure semisconosciuto in mezzo a due giganti come Roger Waters e David Gilmour. Due anni fa, in occasione del lancio dell’opera omnia del gruppo, Nick disse: “Mi sento come il cuoco della nave, quello che domanda di meno, ma sfama tutti”. E ancora, Ray Manzarek, cofondatore dei Doors, da poco scomparso. Oscurato dalla figura leggendaria di Jim Morrison, amico e testimone di nozze. Manzarek era tastierista e, per la bravura, pure bassista: suonava l’organo con la destra e il basso, grazie a un piano bass, con la sinistra». Vengono in mente, poi, i vecchi dischi 45 giri. Il lato A era la canzone da far ascoltare; il B un riempitivo, l’outtake, lo scarto, il brano che non «spacca». Spesso non fu così: Queen, We Are The Champions / We will rock you (’77); Rolling Stones, Get Off my cloud Stones / I’m free; Fabrizio De Andrè, Valzer per un amore / Canzone di Marinella (’64). Caso a parte, i Beatles. Introdussero il concetto di doppia A, su entrambi i lati, con il singolo We can work it out / Day tripper nel 1965.
 
La ruota e lo sherpa
«Non tutti vogliono dirigere un’azienda. Qualcuno vuol essere una ruota dell’ingranaggio. Nient’altro» dice Mattias nel già citato libro di Harstad. Invisibili, eppure insostituibili. Come gli sherpa. Perfetto il ritratto che ne fa Erri De Luca in Sulla traccia di Nives, Mondadori (lei è Nives Meroi, unica donna a scalare le vette più alte senza utilizzare ossigeno supplementare e sherpa).

«Reggono il nostro peso e non perdono un grammo, non manca un fazzoletto nel bagaglio consegnato a fine tappa. Non sono più adatti di noi alla quota, di notte li sento tossire. Noi arranchiamo in silenzio, loro non rinunciano a raccontare mentre vanno. Senza di loro non saremmo agili, né atletici, né ricchi. Scompaiono a fine trasporto. Vanno a sparpagliarsi nelle valli. Ancora in tempo per il lavoro del riso e dell’orto».
 
 

Scienza: ragazzi di via Panisperna
L’altro Enrico

 

Il Papa, il Cardinale Vicario, l’Abate, e persino lo Spirito Santo. E ancora il Cucciolo e il basilisco. E pure il Cardinale di Propaganda Fide. Il luogo: Roma. Ma, attenzione: non siamo nel bel mezzo di un conclave. La zona è quella del Viminale. La via: Panisperna, civico 89. L’anno: 1934. Siamo nel cortile del palazzo che ospita l’istituto di Fisica. Fondato alla fine dell’800, è il primo in Italia. Al centro c’è una fontanella con dei pesci rossi. «Ragazzi, ma state attenti: mi spaventate i pesci…» esclama il guardiano, all’oscuro di tutto. Quei ragazzi hanno appena immerso il grammo di radio, che emette neutroni, e un piccolo cilindro d’argento. È la conferma che cercano: l’idrogeno, costituente dell’acqua insieme con l’ossigeno, rallenta significativamente i neutroni. È la lentezza il segreto dell’energia atomica. La scoperta dà il via alla realizzazione del primo reattore nucleare e della bomba atomica. Quei ragazzi hanno tutti un soprannome. Dal primo: Enrico Fermi, detto il Papa, premio Nobel per la fisica nel 1938. All’ultimo: Enrico Persico, il Cardinale di Propaganda Fide, l’altro Enrico. Fu il primo, tra tutti i «ragazzi», ad arrivare all’istituto di via Panisperna.

«La sua è la storia di un eterno secondo» racconta la giornalista Alessandra Arachi che alla figura di Persico ha dedicato il libro Coriandoli nel deserto, Narratori Feltrinelli. La Arachi, appassionata di fisica, lei stessa secondogenita, ha cercato di ricostruire la storia di Persico andando a spulciare negli archivi, cercando frammenti di ricordi e testimonianze anche all’estero. «Persico ha perso la gloria e la fama che sono andate tutte a lui, l’amico fraterno. Il premio Nobel per la fisica. L’inventore dell’energia atomica. Fu il primo, Persico, ad arrivare in via Panisperna. Fermi, all’epoca, stava ancora a Firenze».

«Ho sempre avuto bisogno di lui – afferma il protagonista riferendosi a Fermi –. Il mio ventriloquo. Il mio faro. Il mio nutrimento. Il mio boia. Lui insegnava a Firenze, ma il suo unico obiettivo era conquistare l’Università di Roma». Persico, nato nel 1900, è morto nel 1969. I medici del reparto di Malattie infettive e tropicali del Policlinico di Roma non sono mai riusciti a capire quale sia stata la causa della sua malattia. I suoi beni, come da testamento olografo, sono stati usati per borse di studio per gli studenti di Fisica dell’Università di Roma.
Nel libro la Arachi parla anche di altri personaggi secondi, non per questo secondari. Molto spesso si tratta di donne. Come Nella Mortara. C’è anche lei, unica donna, di cui nessuno ha mai scritto, tra i fisici di via Panisperna. All’avanguardia per quei tempi. A tal punto che salì su un aereo, volando sopra Roma, molto prima di Fermi. Il primo volo del Premio Nobel, invece, finì subito sui giornali. Nonostante fosse avvenuto tre anni dopo quello di Nella. «La storia di questa fisica è singolare – conclude la Arachi –. Come quella di tante donne, quasi sempre nell’ombra, sebbene fossero di gran lunga dei numeri primi, e non certo delle comprimarie. Ida Noddack, per citarne una. È questa fisica tedesca che, per prima, intuì la fissione nucleare».

Nel 1934 Ida scrisse a Fermi. «Guarda che i tuoi neutroni lenti hanno avuto anche un altro effetto, hanno spaccato in due il nucleo dell’uranio». Il fisico italiano buttò la nota in un cestino. Non fu l’unico. Nessuno dette retta alla Noddack: la sua ipotesi fu ritenuta contraria al pensiero scientifico del momento.
 
 
Harry Potter
Ron e Neville, secondi… ma non per sempre


Tra i secondi più noti ci sono anche alcuni personaggi del ciclo dedicato al maghetto di Hogwarts, Harry Potter.
I sette libri, uno per ogni anno di studio frequentato da Harry alla scuola di magia e stregoneria, sono al centro di una serie di opuscoli scritti a quattro mani da don Luigi Guglielmoni, parroco di sant’Antonio a Salsomaggiore Terme, e da Fausto Negri, insegnante, impegnato nella pastorale giovanile e familiare, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Fidenza (Parma). I testi, a cominciare da Viva Harry Potter. Manuale per giovani potteriani, Nuova editrice Berti, sono diventati sussidi educativi per adolescenti e giovani utilizzati in molti percorsi formativi. I due hanno anche scritto Lo sport per la vita. Come risultare vincenti senza arrivare primi.

«Ron – spiega Negri – è l’eterno secondo, sia in famiglia che nell’amicizia con Harry. Ultimo figlio maschio della famiglia Weasley, numerosa e povera, è costretto a portare gli abiti dismessi dai fratelli maggiori. Sia nello studio che nel gioco non dimostra grandissime capacità: per questo viene preso in giro da Draco Malfoy, il bullo dei Serpeverde. Harry e Ron si incontrano, per la prima volta, alla stazione dei treni. Harry non trova il binario 9 e ¾. Sarà la signora Weasley, con i suoi numerosi figli, tra cui Ron, a spiegargli come arrivare al treno. Durante il viaggio si trovano vicini, si scambiano le cioccorane e diventano inseparabili amici di avventure.

La loro amicizia, continuamente rafforzata dai pericoli e dalle difficoltà che devono affrontare, li farà gradualmente crescere verso la piena maturità. Collerico e ipersensibile, Ron invidia Harry, ricco e bravissimo “cercatore” nel Quidditch, sino a giungere a grandi scenate e a liti plateali sia con Hermione che con Harry stesso. Nel settimo episodio, dopo essersi trasformato in Harry bevendo la pozione Polisucco (bell’esempio del mettersi nei panni dell’altro, correndo rischi per salvargli la vita), abbandonerà il suo amico nel momento di maggiore pericolo. Harry, che è un primo ma pure un “cenerentolo”, è affascinato dalla famiglia di Ron che, pur non perfetta – in quella casa regna sempre una gran confusione –, gli dona una grande tranquillità e senso di protezione».

In comune, Harry e Ron hanno anche un altro aspetto: ambedue sono sempre secondi – e, in questo, simili – con le ragazze. «Nel quarto episodio della serie – continua Negri –, quando viene annunciato il Ballo del Ceppo, Ron ed Harry non sono tempestivi nella scelta della dama, così si fanno accompagnare da due ragazze scelte a caso. Il ballo si rivela una delusione e i due finiscono per fare una passeggiata nel parco. Impacciato sarà Harry, appena ricevuto il bacio dalla bellissima Cho. Così pure Ron, attratto da Hermione: le sue vicende sentimentali con la ragazza più intelligente di Hogwarts monopolizzano il sesto episodio, e si concludono con il matrimonio alla fine del settimo. Harry, invece, sposerà la sorella più piccola di Ron, Ginny, una seconda anche lei. Diventerà una donna matura ed equilibrata dopo un lungo cammino. Timida e impacciata, si rivelerà gradualmente sveglia, coraggiosa e simpatica, nonché bravissima nel gioco del Quidditch. Amica di Harry, dopo varie vicende amorose, diventerà sua moglie e la madre dei suoi figli. Tutta la storia di Harry è un’evoluzione. I personaggi non sono dei Peter Pan».

Un altro personaggio, forse ancor più di Ron, incarna l’immagine dell’ eterno secondo. È Neville Paciock. Amico di Harry, Ron ed Hermione, è talmente imbranato da essere scambiato all’inizio per un magonò, una persona senza poteri magici. A partire dal quinto episodio, il Neville timido, impacciato e maldestro inizierà a dar prova di coraggio e di lealtà assoluta nei confronti di Harry. È il più motivato, colui che impara più velocemente tra i membri dell’Es (il gruppo che si trova di nascosto per prepararsi a combattere Voldemort, prendendo lezioni da Harry).Nel settimo capeggia il movimento di rivolta contro i Mangiamorte e riesce a distruggere il serpente Nagini. Alla fine diventerà professore di Erbologia a Hogwarts.
 
 

Bruno Maggioni, biblista
«Se vuoi essere il primo, sii l’ultimo e il servitore di tutti»

 

Nella Bibbia troviamo straordinarie rappresentazioni di fratelli e sorelle, di secondi, e di ultimi, diventati primi. Con l’aiuto di don Bruno Maggioni, biblista, ne abbiamo evidenziate alcune.

 
Caino e Abele
Agricoltore il primo, pastore il secondo. Diversi non solo nel mestiere, ma anche nel modo in cui Dio accetta i loro doni. Dio sembra preferire Abele, il fratello minore. Nessuna ragione è detta nella Bibbia per giustificare questa preferenza. Ma è così, ancora oggi, nella vita ordinaria: c’è chi sembra più fortunato, più sano, più ricco. Altri più sfortunati, ammalati, trascurati. La scelta di Dio può sembrare ingiusta. E capita che susciti invidia, amarezza, tanto che la fraternità si spezza. Dovrebbe invece essere diverso. La differenza dovrebbe creare solidarietà. Ma Caino rifiuta questa scelta e dice: sono forse il custode di mio fratello? È questa una delle grandi radici del peccato. Le differenze che ci sono nel mondo, e che sembrano ingiuste, devono portare a una costruzione di solidarietà, non diventare ragioni di guerra.
 
Giacobbe ed Esaù
Figli di Isacco, i due fratelli gemelli litigano già nel seno materno. Esaù è un cacciatore ed è il preferito del padre. Giacobbe è più calmo, tranquillo, ed è il preferito della madre. La primogenitura spetta a Esaù. Ma Giacobbe, con l’aiuto della madre e con la propria furbizia, la ruba al fratello. Tanto che è costretto a fuggire per sottrarsi alla vendetta di Esaù. Dopo molti anni, decide di tornare. Vuole ritrovare il fratello. Lo ha ingannato, ma ora vuole vederlo e chiedergli perdono. I due si incontrano e si scambiano i doni. Belle le parole di Giacobbe al fratello: ‹‹Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il mio dono, perché per questo sono venuto alla tua presenza, come si viene davanti alla presenza di Dio›› (Gen 33,10).
 
Marta e Maria
Mentre è in viaggio verso Gerusalemme Gesù entra in un villaggio e una donna di nome Marta lo ospita nella sua casa (Lc 10,38-42). Qui c’è anche la sorella Maria. Marta assume nei confronti dell’ospite un ruolo allora tipicamente femminile: tutta affaccendata prepara la tavola. Maria, al contrario, si intrattiene con l’ospite, ruolo che la mentalità del tempo riservava agli uomini. Un fatto insolito che neppure Marta condivide. Tanto da dire a Gesù: ‹‹Perché non inviti anche mia sorella Maria a servirti?››. Gesù le risponde ricordando che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto. ‹‹Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose››. Rinchiudere le parole di Gesù dentro la prospettiva della vita attiva nel mondo (Marta) e della vita contemplativa del chiostro (Maria) significa mortificare questa bellissima pagina. La visione è più ampia e i due atteggiamenti devono far parte della vita di qualsiasi discepolo: servire e ascoltare. La tensione non è fra ascolto e servizio, fra contemplazione e azione. È piuttosto tra ascolto e servizio che distrae, tra lo stare con l’ospite e il troppo affaccendarsi che impedisce di fargli compagnia, tra il secondario e l’essenziale. Affannarsi è l’atteggiamento dei pagani. Anche agitarsi per Dio o per il prossimo può diventare pagano. Non perché sia pagano l’oggetto della ricerca, ma perché è pagano il modo di cercare: affannoso, inquieto, agitato. L’ospitalità esige il servizio, ma se è troppo esso impedisce l’ascolto, e quindi la vera accoglienza.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017