Il soldatino che non stava in piedi

Quel difetto di fabbrica mi ha costretto a guardare il mondo da un’altra prospettiva. Valorizzare l’alterità è la carta vincente per costruire una cultura di pace, poiché la disabilità è disarmante.
27 Novembre 2012 | di

Caro soldatino Jack, quando ti ho ricevuto in regalo con la tua truppa doveva essere l’ultimo Natale degli anni Sessanta. In quel periodo ero davvero un bambino felice. Era un anno speciale. Il ricordo del primo uomo sulla luna era ancora fresco, le parole della telecronaca di Tito Stagno potevo recitarle a memoria. Quella luna che mi era sempre apparsa così lontana ora era lì, quasi a portata di mano. Per la prima volta nella mia vita, caro soldatino Jack, imparavo che si può lottare per ottenere ciò che sembra impossibile e – a volte – ottenerlo.
Ti ricordi, Jack? Quando ho aperto la tua scatola, sotto l’albero, ero pazzo di gioia. Non ti ho riconosciuto subito, eri mischiato là in mezzo, con gli altri diciannove del tuo battaglione, tra carri armati, artiglieri, trombettieri e generali. Non ho nemmeno finito di aprire gli altri regali, tanta era la voglia di mettervi a difesa della base militare già nella mia camera, regalo del Natale precedente.
In un attimo eravate disposti, in posizione… ma notavo qualcosa di diverso in te. Cercavo di metterti in piedi, in condizione di combattere. Ma tu continuavi a cadere. Solo allora ho capito. Avevi un difetto di fabbrica e non potevi rimanere in piedi.
Proprio come me.
 
La prima cosa che ho pensato, caro Jack, nella mia fervida fantasia da pre-adolescente, è stata che la tua disabilità portava la pace. Tu potevi essere tante cose, ma sicuramente non saresti mai stato un eroico condottiero. Avevo due possibilità per te: potevo eliminarti, farti fare il ruolo del morto, oppure creare un contesto nel quale avresti potuto valorizzare le tue qualità.
Non sto parlando solo di voi soldatini, sto parlando dell’intero mondo della disabilità. Possiamo considerarci morti, invisibili, vegetali. Oppure possiamo collaborare per creare una realtà, un contesto dove poter esaltare le potenzialità e metterle a disposizione nostra e degli altri.
Come potevo valorizzare le tue qualità da soldatino disabile?
Da bravo marine dovevi mettere le tue capacità al servizio della squadra, e così ti ho sdraiato, con il mitragliatore che puntava un po’ alla rinfusa. Ma non era quello l’importante. Ciò che contava era cosa vedevi dalla tua prospettiva, cosa potevi sentire. Ti immaginavo, così vicino al suolo, ad ascoltare il rumore e gli odori dei «nemici», i passi degli invasori avvicinarsi alla base. Da quel punto di osservazione potevi scorgere gli spostamenti dei compagni, avere una visione ampia delle cose e tenere la situazione sotto controllo.
 
Siamo alle solite. Guardare il mondo da un’altra prospettiva rimane la carta vincente per costruire una cultura di pace. Cultura di pace che, in fondo, non è altro che il rispetto e la valorizzazione delle diversità, dell’alterità, poiché la disabilità è disarmante.
Caro Jack, il tuo non è un difetto di fabbrica, è un ruolo speciale che ti è stato assegnato, è una responsabilità. La morale della favola la suggerisce Roberto Vecchioni: «Mi  porterò il soldatino che non rimaneva in piedi, ma che è il più bello se ci credi». Vero Jack, eri il mio preferito.
Vi auguro un buon Natale e con questa favola spero che i «difetti di fabbrica» non vi facciano più paura. Scambiamoci gli auguri su claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.
 
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017