Il silenzio che racconta

«Il tempo si ingigantisce, si incupisce, travolge, annulla, fa dimenticare, fino a quando ha raggiunto le luminose rive azzurrine dell'infinito».
17 Settembre 2008 | di

Quanto dell’arte contemporanea è Arte che sfida il tempo, le mode, le scuole? Anzi, oggi, lo sfrenato esibizionismo del nuovo, del capriccio, dell’insolito, dello scandaloso, giunge ad autoproclamarsi arte anche nel ripetitivo, nel serigrafico, nel non comunicabile… È certo che desideriamo l’originale, ma rivestito di poesia, di sentimento, di capacità accattivante. Così siamo coinvolti nel colloquio. Amiamo essere sorpresi, seppur segretamente, nel nostro sentimento. Ci viene da chiedere sommessamente: «come ha fatto a scoprire il mio gusto, la mia preferenza, a esprimere ciò che impulsava nella mia mente?». Siamo alle soglie dell’arte, o ne siamo entrati: la suggestione del bello.
Immensa distanza tra l’arte dell’uomo e l’arte di Dio. È facile osservare l’arte di Dio nei cataclismi, nei tramonti di fuoco o di tormento dei nembi tempestosi o di ghiaccio; seppure è più suggestivo «e ancora più originale» coglierla nei più minuti fiori del prato, nella differenza tra foglia e foglia di un fronzuto albero. Perché non osservare questa poesia anche nel fatto che la luna è più sentimentale del sole? Così all’incirca, si esprimeva da pensatore e poeta, qual era, padre Giovanni Luisetto – già direttore del Messaggero di sant’Antonio – in un suo aforisma.
La citazione ci spalanca il varco per entrare nell’Arte di Gigino Falconi: la sua luce d’alba, ora autunnale, ora di ancor fredda primavera, colora, dettaglia, avvolge, circoscrive il suo mondo reale e silenzioso. In questo modo i suoi dipinti (come ogni vera arte) non sono obiettivi (ma lo è l’obiettivo fotografico così fugace, così fisso in un frammento di tempo? Troppo poco, enigmatico, per chi vive il tempo). Ma sono arricchiti e selezionati da pensieri, da scelte di solitudine, da inviti a tacere. Grande arte pure il silenzio e la pausa, e la forza della parola. Ecco, mi piace osservare i dipinti di Falconi perché silenziosi, aperti alla profondità di un paesaggio, di un orizzonte abitato da sola luce precisa e sincera: tremula sugli anfratti della roccia lontana, immota sugli specchi acquatici, impietosa nel rivelarti i particolari dei primi piani, cruda nella sua scientificità.
Com’è stato osservato da un critico: «il clima di mattinale intensità, condensata nei bianchi–perla, nei rosati insinuanti e preziosi, nell’allungarsi e cadere dei profili delle luminose ed eteree fanciulle sugli orizzonti della base dei quadri, porta a immaginare un sottile gioco di evanescenze metaforiche». È malinconico il mondo poetico del nostro pittore? Non direi, piuttosto è profondo ed essenziale. Troppo colore distrae, fa troppa festa, esige un’organizzazione da regista vigilante ma festaiolo. Non per nulla i grandi hanno suscitato la definizione, per la loro arte, di «tonale», lì dove predomina un’unità non solo compositiva, ma pure coloristica. Una nuova pittura tonale di un’interiorità dove «fluisce la lenta, monotona, corrosiva corrente del tempo: tutti gli oggetti vengono imbevuti di tempo; e, dietro di esso, il tempo si ingigantisce, si incupisce, travolge, annulla, fa dimenticare, fino a quando ha raggiunto le luminose rive azzurrine dell’infinito» (Floriano De Santi).
Ritorna l’invito al silenzio, un silenzio totale. Tra le opere di Falconi vi è una vastissima composizione della Crocifissione: «Scena finale del grande teatro del mondo». Eppure la luce è mattinale. In primo piano, in proporzione da suggerire un trittico nuovo si innalzano, quanto? Dove terminano? Chi vi è appeso in quelle supposte croci che non hanno dimensione quanto è il dolore dell’universo? Altri fusti della stessa materia rocciosa sono stati innalzati e non hanno fine. Il nuovo «Crocifisso» di spalle, ha di fronte l’universo avido di luce che entra per raggi, a sciavolate, a forza. Due le figure femminili immote. La terza appena appare ai piedi, nascosta dal crudo sasso, alza gli occhi supplici, solleva ancor più una mano, appena una parte della mano va ad attingere al sangue della redenzione. È il centro della «Tragedia» e la soluzione dell’arte. «La più autentica sincerità è quella di essere capaci di inventare, all’opportunità sa anche tacere» (Luisetto).
Ecco che siamo ritornati al motivo musicale del silenzio, questa rara qualità sulle labbra dell’uomo dominate da una vigilante disciplina. Guardando con predisposizione di simpatia senza distrazioni inquiete, non solo comprendiamo e preferiamo la pittura di Gigino Falconi, ma riveliamo a noi stessi, mente e cuore, come siamo plasmati, da cosa siamo attratti. Nel vertice del silenzio esistono due sole persone: Dio e io; nelle relazioni sociali: tu e io: il silenzio non urta, attende, fa pensare.

* Direttore del Museo Antoniano della Basilica del Santo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017