Il riposo: variazioni sul tema

Fin dall'antichità è un diritto-dovere fondamentale, e compare tra i comandamenti che Dio diede all'uomo. Se in passato l’astinenza dal lavoro si traduceva in tempo sacro da trascorrere in famiglia, oggi questa occasione di «fare festa» è sempre più rara.
02 Gennaio 2013 | di

Il riposo – nel senso più immediato e perfino banale della parola – è necessario all’uomo. È così naturale che, alla lunga, l’insonnia diventa una patologia. Costringere un uomo a non dormire, ci dicono le buie storie delle dittature, è una delle torture più terribili. L’uomo che non riposa mai si spezza e muore. Per questo, il riposo è un diritto-dovere codificato fin dall’antichità. È una delle dieci parole, è tra i primi comandamenti che Dio dà all’uomo: «Sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno [...] tu non farai alcun lavoro. [...] Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma il settimo giorno si è riposato» (Esodo). E lo Statuto dei lavoratori, in tutte le società avanzate, sancisce il diritto al riposo. Che il riposo sia uno dei «fondamentali» della vita di ogni uomo a tutte le latitudini, un comune denominatore dell’esperienza umana universale, è innegabile.

Insieme con gli affetti e con il lavoro. Anzi, io sono solito dire che il riposo è il fattore di equilibrio tra gli affetti e il lavoro. Ma in che senso? Oggi è davvero così? Nelle società del cosiddetto «Primo mondo» in cui viviamo si ha spesso l’impressione che il moltiplicarsi delle opportunità di divertimento, invece che «ricaricare» l’io, finisca con l’esaurirlo. E viene da chiedersi: è sufficiente ridurre i tempi del lavoro e ampliare quelli del riposo, perché ci sia una vera ri-creazione dell’io? In altri termini: tempo libero è sinonimo di tempo non occupato dal lavoro, o forse di tempo della libertà?
Quasi dappertutto, negli spazi di vendita dei centri commerciali, vediamo il cartello con su scritto: «Domenica siamo aperti». Le ragioni economiche sembrano imporsi su tutto; anche il riposo e la festa vengono subordinati alle esigenze del mercato. Così è sempre più facile trovare famiglie in cui il papà riposa la domenica, la mamma il lunedì e i figli il sabato.
 
Lo spazio delle feste di famiglia, per non parlare di quelle di popolo, si riduce a circostanze eccezionali: una volta all’anno, in occasione del Natale o di battesimi e matrimoni (sempre più rari anche questi). Ma, come scrive acutamente il poeta Thomas Stearns Eliot, «Che vita è la vostra, se non avete vita in comune? Non esiste vita se non nella comunità. E non esiste comunità se non è vissuta in lode di Dio» (The rock, 1934, ndr). Del resto, anche se sul calendario il settimo giorno della settimana continua a chiamarsi domenica – cioè dies Domini, giorno del Signore –, nella vulgata corrente la parola è sempre più soppiantata dall’anonimo weekend, in italiano «fine settimana».
In tutte le società antiche, ma fino ai tempi dei nostri nonni, il tempo della festa era legato alla comunità e al sacro: oggi non è più così. In un certo senso si può dire che la crisi della festa sia una spia di una crisi nell’uomo. Come vedete, dal tema del riposo e della festa partono cento strade da percorrere: quest’anno proveremo a percorrerne insieme almeno una decina.
 
 
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017