Il rilancio

01 Febbraio 2007 | di

          È nel travaglio del dopoconcilio, mentre l'Italia è agitata dalla contestazione giovanile, che i religiosi del "Messaggero" ritengono giunto il momento di sviluppare appieno le grandi possibilità del bollettino con la sua capillare presenza nel paese, e quindi di imboccare una nuova strada che lo trasformi da strumento devozionale in un veicolo di comunicazione moderno, agile, disposto ad accogliere e dibattere idee, novità, stimoli che agitano il paese, interessato da grandi trasformazioni, tenendo però come punto di riferimento il messaggio evangelico, la dottrina perenne della chiesa, nelle formulazioni che il magistero via via indica, come appunto aveva sempre fatto sant'Antonio. Una voce nuova, almeno da questo punto di vista, non può che far bene al mondo cattolico che non dispone di grandi mezzi di comunicazione.

          Nelle intenzioni di chi sta progettando il passaggio (padre Vitale Bommarco, padre Francesco Saverio Pancheri e altri...) l'antonianità, motivo ispiratore e animatore della pubblicazione, deve rimanere, ma intesa meno come acclamazione esteriore della devozione e più come esigenza di trasmettere il messaggio evangelico, l'annuncio della salvezza portata da Cristo, con la stessa passione, amore e attenzione ai problemi degli uomini, che aveva animato Antonio ai suoi tempi. L'antonianità insomma come linfa che innerva tutta la rivista, senza necessariamente essere visivamente dominante.

          Tra i compiti da affidare al nuovo "Messaggero" si impone anche quello di far crescere i lettori aiutandoli a leggere i segni dei tempi, a maturare la loro fede e la coscienza critica offrendo elementi utili a giudicare gli avvenimenti della chiesa, i fatti della società e della politica. Ma anche di essere portavoce delle esigenze spirituali, culturali dei poveri promuovendo la solidarietà. Mantenendo il legame con la basilica, luogo privilegiato della devozione antoniana, ma anche, il testimonial più sicuro e più prestigioso per la rivista.

          Tra le spinte a cambiare c'è anche il timore, magari inespresso, che l'onda della contestazione e di una secolarizzazione rampante e pretenziosa che sta predicando la fine della religione, e addirittura la morte di Dio, che tutto questo insomma travolga la devozione ai santi e quindi a sant'Antonio, rendendo inutile e senza prospettive il bollettino. Si corre ai ripari e il cambiamento è comunque salutare, anche se le profezie dei secolaristi sinora non si sono avverate.

          Per non urtare la sensibilità dei lettori più restii alle novità, il passaggio avviene gradualmente. Un primo timido tentativo viene fatto già negli anni 1968-70. Direttore del Messaggero è padre Vincenzo Tommasi, ma la cura della rivista è affidata a padre Maurizio Stedile. Il tentativo è un po' goffo perché attuato da gente non del mestiere (come chi scrive queste note che inizia qui la carriera di giornalista fino a diventare caporedattore) ma coraggioso. Le novità non passano inosservate: muta la veste grafica, dalla copertina scompare l'immagine di sant'Antonio che ha tenuto banco ininterrottamente dal 1898; compaiono alcune tematiche insolite: il mondo giovanile in rivolta, i problemi sociali, i personaggi della vita politica, problemi scottanti di teologia e di morale, affidati a teologi di spicco e a moralisti di punta come Ambrogio Valsecchi.

          Il momento è delicato e non privo di rischi. Il notevole cambiamento potrebbe sconcertare i lettori più legati alle vecchie formule e provocarne un esodo massiccio. Più di uno di fatto è sconcertato, protesta e se ne va. Per fortuna a lasciarci sono in pochi, i più dimostrano di apprezzare l'aggiornamento. E ciò offre alla direzione, intelligente e sensibile, motivi validi per favorire ulteriori passi in avanti, affidando la confezione della rivista a Gino Lubich, un laico del mestiere (una grossa novità non subito digerita), pur sotto la direzione intelligente e affettuosa di padre Francesco Saverio Pancheri, che sarà direttore fino al 1978.

          Lubich, giornalista di notevole esperienza e professionalità (proviene da "Città nuova" ma ha lavorato a lungo nella stampa laica) si getta nella difficile ma affascinante impresa di sfornare mese dopo mese (come ricorderà lui stesso in seguito) un prodotto sempre un po' meno bollettino e sempre un po' più rivista.

          Si inizia dando nuovo vigore e completezza ai temi sociali, analizzati con limpidezza nell'ottica cristiana da Spartaco Lucarini. Si introducono gli argomenti scientifici, trattati nella luce della fede da Piero Pasolini. Poi, quando dalle indagini emerge che i lettori non siano in gran parte contadini (comunque una rubrica si occupa dei loro problemi), ma appartengano alle più svariate categorie di persone e lavoratori, nessun interesse culturale viene più escluso. Arte, sport, cinema e televisione, letteratura e musica, psicologia, scuola ed economia prendono posto accanto ai tradizionali temi antoniani, alla spiritualità, alla "Bibbia per tutti". Compaiono firme prestigiose sui diversi argomenti (da Federico Alessandrini a Ettore Masina, da Alessandro Pronzato a Valerio Ochetto, a Claudio e Violetta Mina, a Guglielmo Zucconi, a Enzo Natta, a Luciano Onder...) mentre il cardinale Albino Luciano - poi papa Giovanni Paolo I - scrive agli Illustrissimi del passato per colloquiare attraverso il "Messaggero" con milioni di suoi contemporanei. E poi Luigi Rocchi: immobilizzato in un letto da una malattia progressiva, scrive pagine stupende di fede, di coraggio e di speranza (è in corso la causa di beatificazione). Tutto il ventaglio delle espressioni del mondo cattolico, in una fase di grandi novità e fervore, trovano spazio nella rivista.

          La "nuova" rivista si fa notare. La stampa laica registra il cambiamento, ne osserva, non senza un briciolo di sufficienza, lo sviluppo, anche se la pigrizia mentale e i pregiudizi a volte le impediscono di varcare la soglia di una testata ("Messaggero di S. Antonio") inequivocabilmente schierata, per vederne e giudicarne i contenuti, che sono quelli di una rivista religiosa, attentissima agli interrogativi e alle questioni della fede, ma non distratta o assente ai problemi quotidiani della gente, anticipa anzi i motivi della riflessione ecclesiale e della pastorale che verranno sintetizzati nel moto: evangelizzazione e promozione umana.

          Nel frattempo il "Messaggero" si dota di un nuovo stabilimento tipografico, nel 1973, con mezzi tecnologicamente avanzati: ciò consente miglioramenti della veste grafica della rivista. Aumenta progressivamente il numero della pagine, dalle 48 si passa alle 64, poi alle 80 e infine stabilmente alle cento, e anche di più in talune circostanze. Gli abbonamenti (la rivista non è presente nelle edicole), dopo più vigili e costanti controlli su scaduti, defunti, doppioni, si attestano su cifre di assoluto rilievo, intorno al milione.

          Nel 1979, dopo una breve ma intensa parentesi di padre Piero Scapin, alla direzione della rivista viene eletto padre Giacomo Panteghini. Sono gli anni in cui entra nelle tipografie e nelle redazioni il computer, creando non pochi imbarazzi ma offrendo anche grandi possibilità di sviluppo. Sulla spinta delle nuove tecnologie, l'intera struttura editoriale si trasforma per adeguarsi alle nuove esigenze di organizzazione del lavoro. È un momento molto fecondo che i religiosi gestiscono con oculatezza e lungimiranza, accogliendo quanto la tecnologia propone per rendere più agile, più preciso il lavoro. E soprattutto quello che il lavoro produce: le riviste. Queste continuano ad essere (l'edizione italiana in primo luogo) il loro fiore all'occhiello, il "nuovo pulpito" da cui continuare, aiutati da laici che ne condividono fatica e intenti, ad annunciare alla gente del nostro tempo, sempre più distratta da una cultura secolarizzata ed edonista, il messaggio e le esigenze del vangelo. Altre "firme" importanti arricchiscono la rivista: padre David Maria Turoldo, Adriana Zarri con lo pseudonimo di Myriam, Gaspare Barbiellini Amidei, il vescovo Gaetano Bonicelli, gli scrittori Luigi Santucci e Carlo Sgorlon, don Roberto Diana, un sacerdote e medico veneziano che affronta le malattie, quelle della terza età anzitutto, con grande competenza e cultura, ponendo sempre in primo piano i problemi umani, psicologici e religiosi delle persone malate...

          L'eclissarsi del sacro, cioè i valori cristiani non più ispiratori della vita, la pratica religiosa ridotta al lumicino e le verità della fede dimenticate o relegate nella soffitta, inducono la direzione della rivista ad accentuare e ad organizzare in modo più sistematico l'annuncio della Parola, la rievangelizzazione. Questo si traduce in una "catechesi" resa con linguaggio moderno e non pedante, che aiuta a ripercorrere il cammino della fede e a riappropriarsi di quelle verità eterne, apprese dal catechismo nell'iniziazione cristiana e poi dimenticate.

          Il settore, chiamato inizialmente "Crescere nella fede" e poi via via con altri nomi in base ai temi trattati e poi "Verso il giubileo" ha caratterizzato l'ultimo decennio della rivista, con alterne fortune tra i lettori, ma suscitando sempre il vivo interesse delle comunità cristiane e dei responsabili della catechesi nelle parrocchie.

          Nel programma di rievangelizzazione la devozione popolare, e quindi quella antoniana, diventa un capitolo importante: si tratta di dare ad essa il giusto valore, il giusto equilibrio che ne preservi la spontaneità, l'originalità, lo slancio affettivo, ma inserendola in una scala di valori religiosi nella quale Dio e Gesù Cristo siano al primo posto. Per Antonium ad Jesum, recita una massima antica: Antonio come mezzo per arrivare a Gesù. Operazione in buona parte riuscita, che ha posto in secondo piano manifestazioni discutibili della devozione antoniana per conferire ad essa indubbia dignità.

          Devozione antoniana vuol dire anche attenzione ai poveri, solidarietà con quanti in tutto il mondo fanno fatica a vivere. Per questo la rivista s'è fatta da una decina d'anni a questa parte promotrice di un'iniziativa di solidarietà proponendo nel numero di giugno alcune azioni concrete di sostegno a persone e situazioni di disagio in paesi di minor sviluppo. Le iniziative, che i lettori hanno accolto con entusiasmo e alle quali rispondono con grande generosità, sono diventate su questo versante il fiore all'occhiello della rivista. Non era il pane dei poveri uno tra i motivi che l'avevano fatta nascere?

          I tempi difficili (la contestazione prima, il riflusso poi, tangentopoli e il delicato, difficile e non ancora concluso passaggio dalla prima alla seconda repubblica) hanno reso doverosa l'attenzione anche ai temi politici, sociali e culturali. La rivista non si è sottratta al suo impegno, vincendo la resistenza di chi vorrebbe, come rivista religiosa, che si occupasse unicamente di fede e di chiesa. Lo ha fatto senza prendere netta posizione per l'uno o l'altro schieramento politico ma, in ascolto della parola del Papa e della chiesa, portando sempre in primo piano i grandi valori del cristianesimo come la giustizia, il rispetto della dignità della persona, la solidarietà, i bisogni e le aspettative reali della gente, sempre aperti a una dimensione mondiale dei problemi.

          L'operazione sembra riuscita e celebrando nel giugno del 1985 il numero mille della rivista, s'è potuto tracciare un consuntivo abbastanza lusinghiero. Ora il "Messaggero di S. Antonio", in forma ancor più evidente dopo la recente ristrutturazione editoriale e grafica, molto gradita, non è più l'oscuro bollettino di santuario, ma ha acquistato un ruolo importante nel panorama della stampa cattolica, o della stampa in generale, suscitando l'ammirazione della stessa stampa laica.

          Poiché il cammino non è mai finito, ora il "Messaggero", che si avvale di una redazione formata da laici e laiche, sta compiendo un ulteriore sforzo per sottrarsi all'omologazione, per dire cioè le stesse cose che dicono tutti. Sta cercando una strada o ribattendo con maggior vigore quella sin qui compiuta: di dare spazio ad avvenimenti, personaggi, situazione e drammi che gli altri non accolgono o dimenticano perché non fruibili da una logica giornalistica attenta solo a chi urla, a chi fa scandalo, a chi può aiutare a vendere qualche copia in più...

          Vuole essere rivista fuori dal coro, voce di chi non ha voce, sempre dalla parte dei poveri, in ossequio all'ispirazione iniziale: ripropone i grandi valori della fede, della carità, della giustizia, della dignità, della vita; accentua l'attenzione per le questioni religiose, perché di riviste che parlano di politica e di altro ce ne sono a decine, che affrontino in modo serio, moderno, popolare e accattivante la fede e la religione, pochissime. Anche su questo intende uscire dal coro. A volte, lo abbiamo già detto, il mondo dell'informazione, disinteressato ai grandi temi religiosi che la rivista dibatte, ci valuta con sufficienza e superficialità, incuriosito più che altro dai numeri: dall'alta tiratura, dalla capillare diffusione, dai soldi e così via. Però chi, anche lontano dal nostro mondo, ha l'occasione di addentrarsi nella rivista, ne esce francamente ammirato. Ed è questa la più grande soddisfazione per chi vi lavora, compreso chi ha steso queste note che alla trasformazione della rivista ha portato il suo modesto contributo.

          Oggi anche noi stiamo navigando sul web, la nuova frontiera, per essere compagni di viaggio - non solo "virtuali" - con chi desidera condividere e comunicare vita alla luce degli eterni valori del Vangelo, con sant'Antonio a fianco.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017