Il programma

01 Febbraio 2007 | di

             Emergono da queste premesse le finalità del "Messaggiero", puntigliosamente dichiarate nel primo editoriale.

1. Essere "messaggiero" di sant'Antonio del quale raccoglierà la voce, "di quella voce potente che qui nella sua Basilica piucché altrove si manifesta in continui prodigi, e nunzio e messaggiero fedele farà sì che essa si ripercuota ogni dove".

2. Sollecitare la solidarietà verso i poveri attraverso "l'opera tanto cara del pane dei poveri". "Invitiamo fin d'ora i bisognosi dei celesti favori a ricorrere a lui, a rimettere nelle sue mani parte delle loro sostanze, acciocché con esse Ei valga ad asciugare le lacrime di tanti, che oggi gemono nella più squallida miseria".

3. Far conoscere la basilica, la sua storia secolare, far apprezzare le tante e splendide opere d'arte che la rendono preziosa e ammirata. Ma soprattutto comunicare la vita spirituale intensa che la anima e che si esprime nelle "maestose, splendide funzioni" e nei "pellegrinaggi che tanto frequentemente si succedono".

4. Difendere "gli interessi della Chiesa che Antonio tanto amò: "narreremo i suoi trionfi, i suoi progressi, ai quali tanto coopera l'Ordine francescano, additato dal Papa, come sua principale speranza".

5. Essere portavoce dell'Arciconfraternità di S. Antonio.

          Il periodico nasce con l'approvazione e l'incoraggiamento dei superiori, del ministro generale dei conventuali, padre Lorenzo Caratelli, il quale "di gran cuore" benedice "alla nobile e santa impresa, e a tutti coloro che si adopereranno a sostenerla" e auspica che il periodico possa "in appresso, anche parzialmente, essere tradotto in altra lingua"; del vescovo di Padova, monsignor Giuseppe Callegari, e del vescovo di Chioggia, monsignor Lodovico Marangoni, confratello dei religiosi che si avventuravano in quell'impresa editoriale in un momento non certo felice per la stampa cattolica: una trentina di testate tra quotidiani e periodici in quel periodo cessavano le pubblicazioni.

          Successivamente giungono al periodico i plausi, il compiacimento e la benedizione del patriarca di Venezia, cardinal Giuseppe Sarto, futuro Pio X, il quale "fa voti che anche questo contribuisca a diffondere la divozione al Santo dei Miracoli, dei quali non ultimo il Pane, che prova manifesta di grazie d'ogni genere provvede all'indigenza di tanti poveri"; dello stesso pontefice, Leone XIII, che tramite il cardinale Rampolla afferma di aver appreso "con particolare compiacenza lo scopo che i religiosi conventuali, residenti in Padova, hanno avuto in mira nel fondare il detto periodico che è quello di far conoscere le glorie del gran santo e di accrescere ovunque la divozione dei buoni fedeli verso di lui"; quindi del cardinale di Bologna Domenico Svampa e di altri ancora...

          Voce del Santo e della basilica. E vicino ai poveri. Tuttavia delle difficoltà che sta attraversando il paese, e di cui abbiamo rapidamente detto, vi è solo un'eco indiretta in quell'accenno alle "lacrime di tanti, che oggi gemono nella più squallida miseria". Delle lotte politiche, dei tumulti sociali... nel bollettino non si trovano che labili tracce. Anche delle ottanta vittime della rappresaglia del generale Bava Beccaris a Milano, un episodio che aveva suscitato enorme impressione in tutto il paese, si trova solo qualche accenno, nel quale a far la parte peggiore sono le plebi "furibonde e inferocite" che "per più e più giorni si riversarono sulle vie". E così pure dell'assassinio del re Umberto...

          La politica viene rigorosamente tenuta fuori dalla porta, in ossequio al divieto fatto da Pio IX ai cattolici italiani con il celebre Non expedit (1874) di partecipare alla vita politica, come sdegnata risposta all'offesa inferta alla chiesa dalle truppe italiane con la breccia di Porta Pia e con la conseguente annessione di Roma e dello Stato pontificio all'Italia. E viene anche espressamente dichiarato sin dal primo numero: "Il Messaggiero di S. Antonio di Padova, periodico illustrato, esce al 1° di ogni mese dalla Basilica del Santo in Padova, nel formato e mole del presente fascicolo. Desso si manterrà sempre puramente religioso, senza alcuna ingerenza in cose di politica: tratterrà di quanto riguarda il suo Santo, del Pane dei poveri, dell'Arciconfraternita istituita nella Basilica del Santo, dell'Ordine nostro Serafico, dei nostri Terziari". I frati della basilica "da veri e devoti figli di S. Chiesa" protestano "di volersi sottomettere in tutto e per tutto ai suoi giudizi e decreti".

          Questo il canovaccio del bollettino che, in base ai propositi espressi, per molti anni è mantenuto, con qualche variazione dettata dagli avvenimenti: la vita e il pensiero del Santo, la storia della basilica e l'illustrazione delle opere d'arte in essa custodite (da subito ben fatta) e di quelle in corso (ad esempio gli affreschi del Casanova, iniziati nel 1903 ma dei quali nei primi numeri del bollettino comparivano i progetti), gli affreschi in alcune cappelle dell'abside che in quegli anni prendevano il via...

          E poi: la "cronaca" del santuario, una rassegna di santi francescani e di santuari, l'opera del pane dei poveri presentata con grande risalto, pari a quello dato alle lettere nelle quali i lettori raccontano le grazie ricevute dal Santo. Si tratta di lettere molto semplici, forse adattate nella forma dalla redazione perché troppo pulite, in un periodo in cui la gente, e non tutta, frequentava appena le prime classi delle elementari: lettere semplici ma che diventano una fonte di informazioni su come si viveva allora, le difficoltà, i disagi, le malattie, le usanze, le tradizioni religiose e civili... Non mancano le testimonianze edificanti con intento apologetico, di conversioni ottenute per l'intercessione del Santo, soprattutto di persone affiliate alla massoneria, considerata, con il modernismo, tra i più pericolosi nemici della chiesa.

          Già nel secondo numero del bollettino compare la pubblicità (destinata presto a scomparire): sulla quarta pagina di copertina, primo inserzionista: Vittorio Gafforelli, Milano, Fabbrica di Paramenti Sacri in stoffe e ricami, seguito dall'Antica premiata cereria a vapore Angelo Martini di Padova, fornitore della Cattedrale e della Basilica, che reclamizza "brevettati lumini, perforati, in cera, da notte e per illuminazioni... noleggio bicchieri. Prezzi, ovviamente, convenienti. Poi si affiancano fabbricanti di statue religiose, e persino "gl'insetticidi più energici, pratici, economici" che sono "La rubina e la pitteleina della più volte premiata ditta A. Petrobelli e C. in Padova".

          Da subito anche le campagne promozionali, in palio "alcune bellissime statue del nostro glorioso Santo, le quali verranno estratte a sorte tra i nostri abbonati di quest'anno (1898), che al 31 dicembre a.c. si troveranno in regola colla nostra Amministrazione ed ai nuovi abbonati che daranno il loro nome inviando la quota di abbonamento prima del 1 Marzo 1899" (editoriale del novembre 1898).

Con un concorrente è subito polemica

          Affiora sin dai primi numeri una polemica, destinata a durare a lungo, con "Il Santo dei Miracoli", il periodico fondato da don Antonio Locatelli, la cui sede distava qualche centinaio di metri dalla basilica, ma che non aveva nulla a che fare con essa. I religiosi del santuario invitano i lettori ripetutamente "a distinguere il nostro periodico e le opere nostre tutte dall'altro periodico chiamato il "Santo dei Miracoli" benché esso abbia nel proprio indirizzo Via al Santo, il che vuol significare che tale opera, a noi del tutto estranea, vede la luce in qualche via che conduce al Santo: mentre e il nostro periodico e le nostre opere hanno proprio sede realmente nella Basilica del Santo in Padova... Simili distinzioni chiediamo per la nostra Arciconfraternita di S. Antonio, colla quale ha nulla a che fare qualunque altra società che di simile nome si fregi, sia cittadina che universale...".

          Polemica destinata a durare, dicevamo, e che non deve essere piaciuta al vescovo di Padova, cardinale Giuseppe Callegari, il quale obbligherà il "Messaggiero" a pubblicare per tre volte consecutive (primi tre numeri del 1899) una dichiarazione nella quale "a togliere ogni possibile equivoco così in Italia come all'estero" il presule chiarisce, basandosi sulle date di fondazione, diritti, prerogative, specificità e autonomie delle attività legate alla basilica del Santo (Arciconfraternita, Messaggiero di S. Antonio) e quelle della concorrenza (Associazione Universale Antoniana e Il Santo dei Miracoli) fondate dal sacerdote secolare don Antonio Locatelli, con la benedizione della curia vescovile padovana...

          La dichiarazione non sopisce del tutto la polemica: nel 1905 essa infatti riappare, accesa da calunnie sparse da alcune persone, soprattutto in America e in Brasile, contro Il Santo dei Miracoli e la Società Antoniana. Quelle calunnie inducono il cardinale Callegari a intervenire nuovamente, anche perché dette persone si appoggiano "a testimonianze di R. P. Conventuali. Testimonianze che - scrive il vescovo patavino - siamo certi, furono inventate" (agosto 1905). Seguono altre dichiarazioni e precisazioni che testimoniano la delicatezza e l'importanza della questione: in ballo ci sono gli abbonamenti alle rispettive riviste e le offerte che i devoti mandano, confondendo a volte la destinazione e creando concretissime controversie di attribuzione... Polemica oggi del tutto inesistente.

          Sin dai primi numeri si incontrano problemi di spedizione. I religiosi sono stati troppo frettolosi nel promettere l'uscita "di ogni numero al primo giorno del mese". Non avevano fatto i conti con le difficoltà che ad ogni avvio di rivista provengono da "un'amministrazione abbastanza complicata" (editoriale del 1898). Sono costretti così a chiedere la comprensione dei lettori, promettendo, nell'editoriale del numero successivo, "maggiore esattezza e puntualità nelle spedizioni, per quanto dipende da parte nostra". Ma anche a confessare la loro impotenza per i ritardi e i disguidi dipendenti dalle poste, la cui efficienza lascia molto a desiderare. Scrivono infatti: "È però quasi inevitabile che da parte degli uffici postali avvenga qualche particolare ritardo o svio, come ne abbiamo avuto dolorosa esperienza nel corso di quest'anno e assai di frequente". Le lamentele per i ritardi delle poste saranno un motivo dominante in tutti i cent'anni di vita della rivista, con accentuazioni quasi drammatiche ai nostri giorni, quando tecnica e tecnologia dovrebbero offrire tutte le opportunità per un'efficienza impeccabile.

          Politica e dintorni, si diceva, rigorosamente fuori dalla porta. Ma con crescente fatica. Sin dai primissimi numeri infatti (giugno 1898) sono gli avvenimenti a spingere i redattori del bollettino fuori dal seminato. Era scoppiata la guerra tra Spagna e Stati Uniti per il possesso dell'isola di Cuba, colonia spagnola, dove gli americani avevano compiuto da tempo forti investimenti nella produzione di zucchero e tabacco e dove da tempo covava voglia di indipendenza. La guerra, per la debolezza della Spagna, durò pochi mesi e consentì agli Usa di annettersi, già che c'erano, anche altri possedimenti spagnoli. Mentre al di là dell'oceano si combatteva, in Italia, a Firenze, si celebrava il ricordo di due grandi navigatori: Amerigo Vespucci e Paolo Toscanelli, legati alla scoperta del nuovo continente. Lo stridore della coincidenza suscita un sentimento di rabbia in un redattore del bollettino (Fr. S. I.), che scrive: "Siamo costretti ad assistere al doloroso spettacolo degli odi umani rivolti contro quella delle nazioni d'Europa che forniva i mezzi per arrivare alla grande scoperta. Così, mentre il giardino d'Europa, il seno d'Italia, risuona di feste alla memoria di quei grandi benefattori dell'umanità, si ode dall'America un grido di fredda e malvagia persecuzione contro la madre europea del nuovo mondo, la grande nazione Spagnuola".

          Ma il redattore, quasi pentito per essersi sporcato le mani con la politica, tralascia i "vili" fatti per richiamarsi ai princìpi e ai valori generali e denunciare quindi "l'opera della cupidigia umana, aizzata spaventosamente ne' suoi furori da quell'empia nefanda setta (la massoneria) che nell'oppressione di ogni diritto, nell'insulto e nella rovina di popoli che amano ancora la giustizia, nei disordini, nelle rivolte, nelle catastrofi religiose e civili, mira a sbramare la sua fama di oro, di passione e la rabbia contro il Cielo". Ancor più perfido il gesto perché rivolto nella fattispecie contro le genti della penisola iberica che ha dato i natali al Santo "teneramente amato dalla Portoghese sua patria, non è amato meno dal cattolico popolo della Spagna; quel Santo che...".

Il pane dei poveri

          La politica fa ancora capolino, e più volte, nelle prime annate del "Messaggiero". Compare ad esempio, e con un certo piglio, nella serie di articoli dedicati al pane dei poveri, uno degli elementi portanti del bollettino. Era inevitabile succedesse: non si può riempire la sporta di pane a un disgraziato senza interrogarsi sulle cause della sua povertà, senza tentare di superarla. Già nel numero di maggio del 1898, un redattore affronta la questione sociale, dissertando sulle cause della povertà in Europa. Era questo uno dei temi più dibattuti in quel periodo. La chiesa stessa e i cattolici vi si stavano impegnando con grande slancio e vivacità anche per opporsi al frenetico attivismo dei movimenti socialisti e anarchici, le cui analisi e proposte, pur partendo come facevano i cattolici dal recupero della dignità e dei diritti dell'uomo ampiamente oltraggiati dal capitalismo e dalla politica di allora, sfociavano in scelte e atteggiamenti antitetici ai valori cristiani, e cioè nella lotta di classe, nel materialismo, nell'ateismo, nell'anticlericalismo e così via.

          Le cause della miseria vengono attribuite dall'articolista, secondo uno stereotipo apologetico del tempo, all'"apostata della Germania", a Martin Lutero, e alle sue nefaste dottrine "le quali provocarono tanti guai nel campo politico e religioso, ma anche in quello economico-sociale". "Dallo spirito di quell'opera nefasta ebbero origine i latifondi - continua il redattore - per cui, spogliati i piccoli possidenti delle piccole ma sufficienti proprietà, si videro costretti ad allontanarsi dal campicello, dalla casetta che li aveva visti bambini, andare in cerca di un padrone cui prestare l'opera loro".

          Lo stesso spirito aveva stravolto il significato del lavoro, riducendolo a "merce" e l'operaio a "macchina", per cui "la merce la si ricerca dove costa meno". E allora "avviene il ributtante spettacolo che si vede oggi sì spesso quando incominciasi un'opera qualsiasi: accorrono numerosi gli operai per prestarsi al lavoro, se il padrone non ne può accettare che in numero determinato, allora tra essi incomincia la concorrenza, essi si offrono per un prezzo vile, non già perché siano persuasi di quello che fanno, ma solo perché spinti dal pensiero che là tra le mura della loro casetta hanno una sposa, hanno dei figli che aspettano un tozzo di pane: incomincia quella concorrenza su cui gli agiati, allontanati da Dio, speculano assai di sovente, barbaramente profittando dell'altrui bisogno".

          Accuse roventi contro i padroni, dunque, ma proseguendo nel ragionamento l'articolista ne riserva una buona dose anche ai socialisti, accusati di soffiare sul fuoco del malcontento per suscitare l'odio contro i padroni, alimento indispensabile per la lotta di classe. "Ma costoro la sbagliano, si mettono per una via di dolori più grandi dei presenti, di disillusioni più amare delle attuali; ché Dio ha tracciato le differenze sociali a bene comune e le opere di Dio non verranno mai meno. Fortunati quei tra gli operai che dietro gli insegnamenti del Papa, aperti gli occhi, nella fede dei padri nostri cercano e reclamano giustizia. Dio non mancherà di esaudirli, e l'alba foriera della loro cristiana rivendicazione spuntò nel nascere dell'opera del pane dei poveri".

          Il pane dei poveri, dunque, come fonte di speranza nella lotta per la giustizia? I socialisti la pensavano diversamente, avevano anzi bollato l'iniziativa come uno dei soliti artifizi dei preti per "imporsi alla moltitudine e acquistare l'ambìto titolo di benefattori dell'umanità". Accusa che i religiosi del bollettino controbattono in un numero dell'anno successivo (ottobre 1899), appellandosi alla solidarietà nel nome del Santo, il quale "...continua dall'alto dei Cieli, come già sulla terra, a dar da mangiare agli affamati raccogliendo danaro da coloro che al presente non hanno bisogno di pane, ma di grazie che Egli a larga mano loro dispensa". Il pane dei poveri, allora, come modesto ma incisivo strumento di giustizia nel nome del Santo.

          Il "Messaggiero" passa dalle parole ai fatti proponendo forme concrete, semplici, immediate ed efficaci, come la distribuzione del pane, per alleviare le conseguenze della povertà, pane che in tempi di grande miseria era un sollievo non da poco. I frati lo distribuiscono grazie alle offerte che altri, spesso poveri essi stessi, attraverso il bollettino inviano al Santo per invocarne la protezione o per ringraziarlo di averla accordata. Come testimonia questo episodio, riportato dal bollettino con evidente enfasi e che ha per protagonista una giovane donna in lacrime sulla tomba del marito da poco scomparso. Nessun'altra cosa conforta la vedova se non la certezza che, dando agli altri, il Santo otterrà conforto per lei stessa e suffragio per l'anima del povero marito. Consegna infatti - è detto nel racconto - due "napoleoni" a un frate dicendo: "Uno andrà per messe, l'altro per il pane di S. Antonio. I poveri che quel pane riceveranno... pregheranno per l'anima del mio Giacinto, e così con una piccola offerta vengo in sollievo d'un povero che langue nella vita, e di un povero che langue nei regni della morte".

          In seguito, il pane non sarà più solo materialmente pane, ma vestiti, legna, interventi materiali e spirituali per ridare alle persone dignità e forza nel cammino della vita - in Italia e nel mondo -: volti diversi di una solidarietà senza confini ispirata a sant'Antonio.

          Tra i problemi politici e sociali che affronta da subito c'è l'emigrazione, un fenomeno che da qualche tempo aveva assunto dimensioni notevoli. A decine di migliaia, dalle regioni del sud e dalle più povere del nord, cittadini fiaccati dalla miseria, spaventati da un futuro che prevede solo disoccupazione e stenti, partono, diretti soprattutto nelle Americhe, nella speranza di costruire un domani di dignità e di benessere per se stessi e per i figli.

          L'argomento viene affrontato più volte partendo dalla concretezza del vissuto. Dei diversi interventi citiamo il racconto di una signora il cui marito, accompagnato da un figlio, era emigrato in Argentina, incappando in una serie di disavventure, peraltro comuni a molti emigrati: inganno, sfruttamento, disillusione, miseria, tentazione di tagliare i ponti con la famiglia rimasta in patria, per ricrearne una nuova... La vicenda narrata ha un lieto fine, grazie ad una serie di circostanze nelle quali ovviamente è intervenuto...

          "Davanti a un'immagine del Santo - scrive il religioso redattore che ha raccolto la testimonianza della donna - ne invocava mattina e sera il potente e prezioso patrocinio, affinché non solo benedicesse i due poveri esuli, che a suo parere languivano in terra lontana e straniera, ma facesse altresì rivivere nella loro mente e nel loro cuore il ricordo e l'affetto pei cari lasciati nel paese nativo. Al Santo faceva spesso l'offerta di un piccolo cero e di qualche centesimo nel pane dei poverelli, sebbene povera anch'ella, ma l'ottima donna ben comprendeva che le offerte dei meno abbienti e non le cospicue toccano in sommo grado il cuore di "Lui" e che la fede supplisce a ciò che manca all'offerta".

          Il Santo ascolta la devota e "il 4 settembre fra un'onda di amplessi, di baci e lagrime di gioia la buona famigliola era già ricostituita; ed anche in mediocri condizioni economiche, essendo il capo di essa tornato con un discreto gruzzolo, ch'era frutto dei suoi sudori e dei suoi risparmi". La signora raccomandava al frate l'anonimato, "per evitare probabili scherni" dei signori presso i quali prestava servizio, che già la chiamavano spregiativamente "la pitoccona" per l'ingenua fede con cui invocava l'aiuto del Santo. "Ma bravi, o signori! - commenta il religioso, intingendo la penna nel calamaio dell'ironia -. Così progrediremo mirabilmente a ritroso! E poi si strilla dall'alto che la società è gravida di vapori esplosivi e micidiali, e che le moltitudini divengono ogni giorno più minacciose e furenti: è questo il primo frutto di una velenosa propaganda che sostituisce a Dio l'abbrutimento: e il bruto non serba più favilla di ragione" (ottobre 1899).

I giovani

          Dalla sfuriata del frate si intuisce che ciò che alla fine più preme al "Messaggiero" è la fede, minacciata da una cultura laicista e materialista che faceva presa soprattutto sui giovani, i quali con estrema facilità disertano presto le chiese per intraprendere altri pericolosi sentieri. Il fenomeno è consistente e preoccupante a sentire il tono dell'articolo che qui in parte citiamo: "Un senso di tristezza e di dolore ci incoglie - scrive un redattore (G.S.) - quando noi consideriamo la brutta via che segue la maggior parte della gioventù d'oggi: una gioventù leggera, irriverente, irrequieta e, quel che è più, noncurante di ogni idea soprannaturale e di ogni sentimento religioso...". L'articolista non vuole però generalizzare: qualcuno tra i giovani la testa sul collo ce l'ha ancora. Annota infatti: "Noi conosciamo parecchi di questi giovani di questa stessa classica città, la città di Sant'Antonio, i quali, pur frequentando le così dette scuole laiche, o meglio senza Dio, sono pure ancora giovani virtuosi e pii. Tuttavia di mezzo agli errori che sentono ripetere di continuo dalla cattedra dei propri insegnanti, di mezzo agli insulti che odono tuttodì alla religione rivelata e alla chiesa cattolica, provano talvolta un certo qual sgomento... Questi buoni giovani hanno bisogno di una guida che li tenga saldi nella via della verità, infonda loro coraggio e forza... Questa guida, questo aiuto, questo conforto, specialmente ai tempi nostri, dove trovarla, o giovani, meglio che in Sant'Antonio?..." (novembre 1900).

          In questa fase ci siamo dilungati nelle citazioni, non lo potremo evidentemente per i restanti anni di vita della rivista. Ne valeva la pena perché i numeri di inizio sono i più belli, corposi, interessanti e meglio preparati. In seguito, e per un lungo periodo, vicende varie, politiche, economiche e di altro genere obbligheranno la rivista a minor spessore e brillantezza.

          Nel "Messaggiero" si cercano invano i grandi avvenimenti politici e sociali del tempo, che pure furono drammatici e incisivi. Vi si trovano, però, grandi e piccoli drammi della gente, che emergono dalle lettere dei lettori indirizzate più che ai frati al Santo stesso, al quale raccontano come ad un amico le loro vicende personali e familiari, i disagi, le angosce, i lutti, ma anche le gioie quando il suo intervento li ha aiutati a uscire da una situazione di particolare gravità. Dalle lettere si coglie uno spaccato minore ma importante della vita del tempo, con le sue usanze, tradizioni religiose e civili. Di queste testimonianze le pagine del bollettino sono piene, in misura crescente, e conferiscono attualità e vivezza a un rivista che per i temi abitualmente trattati rischia di essere monocorde.

          I temi costanti per anni e anni nel periodico sono quelli indicati dall'editoriale del primo numero, trattati con una prosa semplice, ma accurata ed elegante, cui è impossibile dare una paternità perché gli articoli, almeno agli inizi, sono anonimi, solo di raro siglati.

          Nel 1899, secondo anno di vita del "Messaggiero", i religiosi della basilica tentano un consuntivo: i dati offrono l'occasione per una "piccola soddisfazione", di avere raggiunto la cifra di quattromila abbonati. "Non è cosa da poco in soli due anni" commenta il direttore in un dialogo virtuale botta-e-risposta con i lettori. Una forma colloquiale che più avanti diverrà per qualche tempo un modo abituale di rivolgersi agli abbonati per accentuare lo stile popolare del bollettino.

          Da sottolineare, nei primi anni della rivista, una notevole forza polemica, sostenuta da una prosa a volte sottilmente ironica, altre pesantemente satirica, diretta a colpire i fenomeni che insidiano la fede e la vita religiosa degli italiani: il modernismo, la visione pagana della vita che allontanava masse di fedeli dalle pratiche religiose, l'influenza nefasta nella cultura e nella politica della massoneria... Pericolosi climi culturali che il "Messaggiero" fronteggia sia direttamente rilevandone la falsità, sia indirettamente elencando le testimonianze di quanti, irretiti nell'errore, hanno poi ritrovato la luce della verità. Gli interventi prima sporadici troveranno in seguito spazio in una rubrica titolata "Fiori, carboni... e altro".

Il passaggio del secolo

          Il "Messaggiero", che dal 1900 al 1903 è diretto dal padre Antonio Cattomio, si trova ad affrontare un evento che ora impegna e affascina anche noi: la fine di un secolo e l'avvento di uno nuovo, con tutta la carica di speranze che una simile occasione porta con sé. Segnaliamo subito una curiosità, ai più forse sconosciuta. Noi saluteremo la fine del 1999 e l'inizio del nuovo secolo e quindi del Terzo Millennio, la notte del 31 dicembre 1999. Cent'anni fa fu considerato il 1900 come ultimo anno del secolo XIX e il 1901 come il primo del nuovo. È stata perciò una sorpresa non trovare, nel numero di dicembre del 1899, alcun cenno al secolo che muore e auspici per quello che sta nascendo. Questo viene affrontato l'anno successivo, ma un po' sottotono. Eppure il secolo XIX era stato un secolo straordinariamente ricco di avvenimenti politici, sociali e culturali, tali da cambiare profondamente le sorti dell'Italia e dell'Europa. S'era aperto che splendeva fulgida (per l'interessato) la stella di Napoleone. Poi anche per lui valse la legge che chi troppo vuole... Dopo essere stato "due volte nella polvere, due volte sull'altar" (Manzoni) non si è più risollevato e il Congresso di Vienna aveva rimesso le cose come erano prima che lui le scompigliasse.

          Poi c'erano state le guerre di indipendenza: gli italiani erano riusciti a dare una unità, almeno formale, alla penisola, dalle Alpi alla Sicilia (anche se non da subito), segnando anche la fine dello Stato pontificio, cosa che i cattolici non gradirono... Poi c'era stata la rivoluzione industriale, seguita dalla crisi di fine secolo, le lotte di contadini e operai per la dignità del lavoro e la giusta ricompensa della loro fatica.

          Nel gennaio del 1900 un articolo, singolare nella forma e nei contenuti. Fr. M. G. dice: "Il 1899 non è più. Un anno ancora e più non sarà il secolo XIX. Il pensiero, che anche ai fulgidi tramonti dei soli più scintillanti suol velarsi ad una melanconia placida e serena; al tramonto del sole, che per l'ultima volta salutava l'anno morente, che a breve distanza saluterà pure la fine d'un secolo de' suoi languidi raggi della tinta pallida e sbiadita, sentiasi preso da una cupa tristezza e profonda. Ecco, io diceva tenendo fiso lo sguardo in verso l'occidente, ecco come i giorni finiscono, come gli anni sen vanno, come anche i secoli scompaiono! Questo sole che da quando fu acceso in Cielo, tanti secoli, tanti anni, tanti giorni rischiarò de' suoi fiammeggianti splendori, nel continuo avvicendarsi delle stagioni, tra gli orrori dei ghiacci e delle nevi, il rombo dei venti e delle bufe

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017