Il presepe in un’icona

In Russia il Natale si celebra il 7 gennaio ed è tornato a essere un giorno di festa.
03 Dicembre 1996 | di

La chiesa ortodossa russa celebra il Natale il 7 gennaio, avendo conservato il calendario introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. In epoca sovietica si è fatto di tutto per privare le festività  natalizie del loro significato cristiano: il Natale non era riconosciuto come giorno festivo. Si è attribuita, invece, maggiore importanza al capodanno, ricorrenza laica. Per i più piccoli, il bambino Gesù era sostituito da due figure della mitologia slava: Nonno Gelo, personificazione del freddo, una sorta di Babbo Natale, e sua figlia Sneguroka, una bella fanciulla scolpita nella neve, che si anima per magia.

Oggi, il Natale in Russia è tornato a essere un giorno di festa a tutti gli effetti. Con la riapertura di molte chiese e le nuove leggi sulla libertà  religiosa, le celebrazioni liturgiche si sono moltiplicate e i fedeli non corrono più alcun rischio. Ciononostante, l'aspetto commerciale del Natale prende spesso il sopravvento su quello più autenticamente religioso, a causa del materialismo comunista, che ha prodotto gli stessi effetti di quello capitalista.

In alcune comunità  e famiglie ortodosse, però, la poesia del Natale nasce ancora dalla commozione per il fatto che Cristo ha condiviso in tutto la sorte dell'uomo e lo ha fatto partecipe della sua natura. Commozione che si esprime nella bellezza delle celebrazioni e delle tradizioni popolari.

La chiesa ortodossa non conosce un momento di preparazione che possa essere paragonato all'Avvento, anche se il Natale è preceduto da un periodo di digiuno. Il Natale ortodosso è ricco di appuntamenti liturgici che occupano la giornata della vigilia. Al tramonto si svolge la veglia che comprende il Vespro, la lettura di brani dall'Antico Testamento e la celebrazione della Divina liturgica eucaristica.

Tutto il Mistero in un'icona

Presso gli ortodossi non c'è la tradizione del presepe, ma nel periodo natalizio campeggia in mezzo alla chiesa, su un supporto di legno, l'icona della Natività , ricca di simbologie e di riferimenti alle Scritture.

L'icona del Natale colpisce, innanzitutto, per la presenza di tre montagne, simbolo della Trinità . Quella centrale rappresenta Cristo. Nella parte superiore dell'icona, vi sono tre angeli: due guardano verso il cielo e uno si volge ai pastori: ancora un richiamo alla Trinità , la cui seconda persona si è chinata verso la creatura. I pastori incarnano il popolo che camminava nelle tenebre e viene rischiarato dalla luce di Cristo. I Magi sono gli uomini che, pur non appartenendo al popolo di Israele, sono cari al Signore. Essi prefigurano anche le donne che portavano aromi al sepolcro, perché, come queste, tornati a casa, corrono ad annunciare a tutti Cristo.

La grotta di Betlemme è rappresentata come una voragine nera, perché raffigura simbolicamente gli inferi. Fuori dalla grotta è distesa la Madre di Dio. La Vergine non volge lo sguardo al bambino, ma verso l'infinito, per custodire in cuor suo quanto di straordinario è avvenuto in lei. Tra la Madre di Dio e la grotta, posto nella mangiatoia, vi è il bambino. La mangiatoia ha l'aspetto del sepolcro e il bambino è fasciato a guisa di un morto. Le fasce simboleggiano le bende che Pietro, Giovanni e le pie donne trovarono nel sepolcro vuoto. Dalla dimora di Dio che sta sopra il firmamento, un fascio di luce, simbolo dello Spirito Santo, scende sul bambino e penetra la grotta: i cieli si inchinano nelle tenebre del peccato.

All'interno della grotta vi sono il bue e l'asino in adorazione di Cristo, ed esprimono il monito del profeta Isaia: «Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende» (Is 1,3).

San Giuseppe, in atteggiamento pensieroso, impersona il dramma dell'uomo di fronte al Mistero. Davanti a lui una figura di pastore, con in mano un bastone secco, incarna il dubbio. Secondo un inno della chiesa orientale, egli dice a Giuseppe: «...come questo bastone non può produrre fronde, / così un vecchio come te non può generare, / e, d'altra parte, una vergine non può partorire», suscitando così nel cuore del santo una tempesta di opposti sentimenti. Tra i due vi è un arboscello verdeggiante: è l'albero di Iesse e costituisce una risposta alle parole del pastore; Dio, infatti, non è schiavo delle leggi della natura e può far fruttificare anche una verga secca. Le pecore accanto a san Giuseppe rappresentano il creato stupito di fronte alla nascita del Signore. Nella parte inferiore dell'icona troviamo anche due donne che fanno il bagno al bambino: un episodio tratto dai vangeli apocrifi. Il bagno, un'azione puramente umana, rappresenta l'umanità  di Cristo. Questo gesto prefigura, inoltre, il battesimo di Cristo, la sua morte e la sua discesa agli inferi.

La manifestazione del Signore

Non è un caso che il battesimo per immersione, praticato tuttora nelle chiese d'Oriente, riproduca la storia della salvezza e il battezzato la percorra seguendo il Signore. Nel sacramento del battesimo essere immersi nell'acqua e risalire simboleggia proprio la discesa agli inferi e l'uscita da quella dimora assieme a Cristo.

Per questo stesso motivo, nella chiesa orientale la festa dell'Epifania, detta «Teofania», cioè manifestazione del Signore, celebra non tanto l'adorazione dei Magi, quanto il battesimo di Cristo nel Giordano.

Tra le celebrazioni legate all'epifania, perciò, assume particolare importanza la benedizione delle acque. Il rito, molto solenne, comporta una processione accompagnata dal canto dei celebranti e dei fedeli, fino al luogo in cui si svolge la benedizione: in Russia, molto spesso è un fiume ghiacciato. Seguono alcune letture dall'Antico e dal Nuovo Testamento e una serie di preghiere. Al termine del rito il celebrante immerge per tre volte la croce nell'acqua al canto dell'inno del giorno e tutti i presenti ne attingono. La stessa acqua viene poi impiegata per benedire le case e il bestiame. In passato, in Russia i fedeli usavano immergersi nelle acque gelide del fiume subito dopo la benedizione.

TRADIZIONI SEMPLICI E POETICHE

Alcune consuetudini natalizie sono legate alla vita della famiglia ortodossa contadina. La vigilia di Natale, di solito, non si mangia fino alla prima stella. Si prepara la kut'ja: un piatto ottenuto facendo bollire il grano con miele e frutta secca. La pietanza, poi, si mette sotto le icone, sul fieno, come dono a Cristo, nato in una mangiatoia. Infine, ci si reca in chiesa per il Vespro e la Liturgia.

La notte di Natale, almeno in passato, i giovani usavano passare di casa in casa mascherati, intonando canti popolari natalizi o inscenando sacre rappresentazioni, come la storia del re Castigamatti, un sovrano «buono» che mozza la testa al re Erode. Gli attori improvvisati ricevono dai padroni di casa qualche spicciolo o delle offerte in cibo.

In casa viene anche addobbato l'abete: una usanza pagana divenuta ben presto simbolo del Natale cristiano, tanto che in alcuni periodi dell'epoca sovietica era visto con sospetto. A Natale si rompe il digiuno: mentre per alcune settimane ci si era nutriti in prevalenza di pesce, ora sulla tavola compaiono piatti di carne, pasticci, minestra di cavolo e maiale, oca, porcellino con contorno di semolino.

Da sempre, nella chiesa ortodossa il Natale è anche un momento di richiamo a condividere i propri beni con i poveri, i mendicanti, che nella Russia prerivoluzionaria venivano chiamati gli «uccellini di Dio».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017