Il museo come luogo della memoria

C’è grande interesse in questi giorni attorno ai musei diocesani, istituzioni culturali per lo più ignorate, pur possedendo opera di assoluto valore artistico e culturale. Per convincere la gente a visitarli forse bisognerebbe farli diventare qualcosa di
10 Marzo 2002 | di

 Ovunque nel mondo i musei stanno vivendo un momento di gloria. Non tutti, ovviamente, solo quelli che un`€™interessata politica cultural-turistica getta nel calderone del consumismo di massa, per cui tutti vanno a vedere le stesse cose: estenuanti le code, contingentati gli orari che quasi mai consentono di ammirare il capolavoro inseguito come merita. Mentre c`€™è in Italia, un mondo infinito di opere bellissime, di documenti straordinari, conservati in piccoli centri, in musei periferici non inseriti nei giri del grande turismo che nessuno, o solo pochissimi conoscono e vedono.

Tra quelli dimenticati figura la gran parte dei musei ecclesiastici diocesani, che sono in Italia 820 (dati del 2001). Di diverso tipo: d`€™arte sacra, archeologici, naturalistici, missionari, etnografici. Altri 74 sono in allestimento. L`€™ultimo in ordine ala ribalta della cronaca, il museo di Ferrara, che lo scorso febbraio ha celebrato il suo trasferimento in un una nuova più funzionale sede: dalla cattedrale nei locali della ex chiesa e convento di San Romano. Il 5 novembre del 2001 era stato inaugurato il nuovo museo di Milano situato nei chiostri della basilica di sant`€™Eustorgio e a solennizzare l`€™evento c`€™era, accanto al cardinale Martini, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ma, spenti i fari della novità , restano per questo musei e gli altri una serie di problemi di non facile soluzione che vanno dall`€™onerosa gestione alla necessità  di dare ad essi un significato nuovo che renda importante la loro presenza nella comunità . Cosa che la Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa in un suo documento, La funzione pastorale dei musei ecclesiastici, ha così espresso: «Il museo ecclesiastico può diventare il punto di riferimento principale attorno a cui si animi il progetto di rivisitazione del passato e di scoperta del presente negli aspetti migliori e talvolta sconosciuti». Di questo abbiamo parlato con monsignor Giancarlo Santi, presidente della nominata Commissione.

 

Msa. Musei diocesani, musei ecclesiastici, musei religiosi... sono la stessa cosa o ha senso qualche precisazione?

Santi. Qualche precisazione ci vuole. I musei religiosi sono quelli il cui patrimonio è costituito da opere e testimonianze che riguardano la religione, qualunque religione, e possono essere sia privati che pubblici. I musei ecclesiastici sono di proprietà  della Chiesa intesa come parrocchie, diocesi, comunità  religiose, ordini, congregazioni... I musei diocesani raccolgono opere di proprietà  ecclesiastica provenienti dalla diocesi, gestiti dal vescovo attraverso i suoi tecnici.

Prendiamoli nell`€™accezione di musei diocesani: quanti sono in Italia?

I musei ecclesiastici in Italia `€“ dati del 2001 `€“ sono 820. Di diverso tipo: d`€™arte sacra, archeologici, naturalistici, missionari, etnografici... Il numero maggiore è di musei di arte sacra, dove per arte sacra si intende l`€™arte acquisita al culto e alla liturgia, Altri 74 sono in allestimento.

È possibile stabilire una data di inizio dei musei ecclesiastici?

I musei diocesani `€“ a parte alcune istituzioni più antiche come i musei vaticani, i tesori delle cattedrali, delle opere del duomo, legati alla storia della singola chiesa `€“ sono nati nel secolo ventesimo. Il primo a sorgere, per quanto mi risulta, è stato il museo diocesano di Bressanone, nel 1901, ancora uno dei più belli e meglio strutturati. Poi sono cresciuti di numero soprattutto negli ultimi vent`€™anni; solo nel 2000 se ne sono aperti, o hanno subito ristrutturazioni, ben 30.

Per quale scopo sono stati allestiti? Solo per conservare capolavori d`€™arte e testimonianze di altro genere e impedirne la dispersione o la rovina, o anche per qualcos`€™altro?

L`€™obiettivo immediato è di garantire una conservazione adeguata a opere destinate al culto che non possono restare, per ragioni di sicurezza o di condizioni climatiche avverse, nel luogo per il quale sono state create. L`€™arte sacra è per il culto, e può essere apprezza veramente solo nel contesto cui è destinata. Il museo è sempre un ripiego.

Una volta collocate nei musei, le opere d`€™arte dovrebbero consentire a chi le visita di riscoprire la storia religiosa e liturgica della diocesi e del luogo dal quale provengono.

Per il Giubileo si sono attuati molti interventi di ristrutturazione e rilancio dei musei diocesani: è stato solo perché qualcuno ha messo a disposizione dei soldi e bisognava approfittarne o per una nuova consapevolezza della loro funzione?

Certamente i musei non si possono istituire e conservare senza risorse finanziarie e di persone. Il Papa, in preparazione del Giubileo aveva chiesto alla Chiesa, di fare memoria, di coltivare la memoria sia per chiedere perdono che per rendere grazie a Dio del bene fatto e visto. I musei sono, allora, da pensare come istituzioni nate per non lasciar cadere i segni della memoria, ma per coltivarla anche nella lunga dimensione. La Chiesa ha una lunga storia alle spalle, il rischio della cultura contemporanea è di appiattirsi sul presente. Il museo è uno strumento che consente la contemplazione di capolavori dell`€™arte ma anche di ritrovarsi in sintonia con le generazioni che ci hanno preceduto, nei secoli e nei millenni.

Quali musei ne hanno tratto maggiori vantaggi?

Ci si attendeva molto dalla massa di persone mossa dal Giubileo. Se lo aspettavano soprattutto diocesi come Venezia, Milano, Firenze, Roma e gli stessi Musei vaticani. Poi si è scoperto, ma la cosa era prevedibile, che i pellegrini in queste occasioni anzitutto vanno nelle chiese a pregare e non a visitar musei. Non è che durante il Giubileo il numero dei visitatori sia sceso, ma l`€™incremento non è stato pari all`€™attesa. D`€™altra parte la preparazione dei pellegrini era stata di tipo spirituale, e la loro risposta è un segnale importante. Ciò non toglie che i musei diocesani stiano vivendo un momento felice, i dati sui visitatori sono positivi.

Ci sono musei diocesani con opere di assoluto valore eppure restano fuori dai grandi giri, è possibile fare qualcosa per farveli entrare?

Credo di sì. In verità  tutto il patrimonio culturale italiano soffre di questo. Solo alcune grande città  come Venezia, Firenze, Napoli, Palermo... sono nei circuiti del turismo di massa, ma poi la grande maggioranza dei luoghi e delle istituzioni culturali situati nei piccoli centri sono tagliati fuori. L`€™Italia pullula di questi piccoli centri ed è saggia politica cercare di inserirli nei giri del turismo. La situazione è conosciuta e l`€™ex ministro Paolucci, ad esempio, lo ha denunciato con chiarezza.

Gli operatori assecondano il turista, il quale privilegia in maniera quasi esclusiva i grandi centri perché ha poco tempo a disposizione e una mentalità  consumistica tipo mordi e fuggi. Credo che si debba impostare una politica turistica e culturale diversa, più propositiva. La Chiesa su questo non ha una forza particolare, ma può collaborare con operatori turistici e responsabili della politica culturale locale nazionale per instaurare meccanismi diversi che distribuiscano in modo razionale il turismo per far conoscere tutto il patrimonio e tutte le ricchezze del Paese.

Ricordo d`€™aver letto di una presa di posizione dello Stato italiano e dell`€™Unione europea contro il degrado del patrimonio dei beni culturali a livello diocesano: risponde al vero?

Il degrado del patrimonio monumentale e artistico c`€™è, indubbiamente, ma non riguarda solo quello ecclesiastico. I fattori di degrado ambientale non distinguono tra una proprietà  e l`€™altra, tra il Pantheon e San Pietro, per dire. Serve una politica più decisa a salvaguarda delle persone, dell`€™ambiente e dei monumenti. È inutile restaurare se dopo pochi anni tutto torna come prima.

Gestire un museo non è semplice, ci sono problemi organizzativi ma anche economici, questi ultimi determinanti. Un museo normalmente non riesce a autofinanziarsi, quali iniziative sarebbero utili per irrobustire i bilanci?

Sono assai pochi i musei che possono gestirsi autonomamente: per farlo hanno bisogno di notevoli risorse finanziarie e grandi flussi di visitatori. Per tutti gli altri la prima iniziativa utile è di lavorare «in rete», cioè utilizzare insieme, pur nel rispetto della propria autonomia, alcuni servizi che riguardino l`€™organizzazione, la gestione, la ricerca, e anche aspetti finanziari. Ciò consente un notevole risparmio di risorse umane e di soldi.

Poi: non bisogna avere paura di pensare al museo in termini anche «aziendali» sia pur con le dovute cautele: il museo come una piccola azienda, dove il bilancio non è una questione marginale, ma determinante. Se il bilancio è sempre in rosso, chi paga? Non è corretto scaricare gli sbilanci su altri, bisogna puntare al pareggio con politiche adeguate. Finora questa sensibilità  è mancata. L`€™economia non è nemica della cultura o dell`€™arte, al contrario... Anche il mecenatismo serve, ma è l`€™eccezione, non la normalità ; la normalità  sono i bilanci.

Si parla di aprire ai privati. Per qualcuno privatizzazione è la parola magica, l`€™«apriti sesamo» capace di risolvere tutto e sempre; altri mettono in guardia perché ai privati di solito interessa l`€™affare, un po`€™ meno la cultura: il pro e il contro di tale proposta?

La privatizzazione è uno strumento che trasferisce a un soggetto diverso la gestione del museo. Ma i privati accettano di gestire qualcosa se hanno la speranza che il capitale investito sia remunerativo, nessuno si impegna in un`€™impresa se non con la certezza ragionevole di guadagnare. Ma quali dei nostri musei garantiscono tali speranze? Non vedo in giro privati disposti a lavorare in perdita. Una qualche forma di privatizzazione per gestire alcuni servizi può essere attuata, ma penso che la cosa migliore per da fare per ora sia un trapianto di mentalità  privatistica, aziendale in chi ha in mano musei di ogni tipo.

Battere cassa allo Stato è possibile e conveniente?

Lo Stato qualche cosa dà , ma ad esso si dovrebbe anzitutto chiedere il riconoscimento del ruolo di tali istituzioni e, se mai, di agevolare la loro attività  con sgravi fiscali che «premino» chiunque le voglia sostenere. Esiste già  qualcosa in proposito, ma il cammino è complicato perché c`€™è sempre il rischio della frode.

Ha l`€™impressione che le comunità  cristiane, clero e fedeli, abbiano interesse e amore per i loro musei o li sopportino con indifferenza?

Per ora le comunità  cristiane non amano né odiano i loro musei, semplicemente non li conoscono. Nella mentalità  comune il museo non è istituzione popolare ma è destinato a ceti elevati. Per portare una persona al museo si fa una certa fatica, non c`€™è da scandalizzarsi, non è come portarla al cinema.

Occorre allora far sì che il museo venga apprezzato anche da persone comuni, ciò è possibile se si comincia a comunicare con la gente, tenendo conto delle loro domande, dei loro interessi, del loro modo di guardare e vivere quegli spazi...

Tocca ai musei convertirsi e diventare istituzioni della gente. L`€™arcivescovo di Milano, il cardinale Martini, suggerisce di fare del museo diocesano il museo dei cresimandi, cioè il luogo dove i ragazzi vanno a scoprire la storia della comunità  di cui, con il sacramento della confermazione, entreranno a far parte in modo più attivo, I musei sanno dare il senso di una Chiesa calata nella storia e nella geografia? È una bella sfida e un bell`€™impegno, ma solo se diventeranno questo, saranno conosciuti e amati dalla popolazione.

Se lei dovesse convincere qualcuno a visitare un museo diocesano, a quali argomenti farebbe ricorso?

Semplicemente lo inviterei alla scoperta della dimensione storica della nostra realtà  di Chiesa. Il punto di riferimento più immediato è l`€™aspetto estetico, ma esso va collegato con la nostra storia, che può essere agevolmente ripercorsa attraverso le opere d`€™arte e altre testimonianze che il museo conserva. Questo proporrei, ma è chiaro che per svolgere questo compito occorrono mentalità  nuova, nuove guide e nuovi servizi.

 

Il museo diffuso. Il museo diocesano di Milano, diretto da Paolo Biscottini e organizza­to secondo i criteri più aggiornati in materia e munito degli strumen­ti tecnologici più avanzati, è stato concepito anche nel modo nuovo cui accenna monsignor Santi nell`€™intervista: cioè non come deposito statico opere e di documenti, ma come centro di attività  culturali, adat­to sia a ospitare mostre sia a conservare l`€™archivio diocesano, ma anche per promuovere iniziative rivolte alle scuole e al pubblico. Organizza esposizioni nell`€™edificio museale ma anche in altri luoghi della diocesi. Per presentarsi come luogo della memoria ha proposto un percorso per far conoscere, a cominciare da sant`€™Ambrogio, le storiche chiese milanesi e con esse la storia del cristianesimo in diocesi. Le informazioni reperibili sul posto, era possibile, attraverso postazioni informatiche, avere una panoramica delle altre chiese.

 

Musei in rete. Un esempio di musei in rete lo si trova in Toscana. Il museo diocesano di Santo Stefano al Ponte, a Firenze, inaugurato nel 1996, è stato concepito sia come luogo in cui accogliere opere provenienti da chiese abbandonate o per altri versi in sofferenza, ma anche come centro di una rete di piccoli musei locali: quelli di S. Martino a Gangalandi, Lara di Signa, Tavarnelle, Impruneta, S. Casciano, Vicchio, Empoli. Inseriti in edifici ecclesiastici i musei si avvalgono di servizi comuni, sono gestiti in accordo con le amministrazioni comunali o con sponsor privati.

 

Alcuni tra i più belli. Se il più antico è quello di Bressanone (1901) nel quale spicca una splendida raccolta di presepi, meritano attenzione quello di Trento, databile anch`€™esso agli inizi dello scorso secolo, ha trovato di recente sistemazione definitiva in un`€™ala del Palazzo Pretorio: alle ricche raccolte di opere locali si aggiungono quella di scuole vicine: veneta, padana e austriaca. Conserva importanti documenti del Concilio tridentino. È aperto a eventi culturali e ha un laboratorio di restauro. Anche il museo di Brescia, ospitato nei chiostri del complesso di san Giuseppe, ha una notevole quantità  di opere: 130 tele dal XV al XIX secolo, suppellettili sacre, una Summa theologica di san Tommaso del XII secolo... Splendidi anche i musei diocesani di Bergamo, Udine, Vittorio Veneto, Genova, Ancona, Osimo, Velletri, Cortona, che ha in mostra la celebre annunciazione del Beato Angelico, Velletri, Catania, Palermo...

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017