Il genio del colore che amava la Bibbia

Una grande mostra dedicata a Chagall è in corso fino al 4 luglio a Torino, alla Galleria di arte moderna, mentre a Genova fino al 25 luglio sono esposte le sue opere sulla Bibbia.
26 Maggio 2004 | di

Mi sveglio disperato / per il nuovo giorno, per i desideri / ancora non disegnati, / non ancora coperti di colori. / E corro lassù, / ai miei pennelli secchi. / E come il Cristo vengo crocifisso.... Sono parole forti che Marc Chagall scrisse tra il 1945 e il 1950. Sono versi che danno però già  conto di alcune matrici, di alcune caratteristiche insite nel Dna del pittore russo: l'ebraismo, la Bibbia, l'amore, la libertà . E ancora alle sue parole ricorro per descrivere questo genio dal talento smisurato: L'amore per tutto il mondo - diceva - è la cosa più importante, come pure la libertà .
Libertà  che per lui volle dire anche autonomia rispetto ai pur forti e coinvolgenti richiami delle avanguardie artistiche europee che il Novecento produsse: l'astrattismo, il cubismo, il surrealismo...
Marc Chagall nacque il 7 luglio 1887 a Lyozno, nei pressi di Vitebsk, la città  triste e gaia che troviamo in moltissimi suoi quadri. I suoi genitori erano ebrei russi, commercianti, poveri e tradizionalisti; il nonno era rabbino. Chagall ricevette un'educazione ebraica, ma non fu mai un talmudista dogmatico e non poteva esserlo dedicandosi alla creazione di immagini, attività  che il Talmud vieta. La madre lo salvò da una carriera di contabile accompagnandolo presso l'atelier di un pittore locale, mentre il padre gli gettava sul tavolo i ventisette rubli con i quali lo licenziava, disapprovando in pieno le inclinazioni del figlio, come quasi sempre accade agli artisti.
Marc aveva un viso mite e adatto a un clown del circo o forse a un poeta, frutto - scriverà  nella sua biografia - di uno strano mescolarsi di vino pasquale, farina d'avorio e petali rosati. Disattento, svagato, malinconico, poco propenso al rigore del rabbino, ma certamente incline alla fascinazione dell'arte.
Nel 1907 Chagall lasciò Vitebsk per Pietroburgo, e tre anni dopo lasciò la Russia per Parigi. La capitale francese era una tappa obbligata per chiunque volesse dipingere: lì incontrò la bohème artistica internazionale: Léger, Modigliani, Soutine. Espose, lavorò, creò. Nel 1914 decise di rientrare in Russia per un viaggio che doveva essere breve. In realtà , la guerra scombinò i suoi piani e il soggiorno nel Paese natale si protrasse per anni, anni destinati a cambiare anche la sua pittura.
Marc nel 1915 si sposò con Bella che era stata e sarà  una sua musa ispiratrice; un anno dopo nacque la figlia Ida. Ma accanto agli eventi privati, altri di portata mondiale entravano in casa di Chagall: allo scoppio della rivoluzione d'ottobre, nel 1917, è nominato responsabile per le Belle arti del governatorato di Vitebsk (Majakovskij lo era per la poesia), ma poi la moglie lo indusse a lasciare l'incarico. Lavorò al teatro ebraico di Mosca e poi tornò in Europa, a Berlino e a Parigi, nel 1922. Approdò negli Stati Uniti nel 1941 in fuga dagli orrori della guerra e dalle persecuzioni razziali e lì, nel settembre 1944, morì Bella. Allora, come una musica di flauto, Chagall avvertì forte il richiamo dell'Europa e così, nel 1950, ritornò definitivamente in Francia, stabilendosi in uno dei posti più amati dagli artisti di tutto il mondo: Vence, nella dolcissima Provenza (morirà , Chagall, all'età  di 98 anni, proprio a Saint Paul de Vence). Lì, quella che poteva essere un'esistenza volta al declino, riservò ancora tante sorprese e vitalità ; Marc si dedicò a tecniche mai sperimentate prima: ceramiche e vetrate artistiche e, sotto il profilo biografico, bisogna segnare che nel 1952 sposò Valentina Bodskij, inaugurando con lei una nuova stagione ricca di viaggi in Italia, in Grecia, in Israele e, naturalmente, di opere ed esposizioni.
Per rendere omaggio a questo maestro del Novecento, centocinquanta opere fra le maggiori sono esposte a Torino nelle sale della Galleria di arte moderna, nel tentativo, riuscito, di offrire una lettura completa di uno dei più grandi maestri del secolo scorso. La mostra Chagall. Un maestro del '900 si svolge, tra l'altro, a cinquant'anni di distanza dalla retrospettiva che Torino accolse a Palazzo Madama e che l'artista curò personalmente, dopo il suo ritorno dall'esilio americano. L'esposizione, che è stupefacente per la quantità  e la qualità  delle opere esposte, è stata voluta da Città  di Torino, Regione, Torino Musei, Crt, ArtficioSkira e durerà  fino al 4 luglio. Mentre l'anno prossimo si apriranno, a Mosca e a San Pietroburgo (uno tra i più importanti musei prestatori), manifestazioni di grande rilievo.

Opere attorno al sacro

Chagall diceva di sé: Io sono un mistico. Io non vado in chiesa o in sinagoga. Per me lavorare è pregare. E già  questo è un proclama non da poco, che potrà  forse suscitare anche clamore o dissenso, ma è pur vero che la pittura di Chagall è intrisa di simboli e di temi religiosi ed è chiaro che le sue origini ebraiche non furono mai offuscate né offuscabili. Subì forse l'influsso dello hassidismo che puntava più sull'espereinza mistico irrazionale e sul valore della vita quotidiana che sui precetti. Scrisse in yiddish le sue memorie poi note nella versione francese Ma vie.
Nel 1930 egli cominciò la serie di tempere su tema biblico (fu lui a proporre a Vollard l'idea) cui si dedicò fino al 1956, e per realizzare le quali si recò anche in Palestina. Non bisogna dimenticare che, contemporaneamente, il regime nazista proclamava l'antisemitismo politica di Stato e iniziava l'ondata di persecuzioni (nel 1935 Chagall stesso fu testimone di un pogrom antiebraico in Polonia). La drammaticità  degli eventi in Europa, la paura per gli ebrei perseguitati è evidente, per esempio, nella Crocefissione bianca (1938): la sinagoga in fiamme, Vitebsk distrutta, il vecchio in fuga con il rotolo del Testo Sacro e in croce c'è Gesù rappresentato come un ebreo martirizzato e sotto la croce il candelabro ebraico dalle sette braccia.
Chagall è forse l'autore del Novecento che più si dedicò a temi religiosi: pensiamo a quante crocifissioni realizzò, a cominciare dal Golgota (1912), alla simbologia ebraica ricorrente nei suoi quadri. A Gerusalemme realizzò per la Knesset tre grandi arazzi su La profezia di Isaia, L'esodo e L'entrata a Gerusalemme. Nella sala da concerti del museo di Nizza egli dipinse La creazione del mondo, mentre, sempre a Nizza, gli venne dedicato il Museo Nazionale del Messaggio Biblico. E ancora, realizzò vetrate per la cappella dei penitenti di Sarrebourg.
Chagall, sempre fedele a quella libertà  di cui si parlava all'inizio, riuscì a creare un'arte ebraica moderna, imponendosi come artista (non come artista-ebreo, sottolinea Jean Michel Foray) e tuttavia alla Bibbia continuò a far riferimento poiché era nelle pieghe più recondite di sé. In fondo, la sua vera sfida fu quella di proporre al mondo il Libro Sacro quando il mondo non ne voleva sentir parlare.
Però anche nei temi religiosi Chagall rimase libero. Vi si cimentò in quanto artista depositario di una rivelazione sovrannaturale, confuse le carte, giocò con i simboli desunti da contesti diversi e i risultati sono stupefacenti. Si veda, per esempio, il trittico Resistenza, Risurrezione, Liberazione, che è del 1937-'48 ed è esposto a Torino.
In ciascuno dei tre pannelli c'è il pittore come un io narrante e testimone della storia e la figura del Cristo neanche questa volta rimanda al cristianesimo, ma è presa come simbolo universale della sofferenza umana. Ci sono dentro i ricordi d'infanzia, i ricordi della rivoluzione d'ottobre, lo spettro del nazismo, donne afflitte e animali volanti.
Anche La caduta dell'angelo (1934) è una terrificante metafora e un rabbino fugge tenendo in mano i sacri testi. L'angelo rosso che precipita rappresenta l'Europa devastata dall'orrore e dalla guerra.
Chagalldipinse anchepatriarchi, re, profeti, come un mondo che esisteva veramente accanto a lui: bellissimi il Re David (1951) o il Re David in blu (1968) anch'essi visibili a Torino.

Tra clown e saltimbanchi

Chagall fu affascinato anche dallo spettacolo circense. Ho sempre considerato i clowns - scriveva - gli acrobati e gli attori come esseri tragicamente umani che, per me, potrebbero assomigliare ai personaggi di certi dipinti religiosi. E, in effetti, i suoi quadri sul circo sono colmi di dolore, di pathos.
Per trovare la leggerezza, la levità , l'allegria andiamo a guardare Sopra la città  (1914-18) o La passeggiata (1917-1918) che celebrano la felicità  coniugale, la gioia di vivere con Bella. Lui e lei esili, leggeri, felici.
Ma a salvare veramente Chagall fu solo l'arte: guerre, persecuzioni razziali, rivoluzioni ideologiche lo attraversarono senza distruggerlo, come i suoi amici artisti martiri: Ecco che ora si trascinano cenciosi /i fratelli d'Israele, di Pisarro, di Modigliani, fratelli nostri. Con la corda al collo, / i figli di Dà¼rer, di Cranach e di Holbein li accompagnano a morire nei crematori.
Mi interpellano: Dove sei stato?, e quasi si scusava dicendo:Sono scappato (Ai nostri artisti martiri, 1959).
Fu la tavolozza, intesa come religiosità  senza limiti, a salvarlo e a farne un genio universale.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017