Il futuro in mano a tante piccole donne

Analfabete, sfruttate, emarginate: sono le bambine delle zone rurali dell'India. Nessuno scommetterebbe su di loro. Ma per i missionari rappresentano il futuro. E noi ci abbiamo scommesso.
28 Luglio 2005 | di

Nell'India delle caste - rigida struttura sociale che non permette a chi sta nei gradini più bassi nessuna possibilità  di risalire - lo strato di popolazione più fragile ed emarginato del Paese è donna, vive in zona rurale, fa parte dei senza casta o delle originarie tribù indiane. Cittadine senza diritti e senza storia, all'85 per cento analfabete, impiegate come schiave nelle case dei signori o come braccianti nei latifondi, vittime di violenze, abusi, esclusione sociale.
Per sollevare le sorti di queste donne, la Caritas antoniana ha di recente finanziato due progetti nello Stato dell'Andra Pradesh (India del Sud) con lo scopo di favorire l'accesso alla scuola e la promozione umana e sociale delle donne rurali.
I due progetti, nati indipendentemente l'uno dall'altro, hanno in comune più punti: sono un frutto della poverissima Chiesa locale e hanno al centro la donna, vista come vero motore di sviluppo per l'intera comunità . «L'istruzione di un uomo migliora la sua vita - ci ha spiegato padre Java Raju, promotore di uno dei progetti -. L'istruzione di una donna migliora la vita di tutta la famiglia».

A pieno ritmo l'ostello di Jadcherla

La zona intorno al villaggio di Jadcherla, nel distretto di Mahbubnagar, è arida e difficile da coltivare. Dista solo 100 chilometri dalla capitale dell'Andra Pradesh, Hyderabad, ma sembra lontana e arretrata come fosse all'altro capo della terra. «Qui il 20 per cento della popolazione appartiene alle etnie tribali - afferma padre Java Raju, parroco di Jadcherla -. Da quando sono arrivato, nel 1983, ho girato in lungo e in largo l'entroterra e la situazione dei tribali è disperante. Mi sono reso conto subito che l'unico modo di aiutarli è mandare i loro figli, e soprattutto le loro figlie, a scuola».
Cosa più facile a dirsi che a farsi: le scuole di Jadcherla distano dai villaggi tra i diciassette e i cinquanta chilometri, i bambini servono nei campi, nella cura degli animali o nelle faccende domestiche e c'è solo il necessario per riempire i patti. Genitori poveri e analfabeti come possono comprendere l'importanza della scuola? «Come Chiesa dovevo farmene carico. Proprio qui dove le caste ricche calpestano quelle povere. Il Vangelo parla di uguaglianza, di speranza, di dignità . Non ringrazierò mai Dio abbastanza per avermi affidato questo compito».
Padre Raju cominciò in sordina. Costruì delle baracche alla missione e ospitò i primi cinquanta bambini e bambine, per seguirli da vicino, per mandarli a scuola, per insegnare loro a sperare, a lottare, ad amarsi. Il numero cresceva di anno in anno. Fino a quando quelle catapecchie, ormai fatiscenti, arrivarono ad ospitare 375 piccoli tra i 5 e i 15 anni. Di questi, 250 erano bambine. «Dovevo trovare una soluzione. Non c'era spazio vitale, aule, refettorio, sale studio. Crescevano i problemi igienici ma anche quelli di privacy per le piccole. L'unica soluzione era costruire l'ostello per le ragazze e i servizi che ci occorrevano».
La richiesta d'aiuto raggiunse la Caritas antoniana alla fine del 2001. Fu deciso uno stanziamento di 45 mila euro, da erogarsi in tre rate annuali, seguendo l'avanzamento dei lavori. Il 26 gennaio del 2004, l'ostello per le ragazze era una realtà . Oggi lavora a pieno ritmo: «Riusciamo a impartire a queste bambine una educazione di qualità , pari a quella delle loro compagne in città . Aumenta la possibilità  di continuare gli studi superiori e di trovare lavoro. I genitori stanno cambiando atteggiamento. Prima dovevamo convincerli a mandare le figlie a scuola, ora ce le portano loro. Le salviamo dalla strada, dalla violenza, dallo sfruttamento. A voi devono il loro futuro».

A Bhimadole  le «perle» di suor Leema

A Bhimadole, nel distretto di West Godavari, a Nord est dello Stato dell'Andra Pradesh, la richiesta di aiuto ci arrivò con un coro di voci: «Sono Ushanani, frequento la terza classe. Mio padre è morto di cancro, mia madre è gravemente malata. Il mio fratello più piccolo ha tre anni. Viviamo con i guadagni di mia nonna, che fa la serva».
«Sono Sujatha, non ho padre né madre, né alcuno che si prenda cura di me, I miei - scrive Baby - si sono divisi e si sono rifatti una vita. Io sono rimasta con i nonni, che non riescono più a starmi dietro. Faccio la quarta».
Sono loro le perle preziose di suor Leema Joseph delle Sorelle di san Giuseppe, ordine francese sorto a Saint Marc nel 1845. Perle in formazione, difficili da coltivare e sempre a rischio di disperdersi nel mare dell'abbandono, della violenza e dell'emarginazione. «Solo dopo dieci anni di lavoro a un progetto di sviluppo in trenta villaggi rurali, promosso dai frati vincenziani, ci siamo rese conto che l'istruzione delle ragazze sarebbe stata una svolta per la nostra gente. Era incredibile, nell'era del computer, trovare villaggi in cui neppure una donna era in grado di leggere e scrivere, mentre proprio da loro dipendeva il futuro dei figli e di questo Paese. L'indignazione divenne sfida: Volevamo costruire un ostello gratuito per le bambine abbandonate, violate o sfruttate ma anche per le ragazze che avevano la stoffa per continuare gli studi. L'unica scuola superiore è qui a Bhimadole, ma dista dai villaggi tra i quattro e i dodici chilometri».
Suor Leema spedì lettere a molte istituzioni internazionali: ma evidentemente le sue perle non interessavano a nessuno. Si stupì alquanto, quando proprio Caritas antoniana accettò di donare 24 mila euro per la costruzione dell'ostello: «Ci avete incoraggiato quando la nostra speranza ormai veniva meno. Per obbedienza dovrò lasciare Bhimadole e le mie ragazze. L'ostello per loro è il mio ultimo sogno qui. Dio fa cose meravigliose».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017