Hospice: al servizio del malato

Assistere un malato terminale significa, soprattutto, ascoltare i suoi bisogni.
11 Gennaio 2003 | di

Sono anni che si parla di cure palliative ma per ora, nella maggior parte dei casi, la cura dei malati terminali resta sulle spalle della famiglia e dei volontari. E, sebbene una legge del febbraio 2001 semplifichi, dal punto di vista burocratico, la somministrazione di farmaci contro il dolore, morfina compresa, l`€™Italia resta uno dei Paesi del mondo dove si fa minor uso di queste sostanze.

Eppure, quando non si lotta più per allungare la vita, si può fare ancora molto per migliorarla. Non solo con la terapia del dolore, ma anche con la prevenzione e la cura di piccoli e grandi disturbi: dalla nausea all`€™insonnia, dall`€™inappetenza alle piaghe da decubito.

Hanno cominciato, parecchi anni fa, alcune associazioni no profit (per esempio la Vidas), organizzando équipe di medici, infermieri e volontari che sostenessero a domicilio i malati soli e le famiglie disposte ad assisterli a casa. Poi si sono mosse anche le istituzioni: in un decreto ministeriale del 2000, firmato dall`€™allora ministro della Sanità  Rosy Bindi, si stabilisce un Programma nazionale per le cure palliative.

Nella maggior parte delle regioni, tuttavia, esistono solo centri per la terapia del dolore o unità  di cure palliative collegate alle unità  di anestesia e terapia intensiva degli ospedali.

Le carenze dell`€™assistenza

Anche la cosiddetta Adi (Assistenza domiciliare integrata), attivata dalla Asl su richiesta del medico di famiglia, non sempre e non ovunque funziona come dovrebbe. Le differenze tra regione e regione si fanno abissali quando a casa non è più possibile garantire al malato le cure necessarie. I cosiddetti hospice sono centri destinati all`€™accoglienza di malati terminali, in genere con una decina di posti letto: qui si lenisce la sofferenza fisica e si assicura un sostegno psicologico, ma si fa anche in modo che i malati possano avere i cibi a loro più graditi, all`€™ora che preferiscono, senza i sapori e i ritmi di un ospedale comune. Qui non è il malato che si deve adattare alla struttura, ma la struttura, e gli operatori, che cercano di adattarsi alle esigenze del malato, alleviando in ogni modo il suo disagio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017