«Ho visto la luce negli occhi dei bambini»

Lorella Cuccarini ci racconta il suo viaggio a Uswetakeiyawa, nello Sri Lanka e a Goma, in Congo.
23 Novembre 2006 | di

Lorella Cuccarini non è solo la bionda soubrette che «buca» lo schermo con il suo fascino, la prorompente simpatia e la professionale bravura di ballerina, cantante, attrice e intrattenitrice in spettacoli leggeri ma sempre intelligenti e gradevoli. È anche una donna maturata dalla sofferenza personale e dall’impegno solidale verso chi dalla vita ha avuto «niente o meno di niente», come lei stessa dice.
Testimonial (e uno dei fondatori) di Trenta Ore per la Vita, la lunga maratona televisiva che bussa al buon cuore degli italiani, è andata a conoscere la dura realtà nella quale il Vis (Volontariato internazionale di sviluppo, vincitore del Premio internazionale sant’Antonio 2004) e i salesiani da tempo lavorano, sostenuti anche dalla generosità dei telespettatori, per dare un futuro a tanti bambini abbandonati.
Lorella ci racconta il suo viaggio nello Sri Lanka e nel Congo, tra i bambini più poveri del mondo. Ce ne parla con semplicità, la voce di tanto in tanto incrinata dall’emozione. «Quando i volontari del Vis mi hanno proposto di accompagnarli per testi-moniare quanto i salesiani hanno realizzato per i bambini più poveri del mondo, non ho esitato. Il viaggio è stato intenso e indimenticabile. Prima tappa, la città di Negombo, nello Sri Lanka, distrutta due anni fa dallo tsunami. Conservavo nella memoria immagini di distruzione e di morte che quasi non credetti ai miei occhi quando, a Uswetakeiyawa, ho visto il «Bosco Sevena», un grande Centro che ospita uno stuolo di bimbi abbandonati e orfani. Lì, in un luogo accogliente e ospitale, i ragazzi hanno trovato una casa, possono mangiare regolarmente, studiare e imparare un mestiere, in un ambiente che cerca di riprodurre le dinamiche di aiuto e di solidarietà della famiglia. Nei loro occhi ho letto la gioia di vivere, che sta cancellando i ricordi della tremenda sciagura.
«Padre Felix, direttore del Centro, mi ha confessato che non è stato facile uscire dall’incubo, ed è ancor più difficile uscire da altri incubi. Infatti, una delle piaghe più devastanti per questi bambini è lo sfruttamento sessuale, praticato da turisti provenienti da Paesi occidentali. E questa è una sciagura peggiore dello tsunami e dell’abbandono. Le amare constatazioni di padre Felix mi hanno fatto vergognare di essere occidentale».


Questi incontri ti segnano la vita
Lorella si ferma un attimo, quasi per allontanare lo sgomento che quelle rivelazioni hanno suscitato. Poi riprende a raccontare velocemente, inseguendo i ricordi del viaggio che fanno ressa nella memoria. «Dallo Sri Lanka ci siamo trasferiti nel Congo, cuore profondo dell’Africa. Il programma prevedeva una sosta di quattro giorni al “Centre des Jeunes” (Centro giovanile) del quartiere di Ngangi, periferia di Goma».
Lorella ci mostra una serie di foto nelle quali lei appare attorniata, quasi sommersa, da decine e decine di bambini festanti: è senza trucco, in jeans e maglietta, e sorride contagiata da tanta gioia. «Quando siamo arrivati a Goma – prosegue –l´impatto è stato incredibile: millecinquecento ragazzini tra gli uno e i diciassette anni ci hanno accolto con canti e battiti di mani. L’emozione è stata davvero fortissima».
Lorella è anche mamma (di quattro figli), naturale allora chiederle che cosa abbia significato per lei incontrare questi bambini: «Un’esperienza così – risponde – ridimensiona un po’ tutto e riporta la vita ai valori essenziali e importanti. È molto difficile per noi definire che cosa è la povertà in Congo. Il nostro concetto di povertà lì non può essere applicato, semplicemente perché tantissima gente non ha avuto niente dalla vita, anzi, ha avuto meno di niente e ti chiedi come possano delle persone sopravvivere con questo “meno di niente”. Ma in tutte le persone che ho incontrato, sia adulti che bambini, ho notato il piacere di condividere questo “meno di niente”. Ho visto negli occhi dei bambini una luce che, francamente, non riesco a vedere sempre in quelli dei miei figli. Questo viaggio mi ha fatto capire che quanto noi genitori diamo ai nostri figli per compensare il poco tempo che concediamo loro o un affetto sbrigativo perché abbiamo mille cose da fare, è un palliativo: è solo l’amore che fa accendere di luce gli occhi dei bambini. Per quattro intensi giorni al “Centre des Jeunes” di Ngangi, sono sempre stata attorniata da bambini che, sorridendomi, chiedevano una carezza, un momento di gioco, un canto».


Quella piccina sempre attaccata ai miei jeans
Difficile ricordare un episodio particolare, ma Lorella conserva nel cuore, tra i mille volti, quello di una bambina. «Ricordo con tenerezza una piccola che mi si è letteralmente attaccata addosso. Ovunque andassi, dalle sette del mattino sino a quando, la sera, si spegnevano le luci e si andava a dormire, lei era attaccata ai miei jeans. E poiché aveva difficoltà a camminare, spesso la prendevo in braccio per non farla stancare troppo. Ricordo ancora bambini recuperati dalla strada, dove erano stati abbandonati come rifiuti; altri trovati sotto i corpi inerti delle mamme che, prima di morire, avevano cercato in qualche modo di proteggerli; altri ancora sottratti ai guerriglieri, che li avrebbero trasformati in soldati, o liberati dalle organizzazioni criminali locali. La cosa stupenda è che tutti questi ragazzi e bambini del Centro si aiutano a vicenda, costituiscono una grande famiglia, nella quale i più grandi accudiscono i più piccoli. Certo, è strano pensare a una famiglia composta da millecinquecento persone. Ma dove c’è amore tutto è possibile».
Lorella tornata da questi viaggi, che cosa ha raccontato ai suoi quattro figlio? Glielo abbiamo chiesto.
«La figlia più grande ha dodici anni e riesce a riflettere su queste cose, per cui è rimasta profondamente colpita da quello che le ho raccontato, anche perché nella sua scuola si parla di queste realtà. I più piccoli, invece, fanno fatica a credere a situazioni di questo tipo. Non può essere vero per loro che da qualche parte del mondo si stia male, non ci sia da mangiare, manchi la corrente elettrica o l’acqua calda. Per loro le guerre, le situazioni difficili sono come nei film, pura finzione. Prima o poi si renderanno conto che non è così. Per questo credo sia importante parlare con loro di quanto accade, ovviamente con un linguaggio adatto:li si aiuta a prendere un po’ alla volta le distanze da tante cose delle quali pensano di non poter assolutamente fare a meno».
Chiediamo, infine, a Lorella che cosa porterà sempre nel suo cuore di quel viaggio.
«Ripensando a quanto ho visto – ci dice –, credo di non aver mai incontrato bambini felici come quelli ospitati nei Centri salesiani. Lì ricominciano a vivere e a sperare in un futuro. Ho avuto modo di toccare con mano il lavoro dei volontari e degli operatori, che ogni giorno si occupano di questi figli di nessuno. Certe emozioni mi accompagneranno per il resto della vita: tutto ciò che ho visto mi ha aiutato ad aprire la mente. Sono tornata a casa diversa, consapevole che insieme potremo cambiare molte cose del mondo, se solo riusciremo a cambiare prima noi stessi».       

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017