Globalizzazione sì ma della solidarietà

Il parere del cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, sulla povertà nel mondo, debito estero dei Paesi poveri, consumismo, no global e altro ancora.
30 Marzo 2005 | di

La simultanea presenza, nell'era della globalizzazione, di una degradante miseria per la maggioranza del genere umano e di una opulenza senza precedenti per pochi privilegiati pone di fronte a fondamentali questioni etiche e pratiche. Il problema non è rinunciare alle conquiste della scienza e ai vantaggi della tecnologia, né agli incontestabili benefici che derivano dal vivere in società  aperte, ma come far buon uso della liberalizzazione dei rapporti economici e dei risultati del progresso. Ne abbiamo parlato con il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, che a questi temi ha dedicato molti interventi.

Msa. Eminenza, sconfiggere la miseria è la prima sfida cui rispondere. La comunità  internazionale si è data come obiettivo del Millennio quello di dimezzare, entro il 2015, il numero di persone che vivono in povertà . Pensa sia raggiungibile?
Martino.
La sfida indubbiamente fa tremar le vene e i polsi, ma è altrettanto ultimativo accettarla e applicarsi a vincerla. I dati sono impressionanti e l'allarme esplicito: il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri è sempre più profondo; solo 22 Paesi del mondo, ovvero il 14 per cento della popolazione del pianeta, controllano circa la metà  del commercio mondiale e più della metà  dell'investimento diretto estero; i flussi netti dell'aiuto dei governi allo sviluppo sono diminuiti o comunque lontani dal raggiungere l'obiettivo dello 0,7 per cento promesso trentacinque anni fa, restando fermi a una media non superiore allo 0,23 per cento. La globalizzazione può e deve essere cambiata, cominciando proprio dal tener fede a quell'impegno di dimezzare la povertà  entro il 2015 con un nuovo governo della globalizzazione, prima che la collera dei poveri esploda violentemente. È necessario l'impegno di tutti, ma specialmente dei Paesi del benessere, perché non si indurisca il loro cuore e la benedizione si converta in maledizione!

Lei accennava alla necessità  di rivedere i meccanismi dell'economia globalizzata nel senso di rispondere più concretamente al principio centrale della Dottrina sociale della Chiesa: quello della destinazione universale dei beni della terra. Qualche indicazione?
Per realizzare una globalizzazione equa che crei pari opportunità  per tutti occorre anzitutto un'azione concentrata sulle giuste aspettative delle persone, nel rispetto della loro identità  culturale e autonomia, con assicurazione di un lavoro dignitoso, senza discriminazione tra uomo e donna. Una globalizzazione giusta deve inoltre poggiare sulle colonne portanti, interdipendenti e sinergiche, dello sviluppo economico e sociale e sulla protezione ambientale a livello locale, nazionale, regionale e mondiale. Si impongono, poi, mercati produttivi ed equi; regole giuste che, oltre a offrire uguali opportunità  di accesso a tutti i Paesi, riconoscano le differenze nelle capacità  e necessità  di sviluppo di ogni Paese; solidarietà  e partenariati più stretti; un sistema dell'Onu più efficace in vista di una multilateralità  più forte e più dinamica; l'aumento degli aiuti pubblici allo sviluppo in vista del raggiungimento degli obiettivi del Millennio.

La globalizzazione della solidarietà  sollecitata dal Papa come risposta alla globalizzazione puramente economica è davvero una strada percorribile?
Questa felicissima espressione di Giovanni Paolo II è veramente la chiave di volta per una globalizzazione giusta e di pari opportunità  per tutti. Infatti, solidarietà  dice decisione perseverante di sentirsi responsabili di tutti, di avere responsabilità  nei confronti degli altri esseri umani. Non è un vago sentimentalismo, ma una concreta visione di rapporti reciproci, un criterio d'azione per coordinare le risorse in vista del bene comune. Il che coincide, appunto, con il concetto di giusta globalizzazione non per escludere ma per includere, integrare il maggior numero di persone, possibilmente tutti. Lei mi chiede in che modo realizzare tutto ciò. A mio avviso, fare del lavoro dignitoso, remunerativo, soddisfacente un obiettivo globale delle politiche locali, nazionali e internazionali costituisce un percorso concreto verso la globalizzazione della solidarietà . Voglio dire: all'interno delle relazioni di cui è intessuta la vita quotidiana della persona concreta, dentro la sua appartenenza a una famiglia, un villaggio, un gruppo, un popolo. Queste relazioni, prima che vengano caratterizzate secondo la logica economica del mercato o la logica politica dello Stato, possono grandemente contribuire alla globalizzazione della solidarietà .

C'è poi l'irrisolto problema del debito estero che, con i suoi perversi meccanismi, strangola i Paesi poveri. Come uscirne? Quanto è percorribile la via della Iff, International finance facility? (un'istituto di credito che coinvolge, a lungo termine, la finanza privata in progetti di sviluppo dei Paesi poveri, ndr).
La proposta della Iff, formulata dal governo inglese, nei cui confronti la Santa Sede ha espresso il suo appoggio, ha riscontrato molto interesse. Essa, infatti, costituisce un impegno a lungo termine e una forma interessante di coinvolgimento della finanza privata in obiettivi di sviluppo secondo le linee già  sperimentate con successo dalla Banca mondiale e dalle Banche regionali di sviluppo. I fondi raccolti sul mercato non vengono destinati a prestiti ai Paesi poveri ma a finanziare l'erogazione di aiuti allo sviluppo; non comportano, quindi, alcun onere finanziario futuro per quei Paesi. È una proposta tecnicamente robusta e potrà  realizzarsi se mobiliterà  l'espressione di una volontà  politica comune ai grandi Paesi.

Lei accennava in qualche modo a un livello di impegno più basso: quello della responsabilità  individuale. Che incidenza possono avere stili di vita e di consumo diversi, la scelta di condurre un'esistenza più sobria?
Quello dello stile di vita e della sobrietà  oggi è un punto cruciale. Il consumismo è il demone tentatore, che crea bisogni fittizi propri e trascura, anzi nega, bisogni vitali altrui. Mi viene alle orecchie quel discutibile spot pubblicitario radiofonico, in cui si sente una moglie che rimprovera il marito perché non ha fatto nulla in casa, ma lo approva e lo elogia perché... ha comprato, facendo così girare la ruota dell'economia. Oggi, purtroppo, dallo slogan usa e getta si è passati a quello assai peggiore dello getta e compra! Il discreto successo del commercio equo e solidale, che sta facendosi strada per un reale contributo allo sviluppo dei Paesi poveri, è una via valida e da incoraggiare. Certo non sarà  la strada maestra, ma l'indicazione è giusta: il terziario non può prevalere sul primario e il secondario; chi produce non può essere sfruttato al punto di fare la fame, mentre sul suo lavoro si ingrassano gli altri!

Come valuta il variegato movimento no global che, pur con i suoi limiti e non esente da strumentalizzazioni, sta battendosi per una globalizzazione diversa?
Lei parla bene di limiti e di strumentalizzazioni, ed effettivamente occorrerebbe ripetere qui la ben nota differenza tra pacifisti e pacificatori, tra utopia e illusione. Però ricordiamo il monito di san Paolo a non spegnere lo Spirito! Certe denunce dei no global sui meccanismi perversi dei monopoli finanziari, delle inique barriere doganali, del mercato selvaggio su scala mondiale ricordano le denunce dei profeti che riascoltiamo nel tempo quaresimale, le sferzate dei Padri della Chiesa contro l'ingiusta ricchezza, le puntuali analisi delle encicliche sociali degli ultimi Papi e di Giovanni Paolo II in particolare. La verità , anche se scomoda, bisogna accettarla da qualunque parte arrivi, perché lo ha detto Gesù: La verità  vi farà  liberi. Ma, attenzione: non basta distruggere, bisogna anche costruire!

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017