Gli urti della vita

Il rischio sociale, con la disabilità, è sempre lo stesso: o sei uno storpio da eliminare o sei quasi una divinità. E invece tutti noi, disabili e non, siamo persone comuni, con limiti e pregi, punti di forza e debolezze.
23 Aprile 2013 | di

Un ritornello celebre, quello di Luca Carboni e della sua Ci vuole un fisico bestiale. Uno di quei ritornelli da cantare sotto la doccia e che recita: «Resistere agli urti della vita». Una frase che ora ci chiama a riflettere sulla triste vicenda di Oscar Pistorius, prima protagonista di sfide olimpioniche e sociali d’esempio per tutti e ora comparsa fissa nella cronaca nera delle pagine dei principali giornali.
Non voglio in questa sede ripercorrere o entrare nel merito del gesto di cui Pistorius è accusato, mi interessa piuttosto ragionare con voi sull’eco culturale di questa storia drammatica. Tra le tante lettere che ho ricevuto, lettere di delusione e rammarico per il crollo di un mito tanto amato, ce n’è stata una in particolare che ha catturato la mia attenzione. Elena, l’autrice della lettera, invita a soffermarci su un concetto importante: la responsabilità del mito. Una responsabilità, a ben vedere, che il mito non ha scelto, ma che gli è stata attribuita dal pubblico, fomentata da immaginari collettivi in virtù, talvolta, dei propri desideri di rivalsa e riscatto.
 
È chiaro che di modelli c’è sempre bisogno: ci permettono di andare avanti e di accompagnare i nostri sogni e le nostre battaglie quotidiane. Ma, il caso Pistorius lo insegna, i modelli non sono infallibili. Lo scarto, continua Elena, è proprio qui. Una vicenda del genere, pur essendo tragica, si inscrive purtroppo nell’ambito della normalità. Perché di titanio, Pistorius ha solo le gambe. Le persone diversamente abili non sono per forza migliori dei normodotati, ed è giusto che sia così.
L’essere dei leader, mi chiedo a questo punto, può rivelarsi alla lunga un peso insostenibile? Se il personaggio si libera della propria facciata, di lui che cosa resta? Si potrebbe fare questo stesso discorso per molti altri, come la giovane Beatrice Vio, detta Bebe, priva dei quattro arti e osannata da tutti a prodigio della scherma, la quale, in fondo, è solo una ragazza comune che un giorno, proprio come chiunque altro, potrebbe improvvisamente e dolorosamente scoprirsi tale.
 
Sopportare questo ruolo non è affatto facile. Bisogna davvero, come cantava Luca Carboni, avere un fisico bestiale e imparare a dosare le forze, altrimenti si rischia di soccombere, una sensazione che, nel mio piccolo, provo anch’io in tante situazioni. Nelle attività scolastiche, nei convegni, nelle interviste, sento il «dovere» di ponderare i miei atteggiamenti, di sbagliare il meno possibile per il ruolo che rivesto. Riconosco che alcune volte fatico a gestire questa pressione.
Il rischio, con la disabilità, è sempre lo stesso: o sei uno storpio da buttare giù dalla Rupe Tarpea o sei quasi una divinità.
Lo sapevano bene i Greci, che ci hanno regalato due esempi perfetti, Edipo, zoppo e bandito dalla nascita in previsione della sua colpa incestuosa, e Tiresia, l’indovino cieco portatore della verità del Fato. L’importante, al solito, è non estremizzare. Il confine è sottile, quasi invisibile, ma c’è ed è palpabile.

E voi, vi sentite più eroi tragici o più indovini?
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017