Gli esattori fraterni

Sono maghi nel far pagare le tasse e nello scovare elusori ed evasori, eppure i contribuenti non li percepiscono come il braccio impietoso di uno Stato iniquo e vessatore. Sono l’unica cooperativa sociale in Italia specializzata in riscossione tributi.
27 Febbraio 2013 | di

Pagare le tasse… fraternamente suona strano, contraddittorio, persino ironico, in quest’epoca di crisi profonda, di tributi alle stelle, di evasione diffusa, di contribuenti furiosi e di spreco di pubblico denaro. Se non fosse che esiste a Brescia, nel cuore pulsante e solidale della provincia italiana, un esattore del tutto sui generis. Si chiama, per l’appunto, Fraternità sistemi, e non è un’azienda privata né un’emanazione dello Stato come Equitalia, ma una cooperativa sociale di tipo B, cioè sorta allo scopo non di fare profitti ma di aiutare l’inserimento lavorativo di persone in difficoltà: ex detenuti, ex tossicodipendenti, persone con disabilità fisica o mentale.

È l’unica cooperativa in Italia regolarmente iscritta all’Albo dei soggetti privati concessionari della riscossione dei tributi locali. E, cosa non trascurabile, è di estrazione cattolica. È la punta di diamante, quella più avanzata e professionalizzata, di un gruppo di cooperative sociali, il Gruppo fraternità, che altro non è che la concretizzazione di un sogno, nato negli anni ’70 in un oratorio di Ospitaletto, alle porte di Brescia, per iniziativa di tre giovani, guidati da un prete. 

Oggi Fraternità sistemi ha 10 anni di vita, 200 impiegati e 160 Comuni, in prevalenza nel Nord Italia, che fruiscono dei suoi servizi. Tra i suoi agenti, ingegneri, architetti, geologi, tecnici dei tributi, laureati in economia e in diritto. Nessuno spot la sponsorizza: i nuovi clienti arrivano grazie al passaparola tra i Comuni e a una «soddisfazione», se così si può dire, del contribuente da far invidia a Equitalia.

«Lavorare nel sociale? È una roba da matti – dice ridendo il presidente, Nazzareno Marchese, mentre ci allontaniamo dalla stazione di Brescia –. Il potere è davvero servizio e un ex detenuto può diventare un’eccellenza». Ha ancora intatto lo stupore di chi ha passato una vita nell’«altra amministrazione» quella dei colletti bianchi: fino a pochi anni fa era dirigente del catasto fabbricati di Brescia. «Tecnicamente il lavoro è lo stesso – spiega –, ma cambia il modo, le relazioni, il punto di vista». Lo dice con passione e malcelato orgoglio, come chi ha scoperto uno scorcio di paradiso a casa del diavolo, proprio qui dove si pagano le tasse.

La sede di Fraternità è al piano terra di un palazzo in un quartiere popolare alla periferia di Brescia. Il grigio degli edifici diventa, all’interno degli uffici della cooperativa, arancio acceso delle pareti e verde brillante delle piante d’appartamento, in un mix di rigorosa semplicità e sobria allegria. Il primo appuntamento non è nell’ufficio della dirigenza ma di fronte alla macchinetta del caffè, insieme all’amministratore delegato Attilio Carrara e a qualche agente in pausa. Non è la celebre sit com, ma il clima è allegro. Sono tutti coscienti che a prima vista una cooperativa sociale sta alla riscossione dei tributi come i cavoli a merenda: «E invece – chiosa Attilio Carrara – il nostro è un lavoro sociale di grande importanza, soprattutto oggi, in questa terribile crisi».
 
A favore del contribuente
I fatti gli danno ragione: nei Comuni la percentuale di successo grazie al loro intervento può superare anche di 10 volte la riscossione fatta da altre agenzie, mentre i contribuenti non vedono in Fraternità sistemi l’esattore impietoso, il braccio destro di un sistema iniquo. Dove sta il segreto? «Noi applichiamo le leggi scrupolosamente – precisa il presidente Marchese –, nessuno sconto e nessuna differenza, altrimenti avremmo un potere di discrezionalità infinito. Le tasse sono un dovere e servono per sostenere i servizi per tutti. È profondamente ingiusto che alcuni le paghino e altri no. Ciò che è diverso è il modo».

Cosa questo significa nella prassi, lo illustra l’amministratore delegato: «La nostra caratteristica è essere fisicamente presenti in tutti i Comuni; il contribuente s’interfaccia direttamente con chi ha seguito la sua pratica, non con un’entità astratta. Può ricevere tutte le informazioni di cui ha bisogno e, in caso di difficoltà, non è lasciato solo. Per esempio, mediamo con il Comune per gestire il debito attraverso rate anche piccolissime e, se i problemi sono gravi, lavoriamo insieme con i servizi sociali. In genere mediamo per evitare contenziosi e interpretiamo la legge nella maniera più favorevole al contribuente». Alla fine quest’ultimo non salta di gioia, ma ha tutti gli elementi per comprendere le ragioni e affrancare la propria posizione: «È un lavoro che sfocia nella sfera sociale ma anche culturale – conclude il presidente –. In un Paese in cui evadere è da furbi e un posto in politica è una sistemazione, bisogna iniziare dai fondamenti della legalità e del bene comune».

Dal canto loro, i Comuni ricavano una serie di vantaggi: non solo l’aver a disposizione un insperato gruzzolo di risorse aggiuntive – cosa non da poco in un periodo di vacche magre – ma la possibilità di avvalersi in sede di personale altamente specializzato, che segue anche lo sportello e la banca dati. Tutte competenze che spesso il Comune non possiede al suo interno. C’è un terzo vantaggio, inedito: Fraternità sistemi si offre di favorire nei Comuni l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, uno dei punti deboli delle amministrazioni. «Ci contattano gli assistenti sociali dei Comuni, i Sert, gli avvocati, il penitenziario – spiega Anna, la responsabile degli inserimenti lavorativi –; noi facciamo tutte le verifiche del caso ma accettiamo di lavorare solo là dove c’è una rete di servizi pubblici e privati che può supportarci: da soli non bastiamo. Il percorso dura un anno e può essere prorogato fino a tre».
 
Gli ultimi diventano primi
Come prescritto dalla legge sulle cooperative, il 30 per cento degli impiegati in Fraternità sistemi è un soggetto svantaggiato. Ti guardi intorno negli uffici color arancio e a prima vista, sotto quel termine non riesci a rubricare nessuno. Vabbé, c’è Nicola, poco più di 20 anni, della sezione Imposte comunali di pubblicità, che è in sedia a rotelle per un incidente professionale, ma non solo è ben integrato, è entusiasta del posto in cui lavora. «Mi sento come gli altri e odio i piagnistei» dice lapidario.

Nella stanza attigua un ragazzo schivo saluta appena, senza scollare gli occhi dal computer: «È il nostro genio dei numeri, non gli sfugge nulla» spiegano, ha tratti autistici ed è laureato in fisica e matematica. In lui il problema è diventato forza. In un altro tempo e per motivi diversi questo capovolgimento degli opposti è toccato anche a Massimiliano, «storico» inserimento, da tempo divenuto operatore. Il dovere della testimonianza è un po’ la sua condanna. Ex detenuto, un passato di droghe, di viaggi, di studi antropologici, l’aura dell’alternativo ancora intatta e un fiuto spiccato per la lotta all’evasione fiscale.

Una nemesi? «Ho vissuto sopra le righe fino ai 40 anni – racconta –, poi sono atterrato qui. Un’entrata brusca nella realtà, condannato senza lavoro e con una famiglia da mantenere. Hanno creduto in me, lo stesso. Posso solo ringraziare». Ma il passato non si rinnega, ci si viene a patti: «Quello che sono stato ha aperto la strada al mio secondo percorso. Io in quelli persi mi rivedo, e adesso che tocca a me dare una chance a loro i conti tornano». Non si sente un diabolico esattore, ma una specie di Robin Hood metropolitano: «Chiedere il giusto a chi ha terreni, ville e piscine ma denuncia 10 mila euro l’anno, significa ridare allo Stato sostanze per chi non ha quasi nulla. Una volta questo non lo capivo. Ma io non ho avuto buoni maestri e ho pagato di mio».

Simona non è un inserimento, ha una laurea in giurisprudenza e due anni di lavoro alle spalle: «La cosa che più mi ha colpito di questo posto è che tutte le risorse, dalle meno alle più qualificate, sono impiegate al meglio e sono essenziali per l’attività. Qui c’è grande competenza, unita a grande umanità». Non sono tutte rose e fiori, ci sono anche fatica e rinuncia: «Lavorare per il sociale – spiega Gualtiero, un figlio con emiparesi, socio fondatore della cooperativa – significa rinunciare a incarichi altisonanti e meglio retribuiti, accettare relazioni con persone difficili, lavorare di più per coprire le difficoltà di un altro; in cambio sai che tutto questo ha un senso per te, per chi ha difficoltà, per la società».

Fraternità sistemi potrebbe avere al suo orizzonte un futuro radioso: ha in mano professionalità e un imprinting che la rendono unica. Da giugno entrerà in vigore la norma approvata con il cosiddetto decreto legge «Enti locali», (n. 174, 10 ottobre 2012) che ha stabilito l’uscita di scena di Equitalia dalla riscossione delle entrate comunali. Per i Comuni, tuttavia, la fuga da Equitalia è già iniziata. «Per noi aziende private non è facile – spiega l’amministratore delegato –: i pagamenti sono congelati. Il nostro aggio è elevato, ne siamo coscienti (va dal 25 al 30 per cento del riscosso), ma offriamo un servizio molto efficace, ampio e capillare. Accertamenti e riscossioni necessitano di mesi di lavoro e noi abbiamo un forte rischio d’impresa, perché siamo pagati a risultato. Il nostro “oro” è il capitale umano, che è giusto pagare ogni mese, e invece rischiamo ogni giorno di morire di credito».

C’è una domanda che è rimasta nell’aria, forse per rabbia o forse per pudore: come far pagare le tasse a chi assiste ogni giorno a scandali, malversazioni, sprechi di denaro pubblico e severi tagli ai servizi? «Tanti non pagano con la scusa che sono tutti ladri: è un ottimo alibi ma non regge. Siamo tutti legati, l’uno responsabile dell’altro» risponde Massimiliano, l’alternativo, come a dire che non si cambia il mondo senza cambiare se stessi. E lui ne sa qualcosa.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017