Gli angeli di Wamba non avranno più fame

Un progetto difficile e sofferto per dare una speranza di vita ai bambini di Wamba, martoriata diocesi del Congo. Il racconto drammatico di una testimone.
31 Ottobre 2003 | di

Dopo vent'anni d'Africa pensavo d'essere vaccinata a tutto. Il Congo mi ha stravolto. Esordisce così Sonia Bonin Mansutti, fondatrice dell'Onlus S.o.s. Solidarietà  organizzazione e sviluppo, e madrina spirituale del progetto Caritas antoniana a Wamba, diocesi che si trova a 120 chilometri a sud della città  di Isiro, nel Nord-est della Repubblica democratica del Congo. Zona di guerre e genocidi, di saccheggi e bambini soldato. Grazie alle informazioni raccolte personalmente da Sonia, la Caritas antoniana ha potuto aiutare una missione africana, impegnata in prima linea contro la denutrizione dei bambini e le malattie provocate dalle carenze proteiche. I bambini - racconta Sonia - si gonfiano, perdono i capelli, ti muoiono in braccio. Ho visto una madre strizzare il capezzolo di un seno piatto come una foglia in cerca dell'ultima goccia di latte, per la bimba di otto mesi che teneva in braccio, di appena un chilo e quattro etti.
Ma questo lembo di Congo non è solo male e dolore, altrimenti non si renderebbe giustizia a un popolo coraggioso e vitale che sopravvive, nonostante tutto. Ho perso metà  del tempo in colorate cerimonie di benvenuto - continua -. La gente sorride, ti stringe la mano, dice che è bello vederti, così tu puoi raccontare, raccontare il loro dolore e magari qualcosa cambierà ... non può essere che nessuno faccia niente.
E invece da anni nessuno fa niente, o quasi.  Il Congo è in ginocchio. Le rovine dei palazzi della colonizzazione belga, le macerie delle infrastrutture - riporta Sonia - ti fanno intravedere un passato fiorente. Per raggiungere Wamba ci ho messo una settimana, viaggiando su malconci aerei da turismo sopra la foresta equatoriale. Non c'è elettricità , non ci sono strade perché non ci sono macchine. Inesistenti i telefoni, lontano mille miglia internet. Impossibile comunicare.
La possibilità  di incappare in frange di ribelli impedisce alla gente di andare a lavorare: quindi non esiste più alcuna attività  produttiva.
Di che vivono allora? Me lo avevano detto - afferma Sonia, nascondendo l'emozione -, ma quando l'ho visto con i miei occhi non ho potuto trattenere le lacrime. A Wamba si vive solo grazie ai ragazzi delle biciclette. Partono con due taniche di olio di palma, percorrono dagli 800 ai 1200 chilometri per raggiungere le città  più vicine. Lì, barattano l'olio con generi di prima necessità : zucchero, sale, vestiti. Ritornano a piedi trascinando sulla bici un carico di circa 200 chili, che perderanno in parte o tutto per strada, magari in cambio della vita sotto la minaccia del fucile di un bambino soldato. Molti muoiono giovanissimi, perché il cuore, a un certo punto, cede. Ma loro sono la vita - commenta assorta come se li vedesse -. Quando li incontri lungo le strade di terra rossa, strappate a malapena alla foresta, si fermano e ti salutano festanti. E tu non puoi fare a meno di immaginare il loro destino.

Il progetto della Caritas antoniana

Proprio da Wamba, nel novembre del 2001, un anno prima del viaggio di Sonia, la Caritas antoniana aveva ricevuto una richiesta di aiuto dalla diocesi. Dopo solleciti per avere informazioni, non c'era più stato alcun contatto. La domanda è rimasta sospesa. Il progetto era organizzato dalle suore del luogo che seguono la promozione della donna: In Congo l'unico punto di riferimento, per cristiani e non, è solo la Chiesa - spiega Sonia -. Ma le parrocchie sono poverissime perché, al contrario dei missionari europei, non possono contare sull'appoggio di amici e parenti in Paesi ricchi.
In particolare, il problemadella malnutrizione infantile è gravissimo: il 45 per cento dei bambini muore entro i primi cinque anni di vita. Il progetto prevedeva la costituzione di piccoli centri nutrizionali in ciascuno dei 17 villaggi da cui è composta la diocesi di Wamba, per servire 685 mila persone.
A sdoganare il progetto, sono arrivate le informazioni tanto attese. In un primo momento - spiega padre Luciano Massarotto, direttore della Caritas antoniana - abbiamo appoggiato una fase più assistenziale per superare lo stato di emergenza. Con un contributo di 5 mila euro, abbiamo aiutato le suore a organizzare corsi di alimentazione e di igiene per le mamme e a comprare nutrienti di base e medicine per i bambini denutriti.
In un secondo momento, il progetto è diventato un progetto di sviluppo. Abbiamo constatato - scrive suor Marie Gustave Atua, coordinatrice - che la denutrizione non dipendevasolo dalla guerra ma anche dalla mancanza d'istruzione della gente e dalla possibilità  di procurarsi i mezzi di lavoro. Da qui l'idea che i centri nutrizionali diventassero anche centri di formazione per aiutare le famiglie a coltivare la soia o allevare maiali, due fonti di proteine a basso costo. Una decina di famiglie per villaggio, dopo i corsi, avrebbero ricevuto o un sacco di semi di soia o una coppia di maialini. Per un totale di 185 famiglie. Il costo previsto era di circa 9 mila euro.
La Caritas antoniana ha finanziato questo progetto per intero lo scorso maggio. Ben 5 mila euro della cifra sono stati donati da due lettori di Rho (MI), che avevano espresso il desiderio di aiutare i bambini denutriti. Dalle frammentarie comunicazioni - a un missionario della S.o.s. è stato donato un telefono satellitare - sappiamo che il progetto è già  partito, che i centri nutrizionali già  funzionano e che i primi maialini sono arrivati.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017