Giovanni Paolo I, il Papa venuto dall'umiltà

Un ricordo di papa Luciani, morto venticinque anni fa, scritto da colui che gli fece da segretario quando era patriarca di Venezia: la famiglia, le sue montagne, la sua semplicità.
27 Agosto 2003 | di

Il 28 settembre 1978, dopo soli trentatré giorni di pontificato, muore papa Albino Luciani. Venticinque anni. Sembra ieri, eppure è già  un tempo lungo. Molti amici e testimoni se ne sono andati. La memoria è fatta di ricordi, ma c'è gente che alla storia aggiunge la propria risonanza e, così, si crea leggenda, favola, mito... Se poi si arriva al racconto televisivo o alla fiction, allora c'è il rischio di falsare la storia. Papa Giovanni, padre Pio... oggi come ieri. La folla cerca l'emozione, l'eclatante. Per questo, anche i venticinque anni dalla morte di papa Albino Luciani sembrano già  un tempo lungo.
Attingo, perciò, ai suoi pensieri scritti e ai miei appunti fatti per non dimenticare. Quasi un diario, in parte già  pubblicato e in parte da mettere insieme e dare, un giorno, alle stampe.
Le grandi cattedrali della terra, con le loro porte di roccia, coi loro mosaici di nubi, con il loro coro di ruscelli e di cascate, con i loro altari di neve, con le loro volte risplendenti di sole o scintillanti di stelle.... John Ruskin, non cattolico, era stato capace di vedere tutto questo nelle montagne. Ed è una citazione che ho sentito spesso dal patriarca Albino Luciani nelle nostre giornate trascorse in vacanza tra i monti. Per lui montagna significava silenzio, riflessione, rischio prudente e coraggioso, ma, soprattutto, presenza e messaggio di Dio, elevazione dello spirito. Amava tornare tra le sue montagne, cambiando strada, illustrandomi le caratteristiche, ripetendomi i nomi dei fiori o delle diverse cime legando ricordi dell'infanzia, nomi di persone di ieri. Amava la sua terra, le sue montagne, i suoi boschi. Canale, Agordo, Garès, Caviola, Falcade; Passo di Valles e Passo San Pellegrino; la Marmolada, Focobòn, la Civetta...

Le montagne e sant'Agostino
Sapeva dir tutto: quasi conoscesse le pietre, i torrenti, i prati, i boschi come una litania familiare. Con Ruskin citava i Salmi e sant'Agostino: Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato... fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti...: per i camosci il rifugio sono le alte montagne, le rocce per gli irà ci... Quanto sono grandi, Signore, le tue opere. Con il Salmo 104 recitava come una filastrocca interrogativa il capitolo VI del X Libro delle Confessioni di Agostino: Ho interrogato la terra... Ho interrogato il mare e i suoi abissi... Ho interrogato il sussurro del vento... Ho interrogato il cielo, il sole, la luna e le stelle... Sei tu, Dio? se non lo siete voi, ditemi qualche cosa del mio Dio, parlatemi di Lui.... Io commentavo con qualche canto di montagna e mi pareva di far eco alla sua gioia: Sei tu, Signore, la rupe, alla quale si appoggia con fiducia la nostra debolezza.
Conoscevo questo amore per la montagna e l'assecondavo. Lo spingevo a qualche fuga, quand'era possibile, allungando il cammino o la strada per riportarlo per strade e valli che erano care ai suoi ricordi. Così mi parlava dei nonni, del vecchio parroco e delle sue gite con soste nei fienili per andar pellegrini a santuari; mi parlava della sua famiglia, del seminario, delle sue vacanze. A volte gli dicevo peccato non essere pittori: le parole e i ricordi si trasformerebbero in paesaggi meravigliosi con montagne, valli, pascoli, ghiaccio e neve, zoccoli e scarponi chiodati....
A Pietralba ci siamo andati per sette lunghe vacanze, nel silenzio del convento, dei boschi e delle montagne, l'anfiteatro del Rosengarten, il Là temar, la piccola scalata annuale al Corno Bianco, il salire da malga a malga: la gita a Innsbruck, al Santuario dei Servi a Maria Waldrast o a Novacella, all'orso di San Romedio o alla Madonna di Pinè... tutto mi ha fatto capire il suo mondo e il suo spirito, le sue radici e la sua religiosità  essenziale, il ruolo di sua madre e del vecchio parroco, che lo aveva legato allo studio e al giornalismo, la sua chiesa battesimale e il suo seminario.
So che nella scelta del nome, da Papa, il nome di Gregorio, legato al suo seminario oltre che al grande san Gregorio Magno (cui fece cenno all'Angelus del 3 settembre), è stato nella sua mente, vinto solo dall'affetto a papa Giovanni e a papa Paolo e alla voce dello Spirito che lo invitava a voltar pagina nella storia della Chiesa, seppure per soli trentatré giorni.
Le montagne le pose alla base del suo stemma (le sue radici) e in cima fece mettere tre stelle: possono significare - diceva - le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità ; a Venezia avrebbe aggiunto il leone di San Marco.
A Canale - ricordava - dove sono nato, durante le vacanze, mi avete visto lavorare con la falce e il rastrello... Con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada, prende la gente dai campi, dalle reti del mare, dal lago, e ne fa degli apostoli.
La sua famiglia era povera come la sua terra. A Venezia - lo ricordò ai pellegrini veneziani il giorno dell'inaugurazione del suo ministero apostolico - avvenne l'incontro dei miei futuri genitori, dediti a umile lavoro (la madre lavorava nella Casa di Ricovero per anziani ai SS. Giovanni e Paolo e il padre lavorava a Murano, nella fabbrica di Minio e Biaca, ai forni). Da lì prese avvio la conoscenza che li portò al Matrimonio e quindi, se io sono qua (Papa) il mio cuore è ancora a Venezia.
Il ricordo di Venezia crescerà  come un sogno raccontato dai suoi genitori: Fanciullo di montagna, ho conosciuto Venezia coll'immaginazione e quasi in sogno. Mi dicevano: a Venezia le strade d'acqua sono solcate da gondole e gondole, le legano ai pali come noi quassù leghiamo gli animali agli alberi! Laggiù tra tante case e tante chiese si innalza un campanile altissimo, famosissimo, ma così mite, così galantuomo che, quando nel 1902 decise di accasciarsi a terra, lo fece con tale garbo da non recare danno alcuno e senza uccidere nemmeno un colombo.
E il sogno diventerà  un vissuto quotidiano, da Patriarca, legato sempre al ricordo delle sue montagne. Nel Natale del 1973, nel Messaggio augurale ai veneti, dirà : Dio a noi veneti ha regalato una laguna unica al mondo, le irripetibili Dolomiti colorate di rosa nel quieto vespero, Sirmione col lago di Garda, il bosco del Cansiglio, i colli di Conegliano e di Asolo, gli Euganei e i Berici. È in questo ambiente di privilegio, che, lungo i secoli, si è formata una nostra civiltà , fatta di operosità  sorridente e vigile, di passione per il colore e l'arte e di profonda religiosità . Da questo ambiente sono usciti Enrico Dandolo e Can Grande della Scala, Tiziano e Tiepolo, Goldoni e Vittorino da Feltre, san Pio X e santa Bertilla; qui hanno vissuto Dante e Petrarca, sant'Antonio e papa Giovanni. Questi e tanti altri: santi, statisti, uomini di letteratura e di arte, insieme all'umile popolo, hanno creato una storia, che si impone per i suoi valori morali. Vediamo di non tradirli, questi valori, ma di svilupparli e di trasmetterli intatti alle età  successive.
L'orgoglio della sua terra e del suo paese lo portò sempre con sé, perché riconosceva le sue radici e sapeva che in quella terra e con quella gente era cresciuto. Si sentiva agordino fino a far scolpire sulla lapide marmorea nell'atrio del palazzo patriarcale di Venezia, al n. 45 della lunga serie di Patriarchi, Albinus Luciani, Augurdinus.
A venticinque anni dall'improvvisa morte di papa Giovanni Paolo I, mi piace ricordarlo così, rispolverando le sue parole scritte proprio per Il Messaggero di sant'Antonio, grazie anche alla pressione fatta dall'allora suo direttore, padre Francesco Saverio Pancheri. Fu proprio padre Pancheri a suggerirci - mentre eravamo a Pietralba - una gita in Val di Non all'orso di San Romedio.
Scrivendo a Teresa di Lisieux nella serie Illustrissimi, Luciani dice: Teresa, l'amore che avete portato a Dio (e al prossimo per amor di Dio) fu veramente degno di Dio. Così dev'essere l'amore nostro: fiamma, che si alimenta di tutto ciò che in noi è grande e bello; rinuncia a tutto ciò, che in noi è ribelle; vittoria, che ci prende sulle proprie ali e ci porta in regalo ai piedi di Dio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017