Giovani, dalla parte della speranza

Viaggio all’interno di un pianeta carico di attese. Molte delle quali «portate in spalla» da migliaia di ragazzi e ragazze che parteciperanno alla XXIII Giornata mondiale della gioventù in programma a Sydney dal 15 al 20 luglio.
17 Giugno 2008 | di


Un’apertura ribadita in molte altre occasioni dal Papa nel solco di una lunga tradizione di fiducia reciproca, che non smette di stupire. Il successo delle Giornate mondiali della gioventù, dal 1986 a oggi, si innesta proprio in questa dimensione di corrispondenza. Sydney 2008 sarà la ventitreesima Gmg, la decima celebrata a livello internazionale. I giovani pellegrini già iscritti sono oltre 200 mila, e altri ancora sono attesi a ridosso dell’inaugurazione. Il confronto è con l’altro grande evento di massa dell’estate, le Olimpiadi di Pechino, che nell’edizione 2000 furono ospitate proprio a Sydney. Ma la Gmg nei numeri batte i giochi olimpici: sono 125 mila i giovani attesi da fuori continente, più di quanti ne arrivarono in Australia a inizio millennio.

Anche dall’Italia partiranno in molti, nonostante il viaggio impegnativo, in verità più per il portafoglio che per il fisico: i 2 mila euro e passa di spesa sono stati uno scoglio significativo per tanti. Saranno in 7 mila e rappresenteranno anche i giovani connazionali che seguiranno l’evento da casa, con i mezzi di comunicazione, le iniziative locali diocesane, la preghiera personale e comunitaria.

Ma chi sono in realtà questi partecipanti alla Gmg? Sono simili ai loro coetanei, o vivono in un limbo, lontani dalla modernità? La domanda si estende a tutta una generazione, perché si fa presto a dire «giovani». Ma qual è il loro identikit?


Poco valorizzati

«I giovani italiani? Sono una risorsa, un grande valore aggiunto per il nostro Paese. Peccato siano pochi e, per giunta, scarsamente utilizzati e valorizzati». Non usa mezzi termini Alessandro Rosina, professore di Demografia alla facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e Roma, che all’Italia delle nuove generazioni ha dedicato una ricerca tra le più aggiornate. «La progressiva e decisa riduzione del peso demografico dei giovani è un fenomeno nuovo, inedito. E l’Italia rappresenta una delle aree più critiche – prosegue Rosina –. Appena quindici anni fa i giovani tra i 15 e i 24 anni erano quasi il doppio rispetto agli anziani tra i 65 e i 74 anni. Attualmente le due fasce di età si equivalgono. Ma, nei prossimi decenni, i giovani italiani diventeranno la metà degli anziani».

Sono i numeri, allora, a parlare chiaro: nel 1995 i 18-34enni erano più di 15 milioni contro gli appena 12 milioni e mezzo di oggi; e non va meglio per la fascia 16-30 visto che, a malapena, supera i 10 milioni. I record negativi non finiscono qui, purtroppo. Nel confronto con il resto dell’Unione europea, l’Italia risulta all’ultimo posto per quanto riguarda il peso delle nuove generazioni (under 25). A fronte di una media del 29 per cento (tra l’altro in molti Paesi, come Francia e Regno Unito, gli under 25 sono addirittura più del 30 per cento della popolazione), l’Italia è l’unico Paese in cui tale quota è scivolata sotto il 25 per cento.

Se allarghiamo la fotografia ai dati sull’occupazione, il quadro è persino peggiore. «Ci sono poche opportunità e i salari sono bassi – incalza Rosina –. Siamo l’unico grande Paese in cui lavora solo un 15-25enne su quattro (Italia 25,8, Regno Unito 52,2, Germania 42,6, Spagna 39,4, Francia 28,8, media Ue 39,7). Dal 1998 a oggi l’occupazione giovanile non solo è diminuita, ma è anche peggiorata nelle forme di contratto proposte». Elevato pure il tasso di disoccupazione: i giovani sono oltre il triplo degli adulti. Tra chi, poi, ha concluso gli studi, gli occupati arrivano a malapena al 70 per cento (siamo all’ultimo posto in Europa dove ben nove Paesi superano, invece, l’80 per cento).

I giovani italiani si trovano, in definitiva, in un Paese che cresce meno degli altri, con possibilità di occupazione e di reddito peggiori rispetto ai coetanei europei. Non aiuta l’alto debito pubblico da risanare e una spesa per protezione sociale tra le più basse, con il 60 per cento destinato alle pensioni, mentre nell’area euro questo dato è sotto il 50 per cento.

Rispetto ad altre realtà risulta obbligatoriamente ritardata la conquista dell’autonomia e così la formazione di una propria famiglia. La metà delle donne arriva ai 30 anni senza ancora essere sposata e metà degli uomini ai 33, posticipando il primo figlio a 35. Dentro la cruda realtà dei numeri si leggono, allora, anche tutti i rischi di un futuro sempre più incerto. «La questione generazionale, ossia lo squilibrio nel rapporto tra generazioni che vede sfavoriti proprio i giovani, aumenta il rischio povertà e, insieme, la sfiducia e l’insicurezza di nuove generazioni che, pur portando idee, innovazione e capacità, faticano sempre di più a farsi sentire e a guadagnare lo spazio che meritano».


Cambiare si può


Alla diminuzione quantitativa dei giovani si deve rispondere con un aumento qualitativo. Ovvero, è d’obbligo fare quello che non si è fatto sinora: investire in formazione, in opportunità occupazionali e protezione sociale. E poi premiare i migliori, prima che fuggano all’estero. «L’Italia del domani − conclude Rosina − sarà “meno peggio” di quella di oggi solo se avremo figli mediamente più bravi dei padri e offriremo loro l’opportunità di arrivare ai posti più importanti e prestigiosi. In caso contrario, il declino è assicurato».

Il quadro che ne esce non è proprio incoraggiante. E ai dati oggettivi si aggiunge l’impressione che permanga una sostanziale sfiducia nei confronti dei giovani. Da più parti questa generazione è stata etichettata come «invisibile» (Ilvo Diamanti), «inesistente» (Eugenio Scalfari), «nichilista» (Umberto Galimberti). In proposito interviene Mario Pollo, docente di Pedagogia sociale presso la Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) di Roma e da anni attento osservatore delle dinamiche del mondo giovanile. «È un giochino che gli adulti fanno spesso – spiega lo studioso – quello di scaricare sui giovani malesseri, paradossalità, forme di disagio, contraddizioni della cultura sociale che essi stessi hanno prodotto. E facendo questa proiezione si autoassolvono. Dicono: “Noi ne siamo esenti, il problema è loro”. Come quando tutto il male viene proiettato sull’immigrato, neanche fosse l’unico criminale della società. È una falsa coscienza del mondo adulto. I giovani non sono arrivati sulla terra da Marte: sono stati educati e sono cresciuti in questa cultura che, volenti o nolenti, hanno assorbito». La stessa consapevolezza è stata espressa anche dal cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione ai lavori dell’Assemblea dei vescovi italiani, a fine maggio: «Il problema dei giovani sono gli adulti».


I buoni sogni

Nel discorso del presidente della Cei c’è pure il superamento di questa condizione, dal punto di vista dei Pastori: «Se, come Vescovi, qualcuno è particolarmente vicino al nostro cuore, questi sono i giovani. Per loro sappiamo di non fare mai abbastanza. Specialmente in questo momento storico, i giovani sono i primi bersagli della cultura nichilista che li invita, li incoraggia, li sospinge a coltivare soltanto le “passioni tristi”. (…) Compito della comunità cristiana e dei suoi educatori è far emergere dal mazzo delle aspirazioni i buoni sogni e i buoni desideri, fra tutti il desiderio di Dio». È l’interpretazione che tiene conto delle influenze negative, ma nella consapevolezza che i giovani hanno in sé le capacità per vincere e trasformare in evoluzioni positive i condizionamenti. Mario Pollo chiama queste risorse «anticorpi contro i mali della cultura, che, se ben stimolati, come ha fatto Giovanni Paolo II e come fa ora Benedetto XVI, sono in grado di digerire le tossine dell’individualismo».


«Now generation»

Un esempio riguarda la percezione del futuro: con la crisi delle ideologie e del progresso tecnico scientifico si è passati da un domani percepito come Terra promessa a un futuro visto come minaccia. La new generation (nuova generazione) ha preso così le sembianze di now generation (generazione del «qui e ora») che vive l’ossessione del presente, unica dimensione che abbia un significato. «L’anticorpo – spiega Mario Pollo – l’ho scoperto nelle testimonianze di molti giovani, soprattutto ragazze, che in questo sono più creative: è la capacità di pensare il futuro vivendo il presente, e cercando nell’oggi i segni del progetto di Dio per loro, i semi del futuro. C’è un’attenzione al presente, come vuole la cultura di appartenenza, ma allo stesso tempo si carica l’orizzonte di speranza. E così si esorcizza il fatalismo dominante, che immagina non solo un futuro mai migliore del presente, ma anzi peggiore».

E con i valori come la mettiamo? Davvero per i giovani nulla conta, niente è denso di significato? «È assurdo dire che siano senza valori – incalza Pollo –. Anzi, ne hanno molti, ma tutti sullo stesso piano, senza gerarchia. I giovani sono stati educati nella complessità a scegliere i valori che si adattano meglio alla situazione del momento, senza porsi il problema della coerenza. Invece dobbiamo aiutarli a capire che c’è un sistema valoriale applicabile a tutte le situazioni, in nome del quale bisogna essere pronti anche ad affrontare conflitti o momenti di marginalità».

Ma se è difficile trasmettere ciò che vale, è ancora più improbo per l’educatore agevolare l’acquisizione di una scala di valori… «Dalle ricerche che ho condotto in questi anni si evince che il giovane conquista l’organizzazione gerarchica del sistema valoriale quando fa un’esperienza di alterità forte. Può succedere nei confronti delle altre persone, nella solidarietà ad esempio, ma anche nella direzione verticale, cioè nei confronti di Dio».

Un incontro decisivo, a tu per tu, possibile nell’oggi anche per il giovane della modernità. La Giornata mondiale della gioventù di Sydney, grande esperienza di Chiesa viva, sarà un’occasione per 200 mila incontri. Tutti personali.   



I libri


Rita Dietrich,

NEL MONDO CHE FAREMO. Indagine sui giovani e la fede

Città Nuova 2008, pagine 216, euro 14,00


Tito Boeri, Vincenzo Galasso,

CONTRO I GIOVANI. Come l’Italia sta tradendo le nuove generazioni

Mondadori 2007, pagine 168, euro 15,00


Federico Mello,

L’ITALIA SPIEGATA A MIO NONNO

Mondadori 2007, pagine 144, euro 13,00



L’intervista. Pellegrini italiani, andata e ritorno



Sono circa 7 mila i giovani espressione della Chiesa italiana in partenza per la Gmg australiana. Un piccolo esercito di pace guidato da don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei.

Msa. Chi sono i partecipanti italiani alla Giornata mondiale della gioventù 2008?

Don Anselmi. Sono tutti tendenzialmente grandi di età. Dalle iscrizioni, in particolare, si evidenzia la scarsità di studenti universitari e dei ragazzi impegnati con la maturità: dal 15 al 20 luglio la maggior parte di loro è alle prese con gli esami. Quindi ci sono i 15-18enni, e poi i giovani dai 25 anni in su, fino anche ai 34, più gli adulti animatori. Ci accompagneranno inoltre il cardinal Bagnasco, monsignor Betori e altri trentatré vescovi italiani, che si sobbarcheranno le sedici ore di viaggio aereo verso l’Australia.

Che cosa è stato preparato per chi resta in Italia?

Sarà possibile seguire la Giornata mondiale di Sydney attraverso i media cattolici: Sat2000 − che proporrà molte ore di diretta tv −, Radio Inblu, «Avvenire», la web radio MyGmg, e il sito www.gmg2008.it. In particolare quest’ultimo avrà un’ampia galleria di foto e video caricati direttamente dai pellegrini, giorno per giorno. Una bacheca elettronica che permetterà di farsi un’idea anche dall’Italia. Inoltre in quasi tutte le regioni ci saranno iniziative per celebrare la Gmg a livello locale, in comunione con l’Australia.

Sydney è la decima edizione internazionale della Gmg. Si tratta di uno strumento pastorale ancora valido? C’è una riflessione in atto?

I grandi entusiasmi suscitati dalle Giornate di Parigi e di Roma avevano sollevato un po’ di paura: si temeva un appiattimento sulla pastorale del grande evento, a scapito della quotidianità. Più modernamente, in questo periodo si dice che queste occasioni straordinarie non solo servono, ma sono un dono del Signore. La fatica è quella di collegarle a un prima e a un poi, all’ordinarietà. Ma la quotidianità ha bisogno degli eventi e viceversa. È come l’anno liturgico: ci sono Natale, Pasqua, le feste, ma anche la quaresima, l’avvento di preparazione, e il tempo ordinario. Un anno liturgico senza feste sarebbe noiosissimo, un anno in cui si andasse a messa solo a Natale e Pasqua non avrebbe significato. Serve un saggio equilibrio. Se non ci fosse niente prima e dopo sarebbe veramente drammatico.

Quali frutti si attendono da questa Gmg?

Sulla scia dell’idea di Giovanni Paolo II credo che il primo frutto sia per la Chiesa australiana, che assisterà a una vampata di evangelizzazione giovanile, di Spirito Santo nel mondo dei giovani. Quindi, un frutto fuori di noi. Poi, come sempre accade, queste sono occasioni di crescita personale, che hanno ricadute di testimonianza anche al ritorno. A maggior ragione in questo caso in cui le persone che partono sono espressione degli sforzi di intere comunità che le hanno responsabilizzate e sostenute anche per affrontare i costi. Mi piacerebbe molto che i pellegrini tornassero con la spinta a vivere bene l’ultimo anno dell’Agorà, il cammino triennale della Chiesa giovane italiana che si chiude nel 2009 con il tema della cultura. La mia speranza è che i giovani cattolici possano diventare fermento culturale nel loro ambiente di vita.


Il logo

Il logo contiene l’essenza del tema della XXIII Gmg «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1,8). La Croce centrale rappresenta Cristo e la vita di testimonianza che lo Spirito Santo ci aiuta a vivere. Il riferimento è alla passione del cuore di Gesù, versata dalla Croce sul mondo e che arde nel cuore dei giovani. Il bianco della Croce indica che Gesù è la luce del mondo.
Le fiamme evocano la discesa in lingue di fuoco dello Spirito Santo a Pentecoste. Esse rappresentano il sacramento della Cresima e i doni dello Spirito Santo.
I colori rosso, giallo e arancio richiamano la Trinità e l’Unità di Dio e ricordano i paesaggi dell’entroterra australiano. Il blu rappresenta gli oceani che circondano l’Australia, le acque del Battesimo, il mare dell’umanità e Maria, piena di grazia. Nel logo anche l’Opera House, simbolo di Sydney, città che ospita la Giornata mondiale della gioventù.


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017