Giovani da amare come noi stessi

In questo numero si parla molto di giovani. Sono il nostro futuro, da coltivare e amare oggi, con convinzione.
24 Gennaio 2007 | di

Ormai «bullismo» più che una parola è un tema obbligato sul quale sostare e riflettere – a scuola, in famiglia, tra amici – magari riprendendo in mano alcuni testi che ne hanno anticipato, almeno nel nostro Paese, la trattazione. Nel bel libro Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia (ed. Giunti 1997), curato da Ada Fonzi, si legge: «Da anni il termine “bullismo” è entrato di diritto nella letteratura psicologica internazionale a indicare il fenomeno delle prepotenze che vengono perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei o quasi, soprattutto in ambito scolastico». Quindi non si sta parlando solo di adolescenti che fanno i duri o di giovani irrequieti e violenti, ma anche di ragazzini (bambini!) che vengono troppo facilmente alle mani e impongono ai loro coetanei un clima di prepotenza (bullying in inglese) e di sopraffazione. Impossibile, direbbe con tutta sincerità qualche brava mamma che considera il fenomeno irrilevante e comunque lontano. Sì, roba da sgangherate scuole americane di periferia, dove i ragazzi sono armati fino ai denti e ogni tanto ci scappa il morto. Ma da noi… Da noi, spiega la ricerca sopra citata, i genitori sono per lo più all’oscuro di tutto e la scuola è nel suo insieme ancora incapace di attivare strategie di ascolto e di intervento.
Se il dossier di questo numero ci conduce a esplorare il pianeta «bullismo», con tutti gli eccessi e i drammi che contiene, nell’articolo d’avvio il discorso sui giovani viene ripreso dai fondamenti, cioè parlando della vita come realtà infinitamente preziosa, in collegamento con il tema della Giornata per la vita che si celebra domenica 4 febbraio. Tra i molti spunti offerti dal Messaggio accompagnatorio («Amare e desiderare la vita») a cura della Conferenza episcopale italiana, ce n’è uno sui giovani, calibrato e attualissimo: «Guardiamo con particolare attenzione e speranza ai giovani, spesso traditi nel loro slancio e nelle loro aspettative di amore. Capaci di amare la vita senza condizioni, capaci di una generosità che la maggior parte degli adulti ha smarrito, i giovani possono però talora sprofondare in drammatiche crisi di disamore e di non-senso fino al punto di mettere a repentaglio la loro vita, o di ritenerla un peso insopportabile, preferendole l’ebbrezza di giochi mortali, come le droghe o le corse del sabato sera. Nessuno può restare indifferente». I giovani quindi sono «grandi» sia quando camminano verso le vette sia quando si inabissano, sia quando costruiscono sia quando distruggono, sia nella coscienziosità che nello sballo. Per questo c’è bisogno di adulti che li amino davvero, cioè «li amino come se stessi», per aiutarli a crescere. L’appello è rivolto a genitori, preti, educatori, insegnanti e responsabili della vita civile. A tutti noi!
Anche fra Fabio, nella sua seguitissima rubrica «Dedicato ai giovani», parla delle nostre deformazioni quando ci capita di osservare e soprattutto giudicare mondi che conosciamo poco o appena: immigrati di ogni provenienza, gente che fa cose strane nei giardinetti del quartiere, persone indesiderate perché ormai escluse dal giro che conta: i cosiddetti drop-out, cioè «caduti fuori» o «mele marce», che finiscono ai margini della strada. Tanti di costoro sono giovani, lo sappiamo, e questo fatto ci invita a educare il nostro sguardo, a riempirlo di luce, di candida (anche se non ingenua) accoglienza, perché ogni persona «è» e «ha» una dignità prima dei suoi errori e merita quindi una fiducia preventiva. Fra Fabio cita l’espressione (del lontano 1961) di un discusso intellettuale italiano, Pier Paolo Pasolini, a proposito di madre Teresa di Calcutta: «Dove guarda vede». Un complimento lusinghiero, che sarebbe bello meritare anche oggi per la qualità del nostro sguardo di adulti soprattutto verso i giovani.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017