Gestire aziende e spalmare nutella

L'imprenditrice Marina Salamon con la maternità ha riscoperto la tenerezza; con la fede la meraviglia del vivere.
20 Febbraio 2006 | di

Marina Salamon, imprenditrice, si occupa di abbigliamento, con un'azienza nel trevigiano, e di statistiche e indagini di mercato con la Doxa. Per anni manager di ferro, con l'esperienza e, soprattutto, con la maternità , ha cambiato modo di gestire l'azienda. Oggi Marina Salamon è un'imprenditrice che ha capito che, anche nel lavoro, è importante ascoltare e che il vero patrimonio delle aziende sono le persone.

Msa. Che difficoltà  ha trovato in un mondo prevalentemente maschile?

Salamon. Sicuramente ho trovato minori difficoltà  rispetto a tante altre donne dirigenti o lavoratrici in altri ambiti: c'è più democrazia di accesso in Confindustria che nel giornalismo o in politica, per esempio. Perché da noi ci si misura sui risultati.

Lei è «un'imprenditrice illuminata»?
Dalla fede, sì. Ma anche negli anni in cui sono stata lontana dalla Chiesa, sentivo che il denaro non mi apparteneva ed era semplicemente uno strumento di responsabilità . Io dovevo valorizzare i carismi, i talenti, che mi erano stati assegnati. Poi ho lavorato per associazioni di volontariato, oltre che in azienda, e questo mi ha insegnato che non c'è una sola chiave di lettura della società . Credo che l'economia del futuro sarà  un'economia pericolosa, perché favorirà  l'accentuarsi delle differenze tra ricchi e poveri, tra Primo mondo e Terzo mondo, tra privilegiati e disperati. Starà  alla responsabilità  di ciascuno di noi mediare queste differenze, ricercando un equilibrio.

E questo sarà  possibile?
Bisogna partire da piccoli obiettivi raggiungibili. Anzitutto occorre averne coscienza, poi far seguire scelte concrete. Nelle scorse vacanze, sono stata in Madagascar per un viaggio di turismo responsabile con i miei bambini: dormivamo dai missionari, dalle associazioni non-profit.

Come l'ha cambiata la maternità ?
Ero un disastro di madre con i primi figli, perché lavoravo sessanta ore alla settimana. I bambini dicono che hanno ricordi bellissimi, la verità  è che li vedevo mezz'ora al giorno: alle otto del mattino e alle nove di sera, quando li addormentavo per tornare alla scrivania. Ho cambiato vita negli ultimi cinque anni, quando il più piccolino era già  nato e mi ero trasferita da Treviso a Verona: lo spostamento geografico mi ha aiutata a cambiare modo di lavorare, a non governare più io da vicino le aziende. Questo ha significato delegare il lavoro ad altre persone, concentrare il mio lavoro in alcuni giorni della settimana e fare la mamma davvero. Nel nostro caso, oltre ai nostri quattro figli, abbiamo accolto due ragazze in affidamento, Claudia e Zineb, una rumena e l'altra marocchina, entrambe ora maggiorenni. Adesso sono molto serena nei confronti dei miei figli: il non sentirsi in colpa è l'unica cosa che porta i genitori a essere affettuosi e severi quando è necessario. Per tanto tempo ho vissuto nell'ansia di non farcela... Adesso per me spalmare la nutella sul panino, che i bambini portano a scuola, è una tappa d'amore importante. Ora do valore alle piccole e alle grandi cose, ma non è sempre stato così.

Cosa mette al primo posto?
Imparare a lasciarmi «fare» da Dio. Imparare a non pretendere più di capire o governare ogni cosa, che è stato il limite sperimentato in passato. Sono stati necessari momenti di dolore profondo per sperimentare la bellezza di fidarsi. Non mi ero mai affidata a niente, tanto meno a Dio. Per cui d'improvviso ho scoperto che c'era il tempo per pensare, per leggere, per pregare... Ero fortemente in difficoltà  nel rapporto con Maria, la Madonna: lei era tutto quello che non ero io... Poi ho imparato ad «affidarmi». A maggio sono stata trascinata da un'amica a Lourdes ad accompagnare i malati, poi in autunno a Loreto e poi a Medjugorie... Non lo avrei mai immaginato.

Che cosa si sta facendo in Italia per aiutare le donne lavoratrici?
Ancora troppo poco. Faccio un esempio. La legge sui nidi aziendali è una buona legge. Però i veri nidi aziendali si fanno quando si hanno tre o quattrocento dipendenti e le aziende fanno fatica a mettersi insieme. Io stessa ho fatto approntare due «nidi», uno a Treviso e l'altro a Verona, che sono in realtà  dei centri d'infanzia (in accordo con la legge regionale), dove i posti sono riservati alle persone del territorio. Da un ordine religioso abbiamo comprato una villa diventata sede di tanti progetti integrati per i bambini (una casa-famiglia, un centro d'accoglienza per donne sole con bambini...). Le esigenze sono molteplici e non devono essere delegate completamente ai Comuni, i cui bilanci si stanno impoverendo paurosamente.

Perché quando c'è crisi sono le donne le prime a essere in difficoltà ?
Non ho dati per dire se le donne sono le prime a essere licenziate, però l'Italia è l'unico Paese europeo in cui la percentuale di donne disoccupate è doppia di quella maschile. Altrove con la diffusione del part-time, le donne hanno più possibilità  di occupazione rispetto agli uomini. Le donne italiane lavorano fuori casa le stesse ore degli uomini, mentre in Olanda, Paese pilota, le donne lavorano in media trenta ore a settimana. Noi abbiamo sperimentato, nelle aziende, molti contratti a part-time, non da venti ore settimanali, che spesso portano a compiti di basso profilo professionale, ma part-time mobili di trenta, trentadue ore, che consentano alle donne, per esempio, di uscire alle quattro. Poi, se una ha il computer, può lavorare da casa. Da noi, anche i quadri e le dirigenti donne si gestiscono gli orari. La «tecnologia del remoto» è ormai così diffusa che, negli Stati Uniti, le compagnie aeree hanno trovato più conveniente far lavorare una persona in un'isolata fattoria del Kentuky, piuttosto che nei centri di prenotazione. Con la Doxa abbiamo sperimentato che le casalinghe, la mattina, effettuano più questionari telefonici degli studenti la sera. Grazie a questa «tecnologia del remoto», stiamo coinvolgendo  anche alcuni monaci, che fanno fatica a farcela col bilancio.

I suoi genitori le hanno trasmesso il dovere dell'impegno nel sociale e i nonni la fede?
Secondo me, contano molto gli incontri che uno fa. Mio padre era uno scout; Lucia, la mia capo scout, mi ha accompagnata anche dopo l'esperienza dello scoutismo; don Fabio Barboncini, che era il nostro assistente spirituale, mi è stato vicino anche negli anni, almeno una ventina, durante i quali mi ero allontanata dalla fede. San Francesco è stato una scoperta dei miei quattordici anni e mi ha seguita anche dopo.

Quali sono gli odori e i colori della sua infanzia?
Credo di aver avuto il raffreddore permanente, faccio quindi molta fatica a ricordarmi gli odori, forse mi è rimasto impresso quello del glicine. I colori sono tanti. Vivevo ai margini dei boschi, i cui colori in autunno per me sono un riferimento fondamentale.

Chi è Dio per lei?
È l'infinito. Sono convinta che sia Lui a decidere, che abbia scelto Lui in quale luogo mettermi a vivere, con quali carismi e con quali responsa-bilità . Mi ha dato una buonis-sima quota di libero arbitrio per cui non mi sento mai deresponsabilizzata. Credo che l'«affidarsi» non sia in contrad-dizione con lo «scegliere».

Che cosa ha imparato nel tempo?
Con gli anni ho imparato a crescere, ho imparato il perdono. Se ami davvero, non ti irrigidisci, accogli, cambi, accetti la tua fragilità . Io ero riuscita a non mettermi mai davvero in discussione, poi è arrivata una vera conversione. Oggi do un valore molto più relativo alle passioni e credo che il voler bene davvero sia un'altra cosa. Ci è data l'intera vita per impararlo. Sto proprio imparando la meraviglia del vivere.

Che cosa, secondo lei, conterà  veramente alla fine della vita?
Conterà  sentirsi in pace con la propria coscienza di fronte a Dio. Ho riletto il libro di Giobbe, che è bellissimo. Era per me un momento faticoso. Allora ho ripreso in mano Giobbe e vi ho trovato scritto: «Ed Egli morì vecchio e sazio di giorni». In questa frase ci sono una pienezza di vita e una profondità  uniche.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017