Franco Loi. Un ponte verso il cielo

La poesia unisce ciò che è terrestre, vicino, a ciò che è celeste, divino. E i versi in dialetto milanese di «Lader de Diu (Quando Dio canta)», ultima raccolta di Franco Loi, sono religiosi nel senso più profondo del termine.
24 Aprile 2013 | di

Franco Loi nella poesia distilla l’essenza della vita. La sua ultima opera, Lader de Diu (Quando Dio canta), appena uscita per i tipi di Ladolfi, si avventura nel tema del rapporto con il divino. È una raccolta, come sempre in dialetto milanese, che racconta la vita, ma lancia un ponte verso il cielo. «I versi di Franco Loi sono religiosi – scrive Giuliano Ladolfi nella prefazione – nel senso più profondo del concetto: Dio si trova insito nel suo intero essere, nel suo agire, nel suo amare…».
Nel volume si respira il mistero, ma anche gratitudine per il creato: «e rengrassià fen l’aria che respirum…» (dobbiamo ringraziare perfino l’aria che respiriamo).
Franco Loi vive con la moglie Silvana a Milano: una città che cambia sotto i suoi occhi «provati» di «veggente» («Ah mia Milan, cit` che la se desfa» / Ah mia Milano, città che ormai si sfascia). Nella sua casa il poeta abbandona volentieri quella ritrosia che lo ha sempre contraddistinto (persino ai figli all’inizio nascose che scriveva versi), ripesca i suoi ricordi ed esprime le sue convinzioni.

Msa. Che cosa ha voluto dire per lei la poesia?
Loi. È stata una scoperta importante: si scrive perché la vita sia più vera. La poesia è una via che ci porta verso la conoscenza di noi stessi. Avevo già scritto opere teatrali, racconti e un romanzo breve quando, all’età di 35 anni, scoprii Gioachino Belli (autore di sonetti in romanesco ndr) e pensai che lui in poche righe era riuscito a esprimere quanto un romanzo. Così volli provare anch’io. La mia prima poesia, un po’ in italiano e un po’ in milanese, parlava di un impiccato. (Avevo visto i fucilati del 10 agosto 1944 e poi, nel 1945, Mussolini e i gerarchi fascisti «appesi» sempre a piazzale Loreto). Nel 1955 scrissi ben 119 componimenti poetici.
La poesia esprime la nostra esperienza, ma in un modo completamente diverso da come l’abbiamo nella mente.

La poesia è «apertura» verso gli altri?
La poesia non è «egoica», è rivolta agli altri. Il termine deriva dal greco poiein e vuol dire «fare spirituale». Agisce su noi stessi e sull’altro. La poesia è soprattutto musica: chi ascolta sente dei suoni che si ripercuotono dentro di lui e risvegliano la coscienza.

Lei, come il poeta Eugenio Montale, ha la passione per l’opera lirica.
Io non ho mai studiato musica, ma ne ho ascoltata tanta. Andavo a teatro con i miei genitori. La musica commuove: il suono muove le memorie del nostro essere interiore. Il poeta scrive qualcosa di cui lui stesso non ha chiara consapevolezza. Dante nella Divina Commedia esprime bene questo concetto: «I’ mi son un che, quando / amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (Purgatorio, XXIV).

Lei va spesso nelle scuole a parlare agli studenti. Che cosa dice ai ragazzi?
Dico loro: «Tutti voi siete poeti e non lo sapete. Potete anche dipingere o esprimervi in altri modi, ma l’importante è che vi rendiate conto di cosa volete fare nella vita». Raccomando ai ragazzi di fare ciò che amano (magari il contadino) e non quello che vogliono i loro genitori (per esempio il medico o l’architetto). Giacomo Leopardi «dopo tanto cincischiare con le parole» ritrovò l’allegrezza dello scrivere. Quando si scrive poesia si è allegri, come quando si gioca. È significativo un biglietto consegnatomi da un ragazzino di prima media: «Oh che buio la scuola, io cerco ma niente / ma poi Franco Loi e la luce brillò negli occhi suoi».

Che cosa significa avere passione per il proprio lavoro?
Per spiegarlo, racconterò un aneddoto. Un mio amico, che lavorava come operaio meccanico, diceva che un suo collega non faceva niente tutto il giorno, però guadagnava più di lui, perché alla sera faceva gli straordinari. Ma quel mio amico era contento lo stesso, perché amava il suo lavoro, attraverso il quale imparava qualcosa di nuovo sulla materia che trattava e su se stesso.

In che rapporto stanno poesia e religione?
«Religione», che deriva dal latino religare (legare, collegare), mette insieme ciò che è vicino e ciò che è lontanto. La poesia è «religiosa» perché è un movimento d’amore che copre la distanza tra sé e gli altri. Scriveva Francesco Petrarca in una lettera a suo fratello Gaetano: «La poesia in quanto vera poesia è sempre sacra scrittura». Analogamente il Pontefice è colui che fa da ponte, che riempie la lontananza. Questo papa Francesco in particolare va verso la gente, soprattutto verso quelli che hanno bisogno, gli ammalati…

È sempre stato attratto dal mistero?
Ho sempre avuto, fin da bambino, un’attenzione per il mistero della vita e per Dio. In secondo luogo, ho sempre ascoltato molto la gente. Mia madre mi rimproverava di voler più bene agli amici che ai genitori. La gente semplice, che lavorava, mi raccontava delle cose straordinarie. Però la consapevolezza in me è arrivata col tempo.
Nel 1957 ebbi un’esperienza straordinaria, sperimentai una gioia totale e mi trovai, per così dire, in uno stato particolare quasi «fuori dal tempo»: come se la velocità interiore non corrispondesse più a quella del corpo (esteriore). Ebbi una visione di mio padre in barella, situazione che si sarebbe presentata realmente due anni dopo.

Posso chiederle che cos’è per lei la morte?
La morte è il corpo che, logorato, muore. Ma la morte non credo esista: il corpo se ne va, ma le persone non muoiono. La morte è un atto difficile da accettare per noi, perché è un distacco. Anche Gesù sulla croce, a sua volta, si dispera. Però più si è approfondito il rapporto con la divinità e meno paura si ha della morte: i martiri, per esempio, muoiono cantando.
Lei ha conosciuto don Luigi Giussani?
Ho molto ammirato don Giussani e ho fatto tante discussioni con lui. È venuto a casa mia, abbiamo passato insieme una vigilia di Natale. Lui metteva al centro le persone e mi diceva che la proprietà privata era garanzia di libertà. Ho voluto bene anche a don Lorenzo Milani e a padre David Maria Turoldo.

Che cosa ricorda di loro?
Con don Milani abbiamo condiviso diverse esperienze, sono andato anche a Barbiana (FI). Don Lorenzo era un uomo straordinario: ha dato la vita per i suoi ragazzi. Con Turoldo ci siamo visti meno. Andai al Priorato di Sant’Egidio in Fontanella (BG). Quando ci fu la festa per i cinquant’anni della sua ordinazione ci recammo al suo paese natale, Coderno di Sedegliano (UD), insieme con altri due poeti, Amedeo Giacomini e Andrea Zanzotto. La sua era una casa di pietra come quelle dei contadini friulani di una volta, con il camino senza cappa e quindi la cucina si riempiva di fumo. La vita gli insegnò molto. Turoldo diceva: «Il male non è la povertà, ma la ricchezza, perché i poveri sono pieni di fede e di speranza, sempre pronti a dare quello che hanno. Il ricco invece più ha e più vuole». L’ultima volta che l’ho incontrato è stato a Milano alla Corsia dei Servi; era molto malato e mi disse una frase sibillina: «Devo farmi perdonare da te perché non ho fatto quello che avrei dovuto fare».

Come vede il mondo di oggi?
Il mondo di oggi non è molto diverso da quello di ieri. Un tempo si lavorava di più manualmente e questa manualità ora è andata perduta. La gente che ha coscienza di se stessa è poca. Oggi ci sono figure culturalmente significative, ma non hanno potere, come d’altronde è sempre stato. Si pensi a cosa accadde a Dante Alighieri che fu condannato al rogo, a Tommaso Campanella che visse per oltre vent’anni in prigione. Perciò oggi non occorre lamentarsi, bisogna vedere che cosa si può fare per riedificare una civiltà, perché questa è la «fine di una civiltà». La cultura è molto importante perché è ciò che consente di vivere insieme agli altri, di stare in comunità, di dare qualcosa al prossimo.
 
Eventi
Conferenze a Milano
 
Nell’ambito dell’evento «Il grande alfabeto dell’umanità», promosso dall’Associazione sant’Anselmo, a Milano ci sarà una serie di conferenze su Bibbia e cultura a Palazzo Isimbardi (Sala degli affreschi, ore 18.00). In programma Jonah Lynch, che interverrà sul tema della Bibbia (20 maggio); Abitare la casa del Signore. I «luoghi» biblici nei quadri di un’artista contemporanea di Marie-Michèle Poncet (23 maggio); Bibbia e musica (con esecuzioni) di Laura Nicora (29 maggio); Frammenti dell’esistenza di Maria, regia e voce recitante di Roberto Mussapi (4 giugno); Poesia e religione con letture di testi di Franco Loi (11 giugno). Il 17 giugno sarà la volta di Armando Torno, che parlerà di Bibbia e filosofia.

Concluderà il ciclo monsignor Timothy Verdon che illustrerà, attraverso immagini, La Porta del Paradiso del Battistero di Firenze (24 giugno).
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017