Fondazione Marco Simoncelli. Quando i sogni scendono in pista

Dopo la morte del figlio, Paolo e Rossella Simoncelli hanno dato vita a una onlus. Nel nome di Marco, stanno diventando realtà progetti umanitari, nel mondo, ma anche tra le sue colline, in Romagna.
26 Marzo 2013 | di

 «Mi piacerebbe essere ricordato come uno che quando correva sapeva emozionare». E, in effetti, l’emozione che suscitava era indubbia: gli appassionati adoravano Marco Simoncelli. Anche se non aveva ancora vinto un Motomondiale classe 500, quel giovane talento, cresciuto a gelati (i genitori avevano una gelateria artigianale sulla riviera romagnola) e motori, rappresentava per loro la parola «futuro». Ma anche quanti lo hanno conosciuto solo dopo la sua morte si sono innamorati a prima vista di questo ragazzo dalla testa «tutta un ricciolo» e con tanta voglia di vincere. Ne sono rimasti letteralmente rapiti, a partire da quell’attimo in cui la morte lo ha reso mitico al pari di tutti quei giovani che la incontrano lungo la strada dei propri sogni. Anche se lui non si considerava un eroe e lo andava ripetendo: «Io ho solo avuto la fortuna che la mia passione, cioè divertirmi e andare forte in moto, è diventata anche il mio lavoro».

Ha 10 anni quando la maestra assegna un tema in classe dal titolo «Io e il mio sport». «Il mio sport preferito è la minimoto – esordisce Marco –, l’ho scelto perché ho una grande passione per i motori e questa passione me l’ha trasmessa mio babbo. Io spero di diventare un futuro Eddie Lawson o anche un Valentino Rossi e credo di averne tutte le capacità».
 
Nel nome di Sic
Marco non è riuscito a realizzare quella sua aspirazione. Ha perso la vita in pista, durante il secondo giro di una gara mondiale a Sepang, Malesia, il 23 ottobre 2011. I suoi sogni, però, continuano. In nome di Marco, papà Paolo, mamma Rossella, la sorella Martina e la fidanzata del Sic (il soprannome dello sfortunato campione), Kate Fretti, hanno dato vita a una Fondazione a lui intitolata, sorta nel dicembre 2011. L’idea è stata, per la verità, di Carlo Pernat, amico e manager di Marco, un «addetto ai lavori» che, da subito, aveva creduto in lui. Quel ragazzo non aveva paura del sacrificio, della fatica, dei denti stretti, del rischio, della caparbietà e, prima di tutto, era uno che detestava le scorciatoie sia in pista che nella vita.
«In pista sono molto aggressivo, un pilota che non molla mai» diceva di sé Marco. E la Fondazione in suo nome è nata proprio per non arrendersi alla dimenticanza, facendo in modo che la tragedia si trasformasse in qualcosa di positivo. Nel primo anno di attività ha raccolto circa 5 mila iscritti.

Sono fan e supporters da tutto il mondo; tanti gli italiani, ma molti anche gli inglesi e gli spagnoli. A questi si aggiunge il milione e 300 mila amici sulla fanpage Facebook ufficiale di Marco, pagina che ora viene gestita dalla Fondazione per tenere un filo diretto con i sostenitori.
«Questa onlus – spiega papà Paolo – è nata con la precisa volontà di “scendere in pista” a favore dei soggetti più deboli, sostenendo progetti umanitari e collaborando con iniziative di enti e istituzioni, pubbliche e private, in ricordo del Sic. È un simbolo concreto dei valori morali di cui lui stesso è stato ambasciatore autentico e sincero. Attraverso questa attività esprimiamo la nostra solidarietà a sostegno dei più svantaggiati, in particolare bambini e giovani, così come aveva già fatto Marco in prima persona».
In tanti a Coriano (il paese in provincia di Rimini dove viveva e dove è stato allestito un museo in sua memoria) ricordano il legame instaurato da Marco con i ragazzi disabili del Centro diurno di Monte Tauro, e il sostegno dato nella raccolta di fondi per la mobilità gratuita di disabili e anziani corianesi. «Marco aveva un rapporto speciale con i ragazzi meno fortunati – prosegue Paolo –. Quando andava a trovarli ricordo che li abbracciava sempre con grande spontaneità e naturalezza. Per lui non c’era differenza. Con loro Marco era Marco, come con tutti gli altri».
 
Un progetto sulle sue colline
Non è un caso che uno dei progetti più importanti in cantiere sia rivolto a persone con disabilità. «I nostri sforzi, ora e nel prossimo futuro, sono concentrati sulla ridestinazione d’uso di un vecchio albergo a Sant’Andrea in Besanigo, alle spalle di Coriano – prosegue Paolo –. La scelta del luogo è collegata a Marco: ci piace fare qualcosa, in suo onore e ricordo, proprio sulle colline che l’hanno visto crescere. Ci pare poi altrettanto giusto che la gente che ci sostiene possa vedere con facilità che cosa ci ha aiutato a rea­lizzare. Vorremmo ristrutturare l’ex albergo e trasformarlo in centro d’accoglienza diurno per persone con disabilità del territorio riminese. La gestione sarà affidata alla cooperativa “L’aquilone”, già attiva da anni a livello locale nel sociale, in particolare nell’assistenza a persone diversamente abili. Si tratta di un progetto ambizioso, visti i costi importanti: il preventivo di spesa è di oltre 1 milione e 400 mila euro, ma siamo certi che, grazie alle numerose iniziative in campo, raggiungeremo a breve il nostro obiettivo. Nel progetto è prevista la realizzazione di spazi ricreativi e di una palestra all’interno della struttura, oltre a una piscina nell’ampio terreno circostante».
 
Un padre e un amico
Marco era un ragazzo che metteva sempre in primo piano la famiglia, in particolare il padre. E lo faceva con orgoglio. «Io e mio padre – raccontava – abbiamo un rapporto molto bello. Alla fine lui è l’unico che ha visto tutte le mie gare, dalla prima in minimoto fino a oggi. Ci muoviamo proprio in automatico: lui sa quello di cui ho bisogno, ci capiamo al volo senza parlarci. È un padre ed è un amico… un amico un po’ incavolato (in realtà, la parola utilizzata era un’altra, ndr), a volte».
«Credo che mio figlio – aggiunge Paolo – abbia dimostrato che nella vita è importante avere una passione e degli obiettivi, cercando di coltivare, passo dopo passo, la grinta e lo stimolo per raggiungerli. Con impegno e determinazione lui non ha mai perso di vista l’obiettivo sul quale era concentrato. Io lo chiamavo “il guerriero”, perché se è vero che nella vita di tutti i giorni era un ragazzo dolcissimo, quando tirava giù la visiera del casco era tutta un’altra storia…».

La Fondazione rappresenta per la famiglia Simoncelli un impegno quotidiano a tutti gli effetti. Kate si occupa della segreteria e delle relazioni con i partner che propongono manifestazioni e iniziative a favore della onlus, ed è l’unica dipendente. «Per il resto – spiega la stessa Kate – ci avvaliamo della generosità di volontari che, in memoria di Marco, si sono resi disponibili a mettere in campo il proprio tempo, la propria disponibilità e le proprie competenze. Ogni giorno sono almeno un centinaio le mail da smistare, poi c’è la comunicazione sui media, il sito internet (www.marcosimoncellifondazione.it), l’aggiornamento del profilo social, le newsletter. La Fondazione è sintesi ed espressione dell’affetto della gente: al suo interno abbiamo raccolto una parte dei tantissimi gadget e ricordi ricevuti dalle persone comuni».
 
Riccione, via Emilia, 9
Nella sede della Fondazione, a Riccione, c’è davvero di tutto: quadri, lettere, disegni dei bambini, ma anche cuscini a forma di 58 (il numero di gara di Marco) e suppellettili artigianali di vario tipo. Ne arrivano talmente tanti che è stato riempito un intero magazzino. «Tutto ciò rappresenta per noi un motivo di conforto costante, perché è evidente che Marco ha saputo lasciare un’eredità significativa che supera i confini del mondo sportivo. Vengono a trovarci in tanti, soprattutto ragazzi e giovani ma anche signore, mamme e nonne. Spesso siamo impegnati anche nel fine settimana, per presenziare a manifestazioni e iniziative organizzate a favore dei nostri progetti e a tutte le tappe di Moto GP». Tra le tante idee realizzate, il calendario fatto qualche mese fa da Mediafriends, la Sic Card di Mastercard (una prepagata disponibile da inizio anno on line), lo slalom di Livigno lo scorso 16 marzo.

Entro qualche mese sarà inaugurata «Casa Marco Simoncelli» a San Pedro de Macoris, ai confini con Haiti, realizzata con il sostegno della Fondazione Francesca Rava di Milano che, con NPH (Nuestros Pequeños Hermanos, i Nostri piccoli fratelli), opera da anni in quei luoghi. A questo progetto è stata destinata una donazione di 215 mila euro, contributo reso possibile anche grazie alla raccolta fondi avvenuta tramite la pubblicazione «Ciao Sic» realizzata gratuitamente da giornalisti e fotografi de «La Gazzetta dello Sport». Proprio Kate si è recata sul posto per verificare di persona lo stato d’avanzamento lavori. «La Casa è finita, ora mancano arredi e macchinari – afferma –. L’orfanotrofio NPH a San Pedro de Macoris accoglie 215 bambini orfani, molti dei quali figli di clandestini provenienti da Haiti. Tra questi, nove bambini disabili che, al momento, vivono in una piccola struttura, sempre all’interno del complesso, non adeguata alle loro specifiche esigenze, priva delle caratteristiche di sicurezza e accessibilità necessarie. La Casa, che sta per essere ultimata, accoglierà, oltre a questi nove, altri ventuno bambini disabili, cui saranno garantite assistenza specialistica e attrezzature adeguate. Sarà disponibile, gratuitamente, anche il servizio di day hospital per offrire cure e terapie a centinaia di bambini svantaggiati, portando così speranza oltre che assistenza».
 
Ladri di trattori
Anche Marco aveva dei miti. E non erano solo i grandi campioni delle moto. Il suo idolo, sin da bambino, è stato nonno Italo. Sono Paolo e Rossella, nel libro Il nostro Sic (Rizzoli, 2012), a cura del giornalista Paolo Beltramo, a spiegare la genesi di questo legame, al quale fanno risalire anche l’origine stessa della passione di Marco per i motori. «D’estate eravamo impegnatissimi. In gelateria si lavorava tanto, da aprile a settembre, e quando Marco era piccolo i nonni sono stati molto importanti per lui. Marco passava tantissimo tempo con nonno Italo e nonna Felicia. Il nonno gli insegnava qualsiasi cosa, da come usare un tornio a come “rubare” un trattore. “Ma non c’è la chiave, nonno!”. “Te vai sotto, stacchi i fili, li riattacchi, il trattore va in moto e poi ti vieni a fare un giro qua, così mi lavori la terra, capito?”. La nonna si arrabbiava: “Ma Italo, cosa gli insegni?”. E lui, tranquillo, rispondeva: “Felicia, ma lascialo sognare!”».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017