Due canzoni semplici per un grande successo

Benché abbia vinto il Festival di Sanremo di quest’anno, la sua vita non è cambiata. Povia è rimasto un ragazzo «qualunque». Solo un po’ più responsabile...
22 Giugno 2006 | di

«Io non dico niente di originale. Per me la canzone è sempre stata un rifugio e, a parte un lungo cammino spirituale per farmi passare la depressione e l’ansia, non ho mai studiato oltre la terza media». Disarmante fino al candore, si presenta così Giuseppe Povia, vincitore del Festival di Sanremo di quest’anno, con la canzone Vorrei avere il becco. Lo abbiamo incontrato.

Msa. Nei testi delle sue canzoni c’è un forte richiamo all’infanzia, alle filastrocche, perché?

Povia. Perché preferisco comunicare con i giovani piuttosto che con gli adulti. I giovani hanno più opportunità di scegliere. Poi sono disposti a cambiare idea. Per gli adulti, invece, è un po’ più difficile mutare opinione.

Si sente un po’ come Peter Pan o il «fanciullino» di Pascoli?

Mi sento di più come Robin Hood, che toglie ai ricchi per dare ai poveri; che toglie ai poveri quando diventano ricchi, e questo per aiutare altri poveri.

Infanzia, bulimia, pazzia... Lei esplora e racconta condizioni esistenziali che, spesso, il mondo dello spettacolo tende a trascurare. Da dove nasce questo interesse?

Nasce dal fatto che è intrigante osservare e raccontare anche quello che succede intorno a me, non solo quello che succede dentro di me.

Lei si è impegnato nella campagna di solidarietà per i bambini del Darfur. La solidarietà è spesso nell’agenda di molti artisti. Live Aid, lanciata da Bob Geldof, è stata una pietra miliare. Ma ci sono cantanti che non sono d’accordo. Vasco Rossi, per esempio, sostiene che la solidarietà è una questione privata, ed è pur vero che ci sono artisti i quali cavalcano iniziative di solidarietà solo per farsi pubblicità. Lei che ne pensa?

La solidarietà è un fatto privato quando una persona è miliardaria. Invece si può salire sul palcoscenico, come ho fatto io, donando parte dei propri proventi della Siae, la Società italiana degli autori ed editori. Secondo me, questa è un’azione giusta.

Oggi ha senso parlare di valori nella musica? Oppure, parafrasando Bennato, «sono solo canzonette»?

La musica non ha mai cambiato il mondo. Tuttavia, ritengo che possa contribuire a risvegliare qualche coscienza. Di valori ce ne sono sempre meno in giro, e chi ne parla, magari, emerge un po’ di più.

Quando si trova davanti a migliaia di giovani che assistono ai suoi concerti, avverte la responsabilità di trasmettere, attraverso la musica, dei messaggi che poi influenzeranno i loro atteggiamenti e comportamenti?

Certo, io sento questa responsabilità. E dico sempre quello che provo. Poi i ragazzi devono prendere quello che c’è di buono, quello che serve a loro. E lasciar perdere il resto.

Nel 2005 ha tenuto un concerto a Colonia, in Germania, in occasione della XX Giornata mondiale della Gioventù. Quanto è stata importante, per lei, quell’esperienza?

Io non sono religioso, però ho trovato una mia fede grazie a un cammino spirituale. Vedere tanti ragazzi che, comunque, hanno una speranza, una fede, è molto bello. E poi, le vie attraverso le quali il Signore si manifesta, sono davvero infinite.

Lei è un musicista self-made-man: partito dal nulla e poi diventato famoso. Guardandosi indietro, quali elementi hanno determinato il suo successo?

Direi l’amore e la dedizione per questo mestiere che, comunque, è un lavoro che t’impegna a 360 gradi e per molte ore al giorno.

Quanto conta la bravura e quanto la fortuna?

Cinquanta per cento l’una e cinquanta per cento l’altra.

Dopo la vittoria al Festival di Sanremo di quest’anno, ritiene che la sua vita sia in qualche modo cambiata?

Oggi mi sento più responsabile di quello che dico e di quello che scrivo. Per il resto, l’approccio con il pubblico, con la gente, con i miei amici, è sempre lo stesso.

Il successo è un fardello pesante da portare?

Personalmente non mi sento ancora una persona che ha avuto successo. Forse bisognerebbe chiederlo a chi è più famoso di me.

Che cosa conta di più nella sua vita?

La salute, la mia famiglia e l’Inter.

Vuole fare un augurio ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro, e che si trovano spesso a districarsi tra pregiudizi, emarginazione o indifferenza?

Ai giovani consiglio di mettercela sempre tutta, di dare il meglio di loro stessi. Alla fine è una specie di selezione naturale.

Sono convinto, però, che se una persona vuole raggiungere un obiettivo, e si impegna a fondo per questo, prima o poi lo conquisterà.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017