Dossier. Vecchiaia: stagione tutta da vivere

È la stagione dell’essenziale. Con l’età aumentano esperienza, saggezza, vicinanza all’Assoluto. Ma come ci si prepara alla vecchiaia? E come è considerato questo tempo nella cultura occidentale?
25 Settembre 2012 | di

Nel nostro Paese le persone over 65 anni sono oltre 12 milioni e superano il 20 per cento della popolazione. La speranza di vita, che continua ad aumentare significativamente, è tra le più alte del mondo: se nel 1990 era di 73,6 anni per gli uomini e di 80 per le donne, oggi, secondo l’Istat, è rispettivamente di 78,8 e di 84,1.

Guardando alla propria esperienza di vita e alla società che ci circonda, sorgono inevitabilmente alcuni interrogativi: come ci si può preparare alla vecchiaia? Questa stagione della vita che cosa regala all’uomo e che valore ha nella nostra cultura?
Nell’antichità la vecchiaia era ritenuta, dal punto di vista assiologico, valoriale, superiore alla giovinezza, in quanto gli anziani erano considerati depositari di saggezza. Per millenni è stata una condizione preziosa e ambita, dal momento che a pochi capitava questo felice destino, e si riteneva che bisognasse prepararsi per viverla adeguatamente; chi la raggiungeva era rispettato e stimato dalla collettività, come rileva il professor Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma.

Poi, in Occidente, nell’arco di due-tre generazioni, tutto è cambiato: l’aspettativa di vita è aumentata con una progressione significativa e ormai diventare anziani è un destino comune, non più un tratto di distinzione. «Indubbiamente – prosegue D’Agostino – la vecchiaia, insieme a quella neonatale, è la fase della vita che più ha tratto beneficio dalla modernità e dalla medicina, ma allo stesso tempo nessuna epoca più della nostra ha tolto senso all’essere anziani, al punto che è raro che un anziano parli di sé come di un vecchio. Oggi, nella cultura occidentale, domina l’imperativo di essere sempre giovani. Il risultato è che si ammirano anziani con stili di vita adolescenziali, che un tempo sarebbero stati unanimemente stigmatizzati e considerati patetici o grotteschi».

Viviamo in una società che si è costruita l’idolo dell’adolescenza interminabile: «La giovinezza non è più una condizione anagrafica, ormai è una categoria dello spirito», scrive il teologo monsignor Pierangelo Sequeri. «I figli diminuiscono, ma i vecchietti che vogliono mantenersi giovani crescono. Comunque la cosa sia cominciata e comunque proceda, la fissazione dell’adolescenza come status symbol dell’individuo nel pieno possesso delle sue facoltà di realizzarsi, attrae in molti modi l’immaginario dell’adulto. Essere e sentirsi spiritualmente giovani diventa un vero e proprio progetto. Il progetto si alimenterà per lo più di simulazioni, ovviamente, sempre più affannose: psicologiche, comportamentali, caratteriali, delle abitudini, del linguaggio, dell’abbigliamento, del corpo».
 
Eternamente giovani
In questo contesto culturale, dominato dall’idolo del puer aeternus, diventa dunque arduo parlare di vecchiaia e di «preparazione a questa stagione della vita»: il tema viene socialmente ignorato e rimosso. Dilagano – è vero – consigli e suggerimenti su come preservare la salute il più a lungo possibile e restare in forma fisicamente anche nella terza età, ma prepararsi interiormente a vivere l’ultima fase della vita è un discorso differente.
Secondo il professor D’Agostino, quando si affronta il tema della vecchiaia occorre anzitutto rendersi conto che il contesto culturale odierno è drammaticamente lacerato dalla difficoltà di comunicazione: alcune parole, quali «interiorità», ma anche «vita» e «senso della vita», che un tempo avevano un significato univoco, sono diventate ambigue: «Interiorità, ad esempio, può alludere a una dimensione esclusivamente psicologica – spiega –, dimensione curatissima nella cultura contemporanea (basti vedere quanto sono ascoltati gli psicologi che offrono suggerimenti di vita), oppure può alludere all’interiorità propria della tradizione classica, come possibilità per l’io di entrare in rapporto con la trascendenza». Le persone che hanno fede, nell’ultima fase della vita sono portate a pensare, con maggior intensità e frequenza, alla loro creaturalità, all’incontro con Dio. La meditatio mortis fa parte del loro orizzonte, ma gli anziani che hanno escluso come possibile ogni rapporto con la trascendenza, pensano alla «preparazione» solo in termini psicologici e rifiutano qualsiasi discorso riguardante Dio. Così si può anche parlare di «preparazione interiore alla vecchiaia e alla morte», ma poi non ci si comprende perché le categorie cui si fa riferimento sono diverse.
 
Anziani più longevi
Ma non è questo l’unico problema: la longevità, questa straordinaria rivoluzione paragonabile per la sua portata solo al fenomeno della globabilizzazione, ci sta cogliendo del tutto impreparati, sotto molteplici punti di vista: culturale, politico, economico, sociale. «Anzitutto mancano le categorie culturali per poter gestire questa rivoluzione – afferma il professor Luigino Bruni, docente di economia politica all’Università Bicocca di Milano e all’Istituto universitario Sophia di Loppiano –, e poi manca una vera, seria riflessione politica sulla vecchiaia.

Sino a poco tempo fa le persone andavano in pensione a 60 anni e dopo qualche anno venivano a mancare; oggi, dopo la pensione, si ha la possibilità di vivere anche più di vent’anni. Si rende necessario ripensare completamente il welfare, il patto sociale, il sistema della previdenza e la distribuzione delle risorse destinate alla sanità. Non basta allungare di uno o due anni la vita lavorativa: non è questa la soluzione. Dovremo immaginare una vita anziana che sia attiva in un modo diverso da quello tradizionale del mondo del lavoro, ma che non sia semplice passività e attesa della morte: non si possono passare vent’anni guardando la televisione e giocando a carte! Il problema è che non si vede ancora una soluzione all’orizzonte. O la troviamo, e la vita anziana riacquista dignità e valore sociale, oppure saremo la prima civiltà della storia che ha rotto il patto intergenerazionale e creato una generazione di anziani che sono morti male».
La vecchiaia non è l’anticamera della morte, e non possiamo limitarci a mettere in mano agli anziani delle riviste da sfogliare nell’attesa. Annota il professor Fulvio Scaparro, psicoterapeuta: «Fuor di metafora, è necessario che la società mostri reale attenzione per gli anziani, cercando di capire, ad esempio, quali sono i veri interessi che desiderano coltivare, quali attività intendano svolgere all’interno della comunità, nei limiti delle loro condizioni di salute. Non di rado ci si limita a offrire agli anziani dei passatempi, come per esempio la possibilità di seguire dei corsi, per i quali spesso non hanno alcun reale interesse».
Sull’età anziana grava anche un pregiudizio: si ritiene che i vecchi tendano a chiudersi nel loro mondo e non siano aperti al nuovo, che ne abbiano paura. Ebbene, questo non è vero. Normalmente ciò che i vecchi temono è la fretta: i loro tempi sono più lenti e quindi si avvicinano alle novità con cautela e prudenza, non certo con baldanza.

Se i vecchi rallentano non significa però che non abbiano desiderio e capacità di aprirsi al nuovo e imparare. Allo stesso modo, se rallentano, non significa che non abbiano il desiderio e la capacità di dare e di darsi, di essere utili alla famiglia e alla comunità, nei limiti delle loro condizioni di salute. Ne è prova l’impegno di migliaia di anziani nella cura dei nipotini. Quando invece sono piegati dalla malattia, quando non sono più autosufficienti, si pensa – a torto – che non siano più in grado di dare niente. Invece, proprio in quei momenti, molti anziani rendono visibile l’umiltà e la pazienza che sono necessarie per affidarsi alle cure degli altri quando si è fragili. E così offrono un’indimenticabile lezione di vita. In una società individualista che ha fatto della giovinezza il proprio idolo e dell’efficienza il proprio criterio di valore, come prepararsi dunque alla vecchiaia, divenuta socialmente irrilevante? Secondo il professor Scaparro, noi, anche inconsapevolmente, alla vecchiaia ci prepariamo durante l’intero arco dell’esistenza entrando in contatto con persone anziane. Il loro atteggiamento nei confronti della vita, e il modo in cui sono trattate, costruisce la nostra concezione di vecchiaia: «Se frequentiamo anziani rancorosi, tristi, scorbutici, se – come spesso accade oggi – questi anziani non sono rispettati, si finirà per maturare una concezione negativa della terza età e quindi si tenderà a rimuoverne il pensiero, cercando di fare il possibile per sembrare giovani. Se, al contrario, gli anziani che vivono vicino a noi sono – pur nei limiti delle loro condizioni di salute – persone aperte alla vita, generose di sé, rispettate in famiglia, allora la nostra concezione di vecchiaia sarà positiva». Racconta Luigino Bruni: «Ho conosciuto molti anziani che hanno continuato a occuparsi degli altri, a donarsi, a mostrare fede in Dio e nella bontà della vita. Sono stati esempi importanti per me. Ho maturato questa convinzione: in genere si muore come si è vissuto».
Ci si prepara alla vecchiaia anche imparando a non identificarsi con i ruoli che via via si assumono: non sono rari i casi di anziani che, subito dopo la pensione, cadono in uno stato di grande sconforto. Hanno definito se stessi in base al lavoro che svolgevano e quando lo lasciano sentono di aver smarrito la loro identità. Bisogna, per tempo, imparare a comprendere che nella vita si ricoprono dei ruoli, ma la nostra persona è ben più di essi. Per prepararsi alla vecchiaia, poi, è importante non rifuggire, nel corso della vita, il pensiero della morte. Ed essa, si potrebbe dire, è «a servizio della vita»: il pensiero della nostra finitezza apre alla comprensione profonda dell’esistenza, della sua bellezza e unicità, aiuta a comprendere ciò che vale davvero, ciò per cui è bene impegnarsi, anche sacrificandosi. La morte, così ingiusta e dolorosa, fa risplendere l’essenziale, ridicolizzando le mille apparenze che la nostra società del benessere e dell’efficienza ci offre quotidianamente.

Allo stesso tempo, ci si prepara alla vecchiaia prendendo coscienza di che cos’è la vita eterna promessa da Gesù. Essa – scrive Benedetto XVI – non è semplicemente ciò che viene dopo e di cui adesso non possiamo formarci alcuna idea: «È una nuova qualità dell’esistenza in cui tutto confluisce nell’adesso dell’amore. Poiché è una qualità dell’esistenza, essa può essere presente già nell’esistenza terrena e nella sua fugace temporalità, come il nuovo, l’altro e il più grande, anche se sempre soltanto in frammenti e in maniera incompleta. I confini tra vita eterna e vita temporale non sono affatto di natura semplicemente cronologica: gli anni prima della morte sarebbero la vita nel tempo; il tempo senza fine dopo la morte sarebbe la vita eterna, così pensiamo in genere. Poiché, però, eternità non è semplicemente tempo senza fine, ma un altro piano dell’esistenza, una tale distinzione puramente cronologica non può essere corretta. La vita eterna è presente già nel tempo, quando ci riesce di guardare in faccia Dio; guardando al Dio vivente, essa può diventare il fondamento stabile della nostra anima. Come un grande amore, non ci può più essere tolta da nessuna vicissitudine, ma è centro indistruttibile dal quale provengono il coraggio e la gioia di andare avanti, anche se le situazioni esterne sono dolorose e pesanti». In questa vita eterna, già presente nel tempo, ciò che ci definisce è l’essere amati nella nostra preziosa unicità da Dio, l’essere Suoi figli. Questa è la nostra identità. E né la malattia, foss’anche la più grave e invalidante, né la perdita del lavoro, né le sventure che ci possono capitare, potranno mai cambiare questa realtà.
 
Imparare ad abitare il silenzio

Perché tutto questo maturi dentro di noi, perché la vecchiaia non ci colga del tutto impreparati, è importante, nella nostra società così caotica, frenetica e rumorosa, imparare ad abitare il silenzio, quello denso, colmo di dialogo con se stessi e con Dio, e a ritrovare la solitudine, quella feconda, positiva, capace di far crescere l’interiorità; la solitudine che Gesù visse così profondamente da poter dire, nell’ultima sera della sua vita terrena: «Ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16,32). Raggiunta la vecchiaia, si scopre che questa stagione della vita può anche regalare molto: «Si vedono le cose con una profondità e un’intensità che non sono date in alcuna altra stagione dell’esistenza – osserva il filosofo Giovanni Reale –. Si comprende la vita nel suo “intero” e quindi nella sua verità. Nella terza età si lascia il superfluo e si abbraccia l’essenziale». «Di conseguenza – aggiunge Scaparro – si modificano le nostre priorità. Ci si distacca da molte cose, non perché siano disprezzabili, ma perché non sono più significative; le si abbandona senza alcun rimpianto: la vecchiaia porta a fare una drastica selezione e una classifica che vede al primo posto ciò che davvero è importante».

Quale potrebbe dunque essere il carisma dell’anziano? «Egli è (può essere) colui che afferma che solo Dio, alla fine, conta, testimoniando una fiducia nella positività della vita e in Dio che la sorregge, al di là di ogni supporto che non sia la fede», afferma il biblista monsignor Bruno Maggioni. «All’anziano credente si apre un’impareggiabile missione profetica: testimoniare la speranza e proclamare la verità delle cose. Nell’ultima stagione della vita l’anziano testimonia che la comunione con Dio è più forte del declino e che l’inverno si apre su una rinnovata primavera». In attesa dell’incontro con Dio, che si fa sempre più vicino, mentre si intensifica il dialogo, che diventa un corpo a corpo con Lui, si può sperimentare che l’ultima stagione della vita non è solo tempo di congedo, è tempo di semina: bisogna saper scegliere serenamente ciò che deve essere consegnato alle giovani generazioni come bene e ciò che deve invece scomparire con noi. Anziché domandarsi, negli inevitabili momenti di sconforto e smarrimento: «Adesso che ho fatto tutto questo per arrivare da qualche parte, dove sono arrivato?», meglio chiedersi, come suggerisce Sequeri: «Per chi ho ancora qualcosa da lasciare in dono, da condurre a felice destinazione?».

Le giovani generazioni aspettano qualcuno che insegni loro i fondamentali della vita, che con le parole e l’esempio indichi ciò che è giusto e buono, ciò per cui vale la pena vivere e sacrificarsi. Aspettano qualcuno che mostri la bellezza di legami buoni che tengono per intere stagioni della vita, che promuova la circolazione delle parti migliori dell’umano alle quali anche loro potranno attingere.
I cuccioli che si affacciano alla vita sono in attesa di ricevere la buona notizia di Gesù e la certezza che potranno sempre appoggiarsi a Lui e contare sulla sua fedeltà.
 
 
I numeri

78,8 aspettativa di vita per gli uomini

84,1 aspettativa di vita per le donne

1 su 5 gli italiani con più di 65 anni

12.301.537 le persone con più di 65 anni (1/2011)

3.105 gli uomini con più di 100 anni (1/2011)

13.040 le donne con più di 100 anni (1/2011)

40 età media in Campania nel 2011

48 età media in Liguria nel 2011

1 su 4 le persone con più di 65 anni nel 2030

1 su 20 le persone con più di 85 anni nel 2030

12,7 % giovani fino a 14 anni nel 2050
 
Fonte: Istat
  

 Zoom.
La vecchiaia nella Bibbia

 
Come la Bibbia affronta il tema della vecchiaia? Lo abbiamo chiesto al biblista monsignor Bruno Maggioni: «Anzitutto la Sacra Scrittura suggerisce all’anziano di guardare alla sua vita con fondamentale serenità. La vecchiaia è un’età della vita come ogni altra, con i suoi pregi e i suoi limiti. L’esistenza è una parabola, e la prima saggezza è un atteggiamento di tranquilla accettazione di tutti i suoi momenti. Perciò, per vivere bene la vecchiaia bisogna prima di tutto accettare di essere vecchi. È necessario aiutare l’anziano a superare la tentazione di distogliere gli occhi dalla sua situazione illudendosi di vivere in un’altra età».
Ovviamente, all’interno di questa serenità di fondo, che senza dubbio è parte essenziale dell’uomo biblico e del suo modo di affrontare la vita, si stagliano ritratti più mossi, complessi, persino contraddittori, come è contraddittoria ogni età della vita. «Nella Bibbia – spiega Maggioni – non mancano sentimenti di delusione e interrogativi drammatici: la vecchiaia si accompagna spesso alla solitudine, a un senso di inutilità, alla paura della morte». Con amarezza l’anziano Giacobbe dice al faraone che gli chiede gli anni: «Centotrenta di vita errabonda, pochi e tristi sono stati gli anni della mia vita e non hanno raggiunto il numero degli anni dei miei padri» (Gen 47,8-9). Un salmo descrive con intenso realismo il decadimento dovuto all’età avanzata: «Tacevo e si logoravano le mie ossa, (...) come nell’arsura estiva si inaridiva il mio vigore» (Sal 32,3-4). Giobbe giunge a porre persino un problema teologico: si domanda se Dio sia giusto, dal momento che molti malvagi vivono una vecchiaia sana e felice e, al contrario, molti giusti si trascinano in una vecchiaia squallida e avvilente. Qoèlet si chiede che senso abbia la vita, se tutto corre così veloce verso la vecchiaia e la morte. In una delle sue pagine più note (12,1-7) descrive con spregiudicatezza e impietosità il sopraggiungere della vecchiaia: l’immagine è quella di un palazzo di alto rango, un tempo pieno di vita e attività, ma ora in totale disfacimento.

Le voci del salmista, di Giobbe e Qoèlet sono significative e mostrano che l’uomo biblico guarda con realismo e disincanto la vecchiaia e la sua fede, che pure è forte, non gli evita i problemi. La vecchiaia è anche un rischio e può presentarsi con un volto drammatico, soprattutto se conclude una vita già vuota. Come la sera è la conclusione dell’intera giornata e dell’intera giornata porta l’impronta, così è per la vecchiaia: quella che conclude una vita piena è qualitativamente diversa dalla vecchiaia che si aggiunge a una vita vuota. «Ha ragione Qoèlet – aggiunge Maggioni – a iniziare la descrizione della vecchiaia dicendo: “Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza”. Non si tratta di un invito ad approfittare della giovinezza per godere il più possibile, tuttavia è vero che bisogna vivere intensamente, senza rinvii.
Alla vecchiaia è offerta una possibilità, e la Bibbia invita ad approfittarne: approfittare del fatto che questa stagione della vita è il momento della verità, il momento in cui, come diceva Romano Guardini, “il contingente lascia trasparire l’assoluto”.
Agli anziani è data la possibilità di essere un esempio di sapienza di vita, di quella “sapienza del cuore” che sa distinguere le poche cose che contano dalle molte che sono illusorie, il bene e il giusto dalle proprie personali affermazioni».
 
 
I libri
 

Carlo Maria Martini,
Le età della vita. Una guida dall’alba al tramonto dell’avventura umana,
Oscar Mondadori, € 9,50
 
Dionigi Tettamanzi,
Il tempo del raccolto. Meditazioni bibliche
, Àncora, € 13,50
 
Anselm Grün,
La vita è adesso. L’arte dell’invecchiare
, Queriniana, € 16,50
 
Romano Guardini,
Le età della vita
, Vita e Pensiero, € 10,00

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017