Don Oreste Benzi, il prete degli ultimi

Si è spento in silenzio, senza arrecare disturbo, uno dei sacerdoti più amati dai poveri e dagli emarginati.
28 Novembre 2007 | di

Hanno dovuto allestire il PalaCongressi di Rimini per accogliere tutti coloro che volevano essere presenti ai funerali di don Oreste Benzi, stroncato da infarto nella notte tra l’1 e il 2 novembre. Erano quasi diecimila. E ognuno con una storia che avrebbe voluto gridare per rendere testimonianza al grande cuore di questo prete di frontiera, di marciapiede, umile e coraggioso, che in un momento di sbandamento della loro vita era andato, come il Buon Pastore, a cercarli e se ne era preso cura, condividendo il travaglio della loro liberazione.

Quasi diecimila, per ognuno dei quali era stato amico, padre, salvatore. Tossici raccolti nelle piazze e nelle discoteche e strappati alla dipendenza. Ex prostitute raccattate nei luoghi delle trasgressioni più umilianti: le aveva convinte a intraprendere la via del riscatto, parlando loro di Cristo, aiutandole a ritrovare fiducia in se stesse e ad amare la vita. Bambini abbandonati dalle loro mamme, altri che non sarebbero mai nati se lui non avesse offerto alle madri, tentate dall’aborto, la concreta possibilità di crescerli. Disabili, che nelle sue comunità hanno imparato a correre con gioia e fiducia nelle strade della vita.

Quasi diecimila. Con il cuore affranto ma il ciglio asciutto, perché don Oreste aveva proibito di piangere: «Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: “è morto”. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio», aveva scritto alcuni giorni prima.

Chi ha avuto la fortuna di conoscere don Benzi e di essergli amico lo ricorda come un uomo straordinario, un prete coerente fino al paradosso, capace di tradurre nel concreto l’altezza delle Beatitudini, stando accanto agli ultimi, a quelli cui nessuno pensa, «o se ci pensa ne pensa male» (sono parole sue), cercando in loro il volto di Cristo, battendosi per i loro diritti. Un santo? Un giudizio impegnativo. Ma di certo c’era in lui la pasta dei santi: fede granitica; ogni fibra del suo cuore e della sua mente bruciata dall’amore e dalla dedizione agli altri, in giornate intensissime di lavoro, e con un’esperienza continua di Dio, alimentata da tanta, tanta preghiera. I miracoli? Già li faceva. Ogni giorno, in tutto il mondo, le sue comunità mettono a tavola cinquantamila persone. Non è un miracolo questo?


Un uomo semplice e sereno

L’ho incontrato per la prima volta verso la fine degli anni Settanta a Verona. Era il periodo in cui nella Chiesa, venuta meno la funzione educativa degli istituti, si stavano sperimentando nuove forme di intervento e spostando l’impegno caritativo su nuove frontiere del disagio, come la tossicodipendenza, la prostituzione, l’emarginazione. Frontiere impervie e rischiose, nelle quali più di un prete s’era avventurato, dando vita ad associazioni che hanno segnato la storia dell’impegno e del riscatto nel nome della carità cristiana. Tra questi, c’era un sacerdote romagnolo, don Benzi appunto, che nel 1968, a Rimini, aveva fondato assieme ad altri, preti e laici, la «Comunità Papa Giovanni XXIII» e, nel 1972, aperto, a Coriano (Forlì), la prima «Casa-famiglia» dell’associazione, un modo nuovo di camminare con chi aveva bisogno degli altri per crescere. Un’idea vincente. Tutto merito dei poveri, diceva don Benzi: «Io non ho fondato niente. Sono stati i poveri che ci hanno rincorso, che ci hanno impedito di addormentarci».

Il «Messaggero di sant’Antonio», attento sin dalle sue origini a quanto di nuovo nasceva sul fronte della carità, mi aveva mandato a intervistare don Benzi, invitato a Verona a parlare delle sue attività. Ricordo una sala gremita all’inverosimile, di giovani soprattutto, con i quali meglio che con altri egli sapeva dialogare, pur presentandosi dentro l’immancabile talare nera segnata dal tempo che lo faceva apparire un vecchio curato di campagna. E dei vecchi parroci di campagna aveva la semplicità e la serenità.

Lo ascoltavo dal fondo della sala. Lanciava messaggi chiari, semplici ma forti, carichi di radicalità e di profezia. Invitava i giovani a non cedere a pericolose lusinghe, ad ancorare la propria vita in Cristo e a prepararsi a spenderla senza dimenticare i disagi e le difficoltà dei meno fortunati. Li entusiasmava prospettando un mondo più umano e solidale, di fratelli che si vogliono bene. Un mondo possibile. E lo dimostrava elencando i miracoli compiuti ogni giorno nelle sue comunità dall’amore e dalla preghiera. Nonostante la vecchia e lisa talare, dunque, un prete che sapeva guardare in avanti, oltre gli steccati del tempo e del pregiudizio.

Ne ebbi conferma poi, intervistandolo. Parlava e parlava, con slancio e passione, quasi con irruenza, ma io non riuscivo a staccare lo sguardo dalle sue dita che accarezzavano i grani di un piccolo rosario, e dai suoi occhi dolci che ti penetravano e si lasciavano penetrare, e in fondo a essi vedevo il suo cuore, buono e generoso. Ne rimasi conquistato. Ho incontrato ancora don Benzi, una volta nella parrocchia della Risurrezione in via Grotta Rossa, alla periferia di Rimini, dove abitava e dove teneva le fila della rete di solidarietà che, nel frattempo, s’era estesa in mezzo mondo. Fu una full immersion nel suo pensiero, nel suo entusiasmo coinvolgente, nei suoi progetti, nei suoi sogni.


Le battaglie per difendere la vita

Mi portò in giro per la città a farmi vedere, con paterno orgoglio, la serenità e la gioia di tanti amici rinati nelle Case-famiglia, «corti dei miracoli», nel significato più bello del termine, perché la vita di quella gente era un miracolo dell’amore e della solidarietà. Un incontro forte, che consolidava la stima e l’amicizia di don Benzi con il «Messaggero di sant’Antonio», nata a Verona e proseguita poi nel tempo. A don Oreste abbiamo dato tante volte ospitalità sulle pagine della nostra rivista, accompagnando le sue battaglie in difesa della vita. Contro l’aborto, ad esempio. Non usava giri di parole per definire la legge che consente la soppressione di una persona. Anche la sera prima di morire aveva organizzato veglie di preghiera davanti ai cimiteri per i «bambini mai nati», ribadendo la necessità della presenza di volontari nei consultori per convincere le donne a non abortire.

Duro anche sull’uso della droga. Memorabile il suo confronto nel salotto televisivo di Porta a Porta con Umberto Veronesi. Accusò l’ex ministro della Salute, che gli rimproverava il suo proibizionismo, di dire cose «abnormi e orribili» e che «la droga è contro la vita».

Schieratosi poi in prima linea contro la tratta internazionale delle prostitute, è riuscito a togliere dal giro, dal 1989 a oggi, oltre seimila donne. Nessuno sconto a chi, a qualsiasi livello, tratta quelle ragazze come carne a uso e consumo dei maschi: è uno schiavismo disumano. Fino all’ultimo non si è smentito. Intervenendo sull’assassinio di Giovanna Reggiani consumato da un rumeno, aveva espresso sdegno e cordoglio, ma anche riferito quanto gli aveva detto la polizia rumena: «I lupi feroci siete voi italiani. Voi, oggi, in Italia sbranate più di trentamila ragazze rumene, il 50 per cento delle quali – in partenza – sono bambine».

Questo, e tanto altro, era don Benzi, instancabile apostolo della carità, difensore degli indifesi e, a volte, anche degli indifendibili, capace di farsi carico dei problemi di tanti, senza mai inchinarsi ai potenti, senza mai scendere a compromessi perché nei poveri ha sempre cercato il volto di Cristo.        



Notes. La sua vita in breve


Don Oreste Benzi è nato nel 1925 a San Clemente, Forlì. Ordinato sacerdote nel 1949, è stato a lungo impegnato con i giovani.

Nel 1968, insieme con altri sacerdoti e laici, ha dato vita all’«Associazione Papa Giovanni XXIII», che oggi conta 500 Case-famiglia, 200 delle quali in Italia, le altre in 26 Paesi del mondo: Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, India, Kenya, Romania, Russia, Tanzania, Venezuela e Zambia.

L’Associazione, della quale don Benzi è stato fino alla fine presidente, ha realizzato inoltre sei case di preghiera, sette case di fraternità, quindici cooperative sociali, sei centri diurni, trentadue comunità terapeutiche oltre alla «Capanna di Betlemme» di Rimini, all’interno della quale si offre un’accoglienza «a quei poveri che non hanno il coraggio di chiedere aiuto, e che i volontari della Comunità vanno a cercare nei luoghi in cui vivono».



Appunti. E sul Natale scriveva...


«I cristiani tutti approfittino del messaggio del Natale per prendere coscienza di quello che sono, un popolo chiamato da Dio a svolgere una missione di salvezza in Cristo per l’umanità. Il mondo che essi abitano è creazione di Dio, che ha nell’uomo il suo culmine: esso esce dal cuore di Dio e rimane nel suo amore. L’universo è buono, anche se è stravolto da forze negative, come il sesso sregolato, le emozioni, anche le più malvagie e perverse volute a tutti i costi, la maledetta sete del denaro, la conquista del potere. Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli, infatti, ha creato tutto per l’esistenza: le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte perché la giustizia è immortale... Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita. Questo dice la Sapienza nella Bibbia. Dio è il Signore della vita. Impegniamoci per tutto ciò che fa crescere e maturare la vita, e la speranza».

(Don Oreste Benzi, «Messaggero di sant’Antonio», dicembre 2003)

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017