Diversa-mente

La nostra cultura ci obbliga ad azzerare l’odore dei nostri corpi. Solo i poveri puzzano ancora. Forse imparando ad annusarli diventeremo più capaci di capirli.
21 Dicembre 2007 | di

Mi sono spesso domandato che cosa fanno i poveri su questa terra e, di conseguenza, che cosa può fare e fa Gesù per loro. Difficile rispondere: ci sono mille teorie sull’esistenza della povertà. Una volta un’amica mi ha detto che la povertà è funzionale all’esistenza e al rafforzamento di un clima di solidarietà. Di primo acchito questa teoria mi ha colpito, ma subito dopo mi ha fatto innervosire. La solidarietà è di sicuro una bella cosa, ma non può giustificare la povertà.Mi sembra anzi una teoria che rischia di mettere a tacere la coscienza e di placare le nostre ansie. Certo, le cause della povertà sono molteplici, e il discorso, qualora lo si affronti, comincia a ramificarsi in tantissime direzioni senza che un aspetto prevalga sugli altri e senza che, risolto un problema, gli altri trovino immediata soluzione. Vorrei, però, affrontare l’argomento dal punto di vista di come noi ci relazioniamo con chi è povero. Mi viene in mente il brano del Vangelo in cui si racconta del lebbroso, dove si legge: «Gesù lo toccò e disse…». In questa sede non è importante sapere come si conclude la storia: mi interessa il fatto che il lebbroso puzzava, in primo luogo per la putrefazione della sua carne, poi perché soffriva una condizione di povertà. Peraltro questa persona viveva ai margini del villaggio e non aveva acqua a disposizione per lavarsi. Ancora, emanava puzza di sudore per essere corso incontro a Gesù. Ecco che cosa fanno i poveri, spesso: puzzano!


La domanda conseguente è istantanea: qual è il nostro rapporto con le puzze? Credo che tutti noi ne siamo terrorizzati: chi emana cattivo odore viene allontanato perché selvaggio, animalesco, marginale. Proprio per scongiurare ogni possibilità di puzza abbiamo creato vaste gamme di prodotti per annullarla. Non è forse vero che se dobbiamo uscire per una festa o per andare al lavoro trascorriamo ore in bagno a deodorarci? Certo, l’atto del profumarsi esprime la cura di sé, ma al tempo stesso nasce dalla paura connaturata di emanare odori sgradevoli e dell’immagine che questi trasmetterebbero di noi. L’equazione allora non sbaglia: chi incontra i poveri e chi vive accanto a loro si trova a confronto con le puzze e con la paura che ne ha.


Un esempio: sono andato in questura a tentare di certificare un moldavo e lì ho trovato oltre cento extracomunitari stipati in una micro-stanza, accomunati da uno stato di indigenza ed emarginazione. C’erano una donna indiana che dava da mangiare alla sua bambina; tre marocchini con il giubbotto di pelle che bevevano birra; tre donne polacche che fumavano; due rom che discutevano animatamente a piedi nudi; c’erano cinque rumeni reduci dal lavoro in un cantiere edile; due donne nigeriane che, si capiva, avevano passato tutta la notte fuori; una famiglia di cinesi forse venditori di abbigliamento a buon mercato, ecc… Tutte persone che, per condizione sociale, e in parte per ragioni culturali, non avevano modo di eliminare o nascondere le proprie puzze, tra odore acre di birra, sudore, alito cattivo… In quel frangente sono giunto alla conclusione che tutta l’umanità puzza! Ho pensato che anch’io, in quella situazione, ai loro nasi comunicavo la mia puzza. Quindi, partendo da una situazione particolare come quella della povertà, ho capito che il discorso riguarda tutti. Ma allora: che cosa ha fatto Gesù incontrando la puzza della gente? L’ha toccata e annusata, senza averne paura. Ha mescolato il suo odore con quello del lebbroso accogliendolo e abbracciandolo. Ecco, credo che il punto sia proprio questo: recuperare l’arte di annusare le puzze. Solo così possiamo lavorare e relazionarci con gli altri. Sarebbe un ottimo esercizio! Non abbiate paura di annusare e ditemi che puzza preferite, cliccando su claudio@accaparlante.it


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017