Dio nella storia: Natale non è una favola

Il cristianesimo non è una teoria ma Dio nella carne, presenza concretissima e dolcissima, da « toccare con mano», da accogliere, di cui gioire.
23 Novembre 2006 | di

Qualche lettore avrà certamente notato che la nostra rivista, nel mese di maggio e dintorni, non si è occupata per niente degli alti e bassi riguardanti il colossal hollywoodiano tratto dal vendutissimo libro di Dan Brown: Il Codice da Vinci. Credetemi, non si è trattato né di pigrizia né di volontà di starsene fuori dalla mischia, dall’imperversare un po’ aggressivo di giudizi esaltanti e di stroncature fin troppo facili. Riflessioni pacate, intelligentemente pacate, sono venute in quei giorni da voci ufficiali della Chiesa italiana, innanzitutto dal cardinal Ruini: «Le mode editoriali e cinematografiche, oggi in particolare quella riguardante il cosiddetto Codice da Vinci, mostrano la necessità e offrono l’occasione di un’opera capillare di catechesi, e, prima ancora, di informazione storica». Raccogliendo e attualizzando questa nitida posizione, il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Betori, rilanciava: «Dobbiamo prendere quest’occasione per investire in formazione», ma anche, pensate, per «investire maggiori energie negli studi»; il tutto a supporto di quella cultura che per secoli ha custodito e tramandato il patrimonio cristiano, e, quando necessario, lo ha presentato come plausibile difendendolo da errate interpretazioni. Se è giusto prendersela con la pseudospiritualità da effetti speciali, è ancor più utile disinfestare e bonificare l’habitat che ne permette la subdola diffusione.
La sfida era e rimane davvero alta, soprattutto in una società che ha sostituito il criterio della verità con quello del gradimento, che fatica a distinguere tra successo al botteghino e artificio letterario tradotto in tormentone cinematografico. Che si possa fare quello che si vuole del fatto cristiano (denigrarlo, screditarlo, annacquarlo, inquinarlo, distorcerlo) è solamente segno di inciviltà, di oscurantismo. Mi ha curiosamente colpito come, nei giorni del picco mediatico intorno all’evento del film in questione, i fautori del libro di Dan Brown e dell’infelice seguito cinematografico si richiamassero a pretese verità nascoste, fantasiose fino a essere rocambolesche, mentre i cattolici (e non solo loro) chiedevano a gran voce la messa in campo della critica storica e di una ragione più rigorosa, meno «bendata» e «partigiana», rispettosa quindi delle argomentazioni lucide e fondate. Non si può produrre a tavolino un fantacristianesimo frizzante e frivolo, e, dopo averlo imbottigliato in eleganti supporti mediatici (libri, film, languide fiction, ecc.), smerciarlo spudoratamente come surrogato del «vino nuovo» del Vangelo. Il trucco è subito svelato.
Ma dopo questo giro in tondo (non casuale) torniamo al titolo (anch’esso non casuale) di questo editoriale natalizio, che vuole centrare la sua attenzione sulla storicità della nascita di Gesù, per dire la cosa più semplice che si possa dire, oggi non più così ovvia: Natale non è una favola per bambini, e nemmeno una favola edificante per adulti rimasti bloccati all’età dell’infanzia. È una verità che ha lo spessore della storia, e che della storia riassume ed evidenzia le drammatiche contraddizioni. «Il Verbo si fece carne…, ma i suoi non lo hanno accolto». Già l’evangelista Giovanni aveva a che fare con alcuni che disdegnavano la carne come luogo possibile della manifestazione di Dio, e, proprio per questo, avevano liofilizzato il cristianesimo riducendolo a un insieme di complicate verità sul divino, naturalmente destinate a pochi.
Sappiamo che il cristianesimo, fortunatamente, è molto più di questo, e ci rassicura la vicinanza scandalosa di Dio, nella carne, concretissima, dolcissima e intrigante, vera e da «toccare con mano», da accogliere, di cui gioire ogni volta che diremo a qualcuno e qualcuno dirà a noi: «Buon Natale!», cioè Dio ti è vicino, ti vuole bene!

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017